ARCA SACRA

Dal Medioevo in poi, l’iconografia alchemica occidentale viene trasmessa in Europa perlopiù in forma criptica,

attraverso numerose illustrazioni (miniature, disegni, incisioni), in manoscritti e libri a stampa. Nella tradizione letteraria di argomento alchimistico, le figure e le immagini hanno la funzione principale di creare collegamenti di senso, rapporti mnemonici e analogie con i testi, che utilizzano metafore verbali, parole enigmatiche, rimandi allegorici. Mentre nella trattatistica tecnologica il rapporto tra immagine e parola mostra concretamente al lettore strumenti, forni, vasi, metalli, sostanze e fasi di lavorazione, il corpo iconografico dell’alchimia ermetica moltiplica collegamenti analogici tra metalli, pianeti, fasi del magistero, racconti mitologici e biblici: a seconda del caso, i principali agenti alchemici e le sostanze chimiche vengono paragonati a eventi cosmologici, personaggi della Bibbia, divinità pagane, figure delle favole, accoppiamenti amorosi, esseri zoomorfi e fitomorfi, mostri, demoni, presenze nella natura, metamorfosi, simboli. Pur avendo capacità evocative che molto spesso vanno al di là di ciò che è contenuto nelle parole, in prima battuta l’iconografia alchemica dovrebbe essere sempre interpretata in rapporto con il testo che ha generato le immagini e le allegorie. 

Dopo aver compreso le corrispondenze tra testo e immagini a livello storico, critico, dottrinale, filologico, iconologico, l’ulteriore lettura apre ai meccanismi di liberazione tipici dell’arte superiore e ai rimandi più sottili evocati dalla Grande Opera.


Girolamo Olgiati, Fanes (1569); Londra, British Museum.

Lorenzo Lotto, coperto simbolico dell’Arca di Noè (1527); Bergamo, Santa Maria Maggiore.

Jean Perréal (o Jean de Paris), La Complainte de Nature à l’Alchimiste errant (1516), dedicato a Francesco I; Parigi, Musée Marmottan.

Mentre per quanto riguarda dipinti, sculture, bassorilievi, oggetti, arazzi, che presentano figure allegoriche, storie mitologiche o simboli, quando possiamo essere sicuri che i soggetti rimandino a contenuti alchemici? Per gli storici dell’arte che applicano il metodo scientifico e filologico, un’opera d’arte può essere spiegata attraverso il linguaggio e le metafore alchemici solo nel caso in cui si è certi che l’autore o ideatore si è occupato di alchimia (come per esempio nei casi di Parmigianino e di Beccafumi)(1) ed è testimoniato da documenti, o che il committente ha avuto interessi legati all’“arte regia” (definizione spettante, appunto, all’alchimia) - come confermano le notizie biografiche relative a Francesco I de’ Medici e le immagini nel suo Studiolo in Palazzo vecchio a Firenze -, o che il soggetto iconografico ha forti concordanze con quelle raffigurazioni alchemiche presenti nei testi sulla Grande Opera della trasmutazione. Inoltre è buona regola che le immagini di riferimento siano coeve o precedenti alla datazione dell’opera in esame, evitando arbitrii cronologici e filologici, o che il dipinto o la scultura fossero collocati in origine in ambienti alchemici, nelle sedi di confraternite ermetiche, in laboratori(2). In questa prospettiva sono ritenuti luoghi con iconografia alchemica la Casa Flamel(3) a Parigi, il palazzo costruito da Pierre-Jean Fabre a Castelnaudary, forse l’Hôtel Lallemant a Bourges (entrambi in Francia), lo Stanzino di Francesco I de’ Medici a Firenze, la Porta magica di Roma, il Camerino del giardino Ludovisi a Porta pinciana, sempre nella capitale, con il dipinto di Caravaggio commissionato dal cardinale Del Monte, studioso di medicamenti chimici. Probabilmente qualche immagine simbolica ideata da Lorenzo Lotto per il coro intarsiato della basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo, all’interno di un impianto iconografico strutturato secondo connotazioni polisemiche di influenza neoplatonica, rimanda anche a questioni alchimistiche(4). Mino Gabriele smonta filologicamente tutte le letture di coloro che hanno amato così profondamente le metafore alchemiche tanto da proiettarle con grande slancio su numerose opere d’arte costruite con allegorie e simboli, interpretando in modo arbitrario e con letture iconologiche confuse e superficiali, non filologiche(5).


Impresa alchemica, con simboli di un tipo di zolfo e del fuoco, dal soffitto a cassettoni del castello di Dampierresur- Boutonne (XVI secolo).


Lorenzo Lotto, Impresa di Lot (1527); Bergamo, Santa Maria Maggiore.

(1) Si veda: M. Gabriele, Le incisioni alchemico-metallurgiche di Domenico Beccafumi, Firenze 1988.
(2) Cfr. Id., Alchimia e Iconologia, Udine 1997, pp. 144-145.
(3) Si veda: N. Flamel, Écrits alchimiques, Parigi 1993, pp. 15 sgg.
(4) Lotto, durante il suo soggiorno giovanile a Treviso nella corte del vescovo De Rossi, conosce e frequenta l’umanista riminese Giovanni Aurelio Augurello, autore del poema in versi latini sulla fabbricazione dell’oro, intitolato Crysopoeia (edito a Venezia 1515 e ristampato più volte), e a Venezia entra in contatto con Giulio Camillo Delminio, ideatore del Teatro della memoria e appassionato di alchimia. Il giurista Giovan Maria Rota, reggente della Misericordia Maggiore di Bergamo negli anni in cui viene commissionato il coro della basilica di Santa Maria Maggiore, ha trascritto un testo di alchimia, oggi conservato nella Biblioteca civica A. Mai.
(5) Si scaglia per esempio contro Gustav Friedrich Hartlaub, Stanislas Klossowski De Rola, Maurizio Calvesi, Claudia Cieri Via e tutti i loro seguaci che hanno applicato lo stesso metodo. Cfr. M. Gabriele, Alchimia e Iconologia, cit., pp. 146-163.

di Domenico Beccafumi: Allegoria della scoperta dei metalli (1520-1525); Roma, Gabinetto nazionale delle stampe.


di Domenico Beccafumi: I metalli vengono portati alla lavorazione, (1520-1525); Roma, Gabinetto nazionale delle stampe.

di Domenico Beccafumi: La distillazione, (1520-1525); Roma, Gabinetto nazionale delle stampe.


di Domenico Beccafumi: Effetti della polvere da sparo (1520-1525); Roma, Gabinetto nazionale delle stampe.

Lorenzo Lotto, Sibilla chimica (1524); Trescore Balneario (Bergamo), cappella Suardi.


Bernardino Luini, Sibilla chimica (1525-1532); Saronno (Varese), santuario di Maria Vergine. La Sibilla chimica è immaginata da Lotto nell’atteggiamento melanconico, mentre guarda fissa nel vuoto con i suoi occhi chiari cerchiati da occhiaie, con la testa appena reclinata e sostenuta dal palmo aperto della mano sinistra, col gomito appoggiato su un libro aperto. Già Ghiberti aveva rappresentato una sibilla in atteggiamento melanconico, mentre appoggia la guancia sulla mano, con una espressione lacrimosa, nella Porta del Paradiso, a Firenze. Anche in una serie di incisioni attribuita a Baccio Baldini, realizzata nel terzultimo decennio del XV secolo, e in un libretto del teologo fra Filippo de Barberi, illustrato da xilografie (1481), compaiono altre due immagini della Sibilla chimica.

Per individuare le origini e le pratiche dell’alchimia, gli studiosi hanno viaggiato a ritroso nel tempo - tra immaginazione, speculazioni, studi, documenti, dentro una vicenda storica complessa da decifrare scientificamente -, trovando tracce nell’India vedica, nelle terre assirobabilonesi dei secoli VIII e VII a.C., nella Cina del IV secolo a.C., nell’antico Egitto e presso i caldei (6). Nelle culture antiche l’alchimia era intesa come un’arte in cui convivevano dottrine filosofiche e magia, scienza astrologica e iatrochimica, valenze esoteriche e misticismo, pratiche metallurgiche e medicina. In questo breve excursus prendiamo in esame solo l’iconografia alchemica occidentale, partendo dai più interessanti cicli illustrati che vennero alla luce in Europa tra la fine del XIV e il XVI secolo. Soprattutto cerchiamo di interpretare le immagini criptiche, le quali dovrebbero veicolare qualcosa che le parole nel libro non hanno volutamente detto, per fare in modo che potessero comprendere solo gli iniziati. Sul limine tra segretezza e divulgazione, è interessante anche dare spazio a ciò che sta nel circuito simbolico messo in azione tra le parole e le immagini, che richiama il fruitore e lo induce a interpretare. 

Aurora consurgens (scritto tra la metà del XIII secolo e i primi decenni del XV) è un trattato diviso in due parti, stilisticamente differenti, realizzate in epoche diverse da due autori che ancora oggi non sono stati individuati, dove da un lato tutto è pervaso da rimandi testamentari coniugati a citazioni alchemiche e dall’altro vi sono parafrasi operative, processi sperimentali, metafore dell’“opus”. Nel testo, l’alchimia è intesa come “scientia Dei” e tutto quello che è narrato e illustrato riverbera come un viatico per giungere al cospetto della Sapienza, che illumina i saggi. La prima immagine che compare nella più antica Aurora consurgens illustrata (7) è l’ermafrodito: rimanda al profondo significato legato al “lapis philosophorum” (la pietra filosofale) e al passaggio da uno stato a un altro. L’ermafrodito, raffigurato come una coppia abbracciata in un solo essere, e l’aquila, che si avvinghia ai due corpi, formano un’immagine trinitaria - nel testo paragonata alla Trinità cristiana e composta da corpo, anima e spirito - che simboleggia l’unità delle due forze primigenie della materia e i due princìpi (maschile/femminile, sole/luna), dove la figura alata rimanda al mercurio-argento vivo, detto “spiritus”, che penetra sia nel maschio-“corpus” sia nella femmina- “anima”. Le numerose aquile ammonticchiate a terra alludono alla “caduta” o alla “fissazione” delle componenti volatili della materia. La parte femminile dell’ermafrodito alchemico tiene per un’ala il pipistrello mentre quella maschile stringe le zampe posteriori di una lepre, tenuta a testa in giù. Secondo Macrobio, Elio Donato e Nonio Marcello, autori latini molto noti nel Medioevo, i due animali rimandano alla stessa natura ambigua e bisessuata dell’ermafrodito. Nella quarta parabola dell’Aurora consurgens si afferma: «Rendete i corpi incorporei e il fisso volatile».


Soffitto dell’oratorio (1518), particolare; Bourges, Palais Lallemant.


Maestro che impugna un matraccio e aiutante (1518 circa); Bourges, Palais Lallemant.

(6) Si vedano: M. Berthelot, Les origines de l’alchimie, Parigi 1885, pp. 21 sgg.; R. Eisler, L’origine babylonienne de l’alchimie, in “Revue de Synthèse Historique”, 41, 1926, pp. 5-17; R. Campbell Thompson, A Survey of the Chemistry of Assyria in the Seventh Century b.C., in “Ambix”, 2, 1938, pp. 3-16; E.J. Holmyard, Storia dell’alchimia, Firenze 1959; J. Lindsay, The Origins of Alchemy in Graeco-roman Egypt, Londra 1970, pp. 87-88; H.J. Sheppard, Alchemy: Origin or Origins?, in “Ambix”, 17, 1970, pp. 69-84; J. Needham, Science and Civilisation in China, V, 2-3-4-5, Cambridge 1974 e 1976; M. Eliade, Forgerons et alchimistes, Parigi 1977, pp. 60-64, 107 sgg.; E.A.E. Reymond, From Ancient Egyptian Hermetic Writings, Vienna 1977; M. Gabriele, Alchimia e Iconologia, cit., pp. 11-17.
(7) Il manoscritto illustrato più antico dell’Aurora consurgens è il Codex Rhenovacensis 172, della Zentralbibliothek di Zurigo, e risale al secondo decennio del XV secolo. Il codice è mutilo di circa la metà della prima parte. Si è conservata la successione di ventisei immagini miniate. Altri codici illustrati dell’Aurora sono stati realizzati nei secoli XVI e XVII. Nei manoscritti che contengono sia la parte biblico-alchemica sia quella pratica-operativa le immagini sono trentasette.

Ermafrodito (XV secolo), da Aurora consurgens, in Codex Rhenovacensis 172, f. VD-2.; Zurigo, Zentralbibliothek.


Falsa alchimia (XV secolo), da Aurora consurgens, in Codex Rhenovacensis 172, f. 1r-3; Zurigo, Zentralbibliothek.

La seconda immagine del Codex Rhenovacensis 172 (il più antico dei codici che contengono l’Aurora consurgens) scimmiotta quella dell’ermafrodito, ma in senso negativo, alludendo all’opera del falso alchimista: agisce sui quattro elementi, producendo una melodia, che conduce al fallimento e alla morte infera. Il mostro a due teste suona un gambero rosso, con un archetto-serpente tenuto a mo’ di arco da viola, mentre una nottola o una civetta sta soffiando in una fistula, emettendo una melodia che è dolce per coloro che non temono di finire all’inferno, come recitano le parole che accompagnano la figura nel testo: «Fistula dulce canit mihi, si non crede cathonis» (“La fistula canta dolcemente per me, se non credi all’inferno”). La doppia testa scimmiesca e di corvo connota il personaggio come figura diabolica, e come rimando alla follia o alla vanità dell’alchimista imbroglione e falsario. Il mostro ha tre gambe (una a forma di pesce, una a fascina di grano incendiata e una a zampa equina o asinina, tenuta sopra la mascella di un cranio, indicando il senso della vanità su cui poggia la falsa alchimia), un busto di pesce, il braccio destro umano e quello sinistro una zampa nera. 

La terza immagine miniata illustra un’architettura simile a una chiesa con campanile, intesa al contempo come casa della Sapienza, edificio sacro e luogo iniziatico di matrice ermetico-pagana. Sui tetti sono appostate nove aquile blu, che tendono gli archi in attesa di scoccare frecce in direzione di un anziano seduto, raffigurato mentre osserva simboli dipinti su una tavoletta (composta da due tabelle e aperta come un libro) che regge nelle sue mani, e verso tre uomini vicini all’ingresso, che indicano un’ampolla colma di un liquido d’oro, posata su una colonna. La scena evoca qualche passaggio del brano d’apertura narrato nella Tabula Chemica di Senior Zadith, ovvero un testo arabo di Muhammed ibn Umail, dal titolo L’acqua d’argento e la terra stellata (X secolo), tradotto in latino tra il XII e il XIII secolo. Le nove aquile rimandano alla sostanza volatile, ovvero le parti della materia che vengono estratte dal sedimento o dalla feccia (denominata anche la “decima aquila”) e che appaiono colorate nel composto. Il vecchio seduto personifica Senior o Ermete Trismegisto; la “tabula” contiene i simboli di tutta l’opera alchemica, ovvero figure che sintetizzano le operazioni per compierla. Cinque immagini rappresentano la prima metà del magistero: un quarto di luna (“distillazione”) e una luna piena (“attenuazione”), entrambe d’argento, un uccello blu con le ali aperte (“anima”, o parte volatile della materia) posto sopra un altro uccello chiaro senza ali dispiegate (“corpo”, o parte fissa della prima materia), una piccola luna piena (“magnesia” (8), un’acqua congelata che si oppone al fuoco, chiamata anche radice dei principi sulfureo e mercuriale della “pietra”, materia prima da cui ha inizio il magistero).

Altre tre immagini corrispondono alla seconda metà del magistero alchemico: due soli dorati emanano tre raggi (uno il primo e due il secondo, raggi che rimandano all’“acqua triplice e divina”, l’acqua di nube che scende sul mondo inferiore e contiene le nature dell’acqua, dell’aria e del fuoco, ovvero i vapori caldi, umidi e acquei), i quali si condensano e colano verso un cerchio sottostante (materia calcinata in fondo al vaso, chiamata “terra”), diviso in due parti (terra composta da due “corpi”, uno “maschile” e uno “femminile”, soggetti alla luna), una a forma di luna crescente dorata e l’altra che occupa gli altri due terzi del cerchio, dipinta d’argento. Secondo gli insegnamenti di Ermete Trismegisto, nel libro aperto viene visualizzato il rapporto tra micro e macro, nel duplice processo ascendente/discendente, nella coazione dell’unità duale sole/ luna, riconducendo ogni soggetto all’unità del tutto, prima attraverso la liberazione dell’anima dal corpo e poi quando l’anima in forma di acqua divina ridiscende nel corpo-terra, proprio come è scritto nella Tabula Smaragdina, il celebre testo ermetico attribuito a Ermete Trismegisto: «Sale dalla terra al cielo e ritorna poi alla terra e riceve la forza delle cose superiori e inferiori».


Giovan Battista Nazari, Asino musico circondato da scimmie danzanti, da Della trasmutatione metallica sogni tre (1564). In questa incisione è rappresentata, in forma allegorica, la falsa alchimia. L’asino si ingegna a suonare, ma con gli zoccoli è una impresa fallimentare l’atto del modulare le note correttamente agendo sui fori del flauto. La presenza delle scimmie che danzano a cerchio attorno al musico ragliante rafforzano la connotazione negativa dell’allegoria. Infatti, già nel Medioevo la scimmia era considerata un inferiore doppione dell’uomo, di cui contraffà l’opera, e quindi rimando all’alchimista falsario e imbroglione.

(8) Senior utilizza il termine “Abarnahas” (vocabolo che corrisponde al piombo nero o pirite, chiamato “molybdochalkos” dagli antichi alchimisti greco-egizi) per designare la “magnesia”, la prima materia su cui operare, dalla quale si può estrarre l’oro filosofico.

La Tabula Chemica di Senior (XV secolo), da Aurora consurgens, in Codex Rhenovacensis 172, f. 7r; Zurigo, Zentralbibliothek.


Il seminatore (XV secolo), da Aurora consurgens, in Codex Rhenovacensis 172, f. 5v-12; Zurigo, Zentralbibliothek.

Proseguendo nella sequenza delle immagini, dopo il Seminatore - l’uomo vestito di bianco incarna il seguace di Ermete all’opera, descritto mentre sparge il fermento d’oro, detto anche “cenere” o “anima” o “pioggia vivente”, sulla terra purificata, creando una parentela tra la terra della creazione biblica e quella dell’alchimia, mentre la testa coronata del corpo nudo fuoriesce dalla pentola alambicco sottoposta all’azione del fuoco, significando l’anima che sale separandosi dal corpo-terra - e la Congiunzione tra il maschio e la femmina in un talamo posto su un terreno fertile con alberi carichi di frutta (tra il caldo-secco e la fredda-umida, alludendo alla commistione dei quattro princìpi elementari che formano i corpi), che ornano la sesta e la settima parabola dell’Aurora, spicca il combattimento tra le figure antropomorfizzate del Sole e della Luna, descritte come cavalieri medievali che duellano in un torneo. L’uomo-Sole (il fuoco caldo e secco) ha l’armatura, cavalca un leone e regge uno scudo dove campeggia l’emblema di tre lune; la donna- Luna (l’acqua fredda e umida) è nuda, è a dorso di un grifone e ha uno scudo con l’immagine del sole. La lancia di ogni duellante colpisce in contemporanea lo scudo del rivale: il combattimento esprime la dissoluzione degli elementi dentro l’alambicco, dopo la congiunzione nuziale, indicando che vengono attivati i rapporti di simpatia e antipatia intercorrenti tra diverse sostanze e che ogni natura deve essere trasformata nel suo opposto attraverso la corruzione della materia. Si innesca così l’arte della trasmutazione di un elemento in un altro, ovvero il ciclo della trasformazione degli elementi, entro una dinamica del cambiamento e degli scambi delle qualità.


La dissoluzione (XV secolo), da Aurora consurgens, in Codex Rhenovacensis 172, f. 10v-22; Zurigo, Zentralbibliothek.


L’astrologia (XV secolo), da Aurora consurgens, in Codex Rhenovacensis 172, f. 11r-23; Zurigo, Zentralbibliothek.

Le ventisei immagini simboliche che si sono conservate nell’Aurora consurgens quattrocentesca testimoniano la loro relazione stretta con il testo, dove le metafore e le allegorie di stampo alchemico vengono liberamente adattate e relazionate ai contenuti della Bibbia (con passi del Cantico dei cantici, o scelti dalla Sapienza, dai Proverbi e dai Vangeli), ai bestiari, alle allegorie mistiche della cultura latina, ai “topoi” analogici della trattatistica greco-araba, ai nuovi “exempla”, per evocare misteri segreti, trasmutazioni spirituali, o per spiegare in modo figurato l’arte della trasmutazione alchemica attraverso un corpus iconografico di conio europeo, con la forte esigenza di sottolineare una autonomia ermeneutica e semantica rispetto a ciò che era giunto dalla tradizione greco-araba, di cui era debitrice.


Aritmetica e Geometria (XV secolo), da Aurora consurgens, in Codex Rhenovacensis 172, f. 12v-26; Zurigo, Zentralbibliothek.

Aurora lactans (XV secolo), da Aurora consurgens, in Codex Rhenovacensis 172, f. 13v-28; Zurigo, Zentralbibliothek.


Gli elementi, gli umori e gli escrementi (XV secolo), da Aurora consurgens, in Codex Rhenovacensis 172, f. 19v-40; Zurigo, Zentralbibliothek.


Alchimia cura il corpo imperfetto (XV secolo), da Aurora consurgens, in Codex Rhenovacensis 172, f. 14v-30; Zurigo, Zentralbibliothek.

Il processo della occidentalizzazione dell’alchimia più antica fa ricorso ai collegamenti di immagini sacre (bibliche, cristologiche e mariane) con quelle profane, elaborando un complesso sistema di memoria, in parte già messo in azione nel Medioevo, attingendo a molteplici fonti: i processi di trasformazione della materia vengono connessi con astri, segni zodiacali, miti degli dei e degli eroi pagani, vizi e virtù, personaggi e soggetti biblici, figure allegoriche, piante, minerali, relazioni numerologiche, pratiche della magia, valenze retoriche, rimandi mistici, procedure tecnologiche, meccanismi mnemotecnici, invenzioni metalinguistiche. Già dalla seconda metà del XIV secolo, nel codice Vind. 2372 della Nationalbibliothek di Vienna, Gratheus utilizza metafore e immagini che creano similitudini e parallelismi tra l’“opus” dell’alchimia e le vicende di Cristo: il mercurio è paragonato al figlio di Dio e alle sue emblematiche vicissitudini; come Cristo risorge dal sepolcro libero dalla morte, brandendo la croce, un’immagine che avrà notevole fortuna e diffusione dal XVI secolo in poi, soprattutto grazie al Rosarium Philosophorum, dove la figura è posta nella chiosa del testo come un sigillo.


Il basilisco (XV secolo), da Aurora consurgens, in Codex Rhenovacensis 172, f. 20v-42; Zurigo, Zentralbibliothek.


Alchimista fornaio (XV secolo), da Aurora consurgens, in Codex Rhenovacensis 172, f. 21v-44; Zurigo, Zentralbibliothek.

La miniera (XV secolo), da Aurora consurgens, in Codex Rhenovacensis 172, f. 24v-50; Zurigo, Zentralbibliothek.


Il giardino filosofico (XV secolo), da Aurora consurgens, in Codex Rhenovacensis 172, f. 27r-55; Zurigo, Zentralbibliothek.

Decapitazione (XV secolo), da Aurora consurgens, in Codex Rhenovacensis 172, f. 27v-56; Zurigo, Zentralbibliothek.


Terra gravida (XV secolo), da Aurora consurgens, in Codex Rhenovacensis 172, f. 29v-60; Zurigo, Zentralbibliothek.

Nel codice di Gratheus è presente un volto di Cristo, descritto con un’aureola circondata da storte e lambicchi, per esaltare l’aspetto mistico-religioso dell’alchimia. Anche il Liber secretorum alchimie (seconda metà del XIV secolo) di Costantinus Pisanus è illustrato con schemi cosmologici e geografici di ispirazione biblica. Inoltre la sua composizione schematica, con diagrammi astrologici e strutture geometriche contenenti le proprietà dell’anima e della natura, è mutuata dai tipi di libri costruiti con figure mnemoniche, per facilitare il lettore a percorrere mentalmente la sequenza dei concetti sviluppati nel testo e le connessioni con le figure. Pure il ciclo iconografico visibile nel Libro della Santa Trinità (1410-1419) è strutturato sulle metafore cristiane e mariane, con forti aderenze profetiche, morali e mistiche, dove Cristo simboleggia l’argento vivo dalla doppia natura (umana e divina), l’incoronazione della Vergine da parte della Trinità rimanda a tutte le operazioni da compiere nel laboratorio, e i quattro evangelisti sono associati ai pianeti e ai metalli (Matteo-Venere-rame, Marco-Giove-stagno, Luca-Marte-ferro, Giovanni-Saturno-piombo). Non è improbabile che questa proiezione di paragoni tra processi alchemici e questioni religiose possa essere stata travasata anche in opere d’arte a tema sacro, in scene bibliche e mitologiche, o in dipinti allegorici. I Rotoli di Ripley (9) (XV-XVI secolo), conservati alla British Library di Londra e alla Bodleian Library di Oxford, raffigurano le varie fasi per ottenere la pietra filosofale: le scene occupano circa sei metri di rotolo, dove un gigantesco Ermete Trismegisto tiene tra le mani il vaso vitreo dell’“opus”, una sorta di microcosmo della scienza delle trasmutazioni, lo posa sul fuoco dell’athanor, e da lì discende tutta una concatenazione di operazioni trasmutative: congiunzioni, passaggi da un elemento a un altro, piume dorate che escono dalla bocca del sole e piume argentee che si sommuovono dal crescente lunare, il bagno del maschio e della femmina, l’anima raggiante e lo spirito alato nel castello del corpo-terra, un drago che vomita una rana, le trasformazioni dei leoni verdi e rossi, la pioggia spermatica sul corpo della fenice/re-uccello/aquila ermetica, per approdare al grande drago che si morde la coda e alla preziosa sostanza rossa, che cola in gocce dal suo ventre e irrora il mondo alato, tutto sotto lo sguardo di un uomo in cammino, in costante ricerca della conoscenza, che regge un bastone (che termina a forma di zoccolo col ferro di cavallo), sul quale è arrotolata nella parte superiore una pergamena, forse il rotolo stesso su cui è raffigurato il ciclo delle trasmutazioni, sprigionando un immaginario ermetico che nutrirà la fantasia di molti artisti e intellettuali dei secoli successivi.


Calcinazione (XV secolo), da Aurora consurgens, in Codex Rhenovacensis 172, f. 34r-69; Zurigo, Zentralbibliothek.


Uccisione del drago (XV secolo), da Aurora consurgens, in Codex Rhenovacensis 172, f. 36r-73; Zurigo, Zentralbibliothek.

(9) George Ripley (1415-1490) è un seguace inglese dell’alchimia lulliana. Scrisse in inglese The Compound of Alchemy nel 1470, dedicandolo a Edoardo IV. Divenne canonico della prioria agostiniana di Bridlington attorno al 1471. Nel 1476 dedicò il Medulla Alchimiae a George Nevill, arcivescovo di York. Le varie versioni dei Rotoli si rifanno ai suoi libri a tema alchemico.

Un altro libro interessante - per la qualità delle ventidue miniature su pergamena, incorniciate con motivi floreali e animali - è lo Splendor Solis (XVI secolo)(10), dove aleggia una concezione del mondo in cui la persona saggia vive e lavora in armonia con la natura, rispettando e onorando la creazione di Dio. In questa visione filosofica l’alchimista osserva, studia e riproduce i processi di sviluppo della natura attraverso l’arte regia, contribuendo alla comprensione più profonda dei misteri divini e della vita. La simbologia delle ventidue miniature evoca per immagini i processi alchemici tra morte e rinascita, attraverso i vari colori dell’opera, passando anche tramite la serie di sette ampolle, ciascuna collegata a uno dei pianeti astrologici associati a divinità greche, all’interno delle quali si svolge la trasmutazione. Tra le immagini spiccano quelle dell’Albero dei filosofi - da cui vengono prelevati rami d’oro, mentre in alto si levano in volo numerosi uccelli e un corvo dal capo bianco becca le foglie auree -, dell’etiope che esce dal pantano fangoso (descritto con un braccio bianco, uno rosso e con la testa vitrea rubina), accolto da una donna alata, con una corona d’oro sormontata da una stella, che offre un manto rosso, e quella dell’androgino ermetico (ha la veste nera e oro, un’ala bianca e una rossa), che regge nella mano sinistra un uovo filosofale e nella destra uno specchio circolare montato in una cornice metallica, in cui si riflette parte della natura circostante. In questa riflessione si scorgono tutte le dinamiche messe in azione dai processi trasmutativi dell’alchimia, relazioni e metafore che hanno attirato l’attenzione di Carl Gustav Jung, lo psicanalista che con le sue interpretazioni nel Novecento ha aperto nuove possibilità di indagine, attraverso rispecchiamenti e analogie tra ciò che accade nella Grande Opera e i misteriosi processi della psiche(11). E partendo dalla intuizione e convinzione dell’esistenza di archetipi associabili ai simboli alchemici, anche molti pittori, scultori, poeti e scrittori hanno portato nelle loro opere l’immaginario dell’“Ars Regia”.


Anonimo, dal Rotolo di George Ripley (1570 circa), particolare del drago; New Haven, Beinecke Library.

(10) Il loro numero fa pensare che vi sia un collegamento numerico o simbolico con le 21+1 immagini di Abramo l’ebreo, descritte da Flamel, o con i 22 arcani maggiori dei Tarocchi. Lo Splendor Solis più antico, realizzato ad Augusta e commentato in tedesco, ora conservato negli Staatliche Museen, Kupferstichkabinett di Berlino, viene datato tra il 1532 e il 1535. Un prezioso codice miniato (Harley 3469) del 1582 è conservato al British Museum di Londra. Altre copie successive del trattato si trovano nei musei di Kassel, Berna, Parigi e Norimberga.
(11) Si veda: C. G. Jung, Psicologia e alchimia (ed. originale, 1944), Torino 1981.

Salomon Trismosin, Regina alata (personificazione della Natura-Alchimia), da Splendor Solis (XVI secolo), manoscritto Harley 3469, f. 18v; Londra, British Library.


Salomon Trismosin, Rebis alchemico, da Splendor Solis (XVI secolo), manoscritto Harley 3469, f. 19v; Londra, British Library.

ARTE E ALCHIMIA DALL'ANTICO AL CONTEMPORANEO
ARTE E ALCHIMIA DALL'ANTICO AL CONTEMPORANEO
Mauro Zanchi