nel 1901, quando la regina Vittoria scomparve dopo più di sessant’anni di regno, gli scambi economici e culturali fra Inghilterra e India avevano raggiunto livelli di grande intensità. La sovrana stessa, divenuta imperatrice d’India nel 1876, aveva intrecciato rapporti con maharaja, fra i quali l’esule Duleep Singh del Punjab, “erede” del favoloso diamante Koh-i-Noor. Ai primi del Novecento, analogamente, Alessandra di Danimarca, moglie di re Edoardo VII successore al trono britannico, nutrì un forte interesse per le terre d’Oriente, fonte di gioielli ricchi di valori storici e simbolici, e di quelle perle che molto amava. La sovrana fu assistita nella ricerca di preziosi da Pierre Cartier, che dirigeva la sede londinese della Maison parigina. Il fascino dell’India aveva peraltro radici antiche. La Compagnia britannica delle Indie Orientali - fondata nell’anno 1600 da Elisabetta I, secoli prima che la potenza inglese instaurasse ufficialmente il suo dominio nel subcontinente indiano - aveva intessuto fitte trame commerciali assorbendo la cultura locale e imponendo costumi e regole della madre patria. I suoi funzionari, gli “angloindian”, grazie ad abilità e propensione per l’avventura si arricchirono enormemente. Detti “nabob” - da cui il termine nababbo -, divennero leggendari per quantità e qualità di doni, gioielli in primis, ricevuti dai governanti locali: maharaja, nawab o nizam.
Lo studioso di culture orientali Gian Carlo Calza - cocuratore della mostra Tesori dei Moghul e dei Maharaja che fino al 3 gennaio 2018 svela a Venezia duecentosettanta preziosissimi oggetti e gioielli provenienti dalla collezione dello sceicco del Qatar Hamad bin Abdullah Al Thani - sottolinea il ruolo di “trait d’union” con il Vecchio continente svolto proprio da quegli “anglo-indian”. L’arco cronologico espositivo giunge a oggi partendo dal Cinquecento, epoca in cui il conquistatore Babur, discendente da Tamerlano, si impossessò dell’Indostan (1526) sconfiggendo il sultano Ibrahim Lodhi. Da lui si sarebbe dipanata la dinastia dei Moghul. Fondendo lo splendore delle culture timuride, persiana e indiana, Humayun, figlio di Babur, stimolò lo sviluppo delle arti nell’India settentrionale. Uno dei più gloriosi eredi di Babur fu Akbar, sovrano di eccezionale tolleranza religiosa nonché fine esteta.