Il secondo dopoguerra fu caratterizzato dal definitivo trionfo della cultura statunitense (della quale la componente disneyana era parte integrante)
che divenne un punto di riferimento nel mondo, per quel che riguardava la musica, la cinematografia (d’animazione e non) e il fumetto. Non è un caso che nel corso della seconda metà del XX secolo, in Italia, il giornale “Topolino”, passato dall’editore Nerbini alla Mondadori venisse trasformato da mensile in quindicinale e poi in settimanale(24). Così, quando nel 1950 nelle sale cinematografiche uscì Cinderella (Cenerentola) si può dire che fosse un successo annunciato, anche se alla Disney tutti sapevano che se non ci fosse stata adeguata risposta al botteghino, si sarebbe rischiata - per l’ennesima volta - la chiusura. La Walt Disney Production intendeva riprendere il filo del discorso e ricostruire quel rapporto con il pubblico che le precedenti esperienze di Fantasia, Pinocchio e Bambi (troppo crudo e triste per le aspettative dei fan della Disney) avevano appannato. Dal punto di vista dell’argomento, la favola di Charles Perrault era una vecchia conoscenza degli Studios in quanto, già nel 1922, era stata il soggetto di un cortometraggio per la serie delle Laugh-O-Gram che, adesso, pareva particolarmente adatta allo scopo. Prima della versione di Walt Disney, il modello di riferimento per questa favola (come, del resto, per molte altre a cominciare da Cappuccetto Rosso) era Gustave Doré che aveva illustrato l’edizione uscita a Parigi nel 1867 e che aveva ambientato il racconto in un Seicento francese ricco di pizzi e di colletti inamidati col “lattughino”, come mostra la scena della prova della scarpetta. Altre illustrazioni si succedettero nel corso dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento, come quelle di Walter Crane, che optò per un neoclassicismo di maniera e le altre di Arthur Rackham che corredò d’immagini la versione narrata e adattata da Cristopher S. Evans, pubblicata nel 1919 a Londra e a Filadelfia(25).
(24) “Topolino libretto”, comunemente detto “Topolino”, è un periodico rivolto ai ragazzi che accoglie storie a fumetti i cui protagonisti sono i personaggi Disney. Il fascicolo è nato nel 1949 grazie a Mario Gentilini che, da collaboratore della redazione del “Topolino giornale”, diventa direttore del “Topolino libretto”, che soppianterà l’altro diretto da Federico Pedrocchi. Cfr. L. Boschi, in Topolino Story 1949, Milano, p. 180.
(25) L’edizione di Evans si presentava come: C. S. Evans (raccontato da), Cinderella, Londra 1919. Sulla Cenerentola Walt Disney: O. De Fornari, op. cit. pp. 56-57.
Gli animatori Disney scelsero un’età indefinita alla fine del XIX secolo, in una città indefinita che stava fra Londra e Parigi, ma arricchirono la storia di ulteriori elementi narrativi che provenivano direttamente dalla tradizione favolistica inglese. È il caso dei topini che aiutano Cenerentola nel tentativo (del tutto assente nella favola di Perrault) di realizzare il vestito per il gran ballo. La piccola storia prende spunto dalla novella di Beatrix Potter intitolata The Tailor of Gloucester (Il sarto di Gloucester), illustrata con deliziosi disegni dalla stessa scrittrice. Uscita a Londra nel 1903, la storia racconta di topini che, per gratitudine, aiutano un povero sarto malato a confezionare in tempo il vestito per il sindaco della città(26). I topi della Potter ricordano molto da vicino quelli della Cinderella di Disney e, come quelli, ispirano simpatia e tenerezza. La più bella trovata del film, però, fu la carrozza ricavata dalla zucca, invenzione geniale di Mary Blair che rinnovò del tutto l’immagine del cocchio, ora distante da quella tradizionale e scontata concepita, per esempio, da John R. Neill, per la Cinderella or the Little Glass Slipper, pubblicata a Chicago nel 1908.
(26) Su Beatrix Potter, fra topolini e coniglietti: J. Taylor, That Naughty Rabbit: Beatrix Potter and Peter Rabbit, Londra 2002. Su Gustave Doré: Ph. Kaenel, op. cit., 165-172.
Recuperato il favore del pubblico, la Disney si lanciò subito in un’altra impresa il cui soggetto, come questo appena descritto, era ben noto agli Studios visto che, per anni, erano state il loro prodotto di punta. A differenza delle Alice Comedies che si basavano sulla compresenza di attori in carne e ossa e cartoni animati, Alice in Wonderland (che mette insieme entrambi i romanzi di Carroll con protagonista Alice, ossia anche Alice al di là dello specchio) era, invece, un lungometraggio con solo disegni. Della favola di Lewis Carroll, uscì nel 1907 una ricca edizione pubblicata a Portsmouth negli USA dall’editore Heinemann e illustrata da Arthur Rackham. Il tratto ancora art nouveau del grande disegnatore londinese si allontanava da quello asciutto e spigoloso di Sir John Tenniel che era considerato l’illustratore ufficiale del capolavoro del matematico e romanziere inglese.
Fu forse per questo che Rackham ebbe maggior ruolo nel gioco della contaminazione artistica, da cui Eric Larson seppe ricavare uno straordinario Brucaliffo con tanto di babbucce dorate per buona parte delle sue zampette. Alla grande capacità di Ward Kimball, invece, si devono la figura del Cappellaio matto, le scene della tavola e buona parte dei personaggi secondari e folli come il gruppo di “ornitotrombe” che rispecchiano la passione di Kimball per il jazz, trasfigurata dal contagio onirico con i mostri musicali di Jheronimus Bosch.
D’altra parte, non è difficile scorgere nelle soluzioni adottate anche le tracce dell’intenso, anche se breve, rapporto con Salvador Dalí frequentato da Walt Disney nel 1949, com’è già stato ricordato. Mediata dalla sapienza cromatica di Mary Blair, l’atmosfera di Alice in Wonderland, uscito nelle sale nel 1951, è quella surreale in cui il gusto per il “nonsense” verbale si sposa con quello iconico in personaggi memorabili come lo Stregatto nato, pure lui, dalla matita di Kimball(27). Fu forse questo, il difetto del film, ancora una volta troppo sofisticato per i gusti del pubblico che, tuttavia, subito si riconciliò con la fantasia disneyana due anni più tardi, quando venne proiettato nei cinema Peter Pan. Basato sul celebre romanzo per ragazzi di Sir James Matthew Barrie, intitolato Peter and Wendy, tanto il libro quanto il film raccontano le storie dei piccoli della famiglia Darling, davvero conosciuta da Barrie, che sono coinvolti in un’avventura da sogno a Neverland, l’Isola che Non C’è, dove li guida Peter Pan, umanizzazione fiabesca dello spirito ribelle della condizione di bambini e ragazzi. La versione disneyana della fiaba trae ispirazione dalle illustrazioni di Francis Donkin Bedford che corredarono la prima edizione del 1911, talora seguite da vicino, come nel caso della scena in cui Peter Pan entra nella stanza di Wendy, mentre in altri casi se ne allontana, come per il personaggio di Captain Hook (il nostro Capitan Uncino), disegnato da Frank Thomas, che si allontana da quella sorta di Capitan Fracassa spettinato disegnato da Bedford(28).
(27) Sull’Alice di Walt Disney: O. De Fornari, op. cit. pp. 57-58. Su John Tenniel: R. K. Engen, Sir John Tenniel: Alice’s White Knight, Brookfield (Vermont) 1991; Eric Larson e Ward Kimball appartengono alla prima generazione di animatori Disney e, in particolare, all’équipe dei cosiddetti “Nine Old Men”. Su questo “magico” gruppo: J. Canemaker, Walt Disney’s Nine Old Men and the Art of Animation, New York 2001. Su Jheronimus Bosch: M. Bussagli, Bosch. Tavole di diverse bizzarrie, Firenze 2016, in particolare p. 227.
(28) Su F. D. Bedford: H. L. Mallalieu, The Dictionary of British Watercolour Artists up to 1920, I, New York 1986 p. 36. La prima edizione di Peter Pan: J. M. Barrie, Peter Pan e Wendy, Londra, New York 1911. Su Frank Thomas: J. Canemaker, Walt Disney’s Nine Old Men, cit., p. 84.
Dopo la parentesi “zoocentrica” di Lady and the Tramp (Lilli e il vagabondo) gli Studios ripresero la formula inossidabile della fiaba da reinventare per il sempre più esigente pubblico del XX secolo; fu così la volta di Sleeping Beauty (La bella addormentata nel bosco), proiettato nel 1959 nei cinema. Con sei milioni di dollari d’investimento e quasi dieci anni di lavorazione, fu uno dei lungometraggi più impegnativi della Walt Disney, il cui taglio artistico fu affidato a Eyvind Earle che ora sostituiva Mary Blair. Eyvind, dalla solida preparazione artistica, pittore professionista gratificato, tra l’altro, dall’acquisto di una sua opera da parte del Metropolitan di New York, aveva il gusto per la stilizzazione, come nella sequenza del principe che attraversa la foresta di rovi, vicina alla versione di Rackham nell’edizione della fiaba del 1920, per l’adattamento di Christopher Evans. Del resto, questo processo di semplificazione si percepisce bene nella scena del castello dove la principessa Aurora sta per toccare il fuso. Mentre tutte le illustrazioni, a cominciare da quella di Alexander Zick del 1885 presentano la maga cattiva, Disney concentra l’attenzione solo sulla protagonista e l’oggetto che rifulge di una sinistra luce verde, salvo poi far apparire Malefica, nata dalla matita di Marc Davis(29). Fu questo l’ultimo lungometraggio dedicato alla grande tradizione favolistica europea che aveva fuso insieme le due versioni dei Grimm e di Perrault.
(29) Su Marc Davis: J. Canemake, op. cit. p. 78. Su Alexander Zick, si veda sub voce, in Allgemeines Künstlerlexikon. Bio-bibliographischer, X, Monaco 2000, p. 737. Su Eyvind Earle è ancora in corso una mostra presso The Walt Disney Family Museum di San Francisco: I. Szasz, M. Labrie (a cura di), Awaking Beauty: The Art of Eyvind Earle, catalogo della mostra (San Francisco, The Walt Disney Family Museum, Diane Disney Miller Exhibition Hall, 18 maggio 2017 - 8 gennaio 2018), New York 2017.
Le opere successive s’ispirarono ad altri filoni narrativi, a cominciare da The Sword in the Stone (La spada nella roccia, 1963), ispirato al ciclo dei cavalieri della Tavola rotonda e, in parte, alla bella edizione curata da Alfred Pollard con le tavole di uno splendido Rackham. Con gli anni Novanta del secolo scorso, però, la Disney riprese a produrre fiabe, come nel caso di La Sirenetta (The Little Mermaid) di Andersen e a Beauty and the Beast (La Bella e la Bestia) ispirata alla pellicola di Jean Cocteau del 1946, ben lontana dalla versione un po’ ingenua di Walter Crane che aveva fatto della Bestia un enorme cinghiale. Il personaggio di Disney uscì dalla matita di Glen Keane, uno dei grandi animatori della nuova generazione. Colto e attento, dichiarò di essersi ispirato all’arte rinascimentale italiana e, in particolare al nonfinito di Michelangelo per rappresentare il passaggio dal bestiale all’umano nelle scene finali del lungometraggio. A Keane si devono anche la realizzazione della ricordata Sirenetta, di Aladdin (“Aladino”, 1992) e Pocahontas (1995). Nel primo caso, però, il genio si deve a un gruppo di disegnatori che combinarono vari spunti, dalle bellissime illustrazioni di Dulac alle fisionomie di Tom Cruise e del caricaturista Albert “Al” Hirschfeld. Quella di Pochaontas, invece, è una storia vera che viene presa a metafora dell’aspirazione al felice incontro di due culture diverse e ostili fra loro. Keane si è occupato direttamente dell’eroina indiana e ne ha trasfigurato le fattezze reali in quelle di una statuaria bellezza dei nativi d’America(30).
(30) Per i film Disney citati: G. Nader, op. cit., pp. 284-293. Su Walter Crane: L. Delaney, Walter Crane. A Revolution in Nursery Picture Books, in “Books for Keeps”, 185, novembre 2010, pp. 4-5. Anche digital edition: http://booksforkeeps.co.uk/ issue/185/childrens-books/articles/other-articles/walter-crane-a-revolution-in-nursery-picturebooks. Sul lavoro di Glen Keane, il suo stesso libro: G. Keane, The Art of the Disney Princess, New York 2009.
Marco Bussagli
La presente pubblicazione è dedicata a Disney e l'arte. In sommario: Un nome per sognare; L'ambiente familiare e gli esordi; Topolino e la sua banda; I capolavori: da Biancaneve a Fantasia; Disney l'americano: i racconti dello zio Tom; I grandi film: da Cenerentola a Pocahontas; Disney, fra arte e anatomia; Fra effetti speciali ed elettronica: la Pixar; I parchi di divertimento. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.