Grandi mostre. 6
Vincent van Gogh a Vicenza

nel colore, la luce
e il tormento

Un artista che non ha bisogno di presentazioni. Vincent van Gogh con un cospicuo numero di opere è protagonista alla Basilica palladiana di un progetto espositivo che ripercorre la sua breve vita attraversata da fasi di grande entusiasmo creativo e da momenti di grave instabilità emotiva.

Melisa Garzonio

Van Gogh, l’artista più visto di sempre. A un mese dall’apertura alla Basilica palladiana, la mostra Van Gogh. Tra il grano e il cielo (fino all’8 aprile 2018), fiore all’occhiello della stagione artistica vicentina, che ha come immagine guida Il ponte di Langlois ad Arles (1888), raccoglie (e accoglie) giorno dopo giorno stuoli di fan del leggendario pittore olandese. Si parte dagli anni di Nuenen, periodo caratterizzato da quadri bui, nero su nero, che raffigurano il duro lavoro dei contadini, e si procede in modo rigorosamente cronologico.
Spiega il curatore dell’esposizione Marco Goldin: «Giunto alle settimane finali della sua vita ad Auvers-sur-Oise, poco a nord di Parigi, tocca a un covone sotto un cielo nuvoloso, che per alcuni studiosi rappresenta l’ultima tela dipinta da Van Gogh. Sia come sia, si tratta di un vero e proprio testamento spirituale». Il pittore più amato, oggi venerato come una star. «In realtà, Vincent van Gogh aveva orrore del successo. Dipingeva per toccare il cuore della gente», fa notare lo stesso curatore, nonché manager, che sul talento di Vincent e degli impressionisti ha costruito con la sua società Linea d’ombra un solido business di mostre ed eventi. Record assoluto nel 2002, quando con L’impressionismo e l’età di Van Gogh alla Casa dei Carraresi di Treviso vennero venduti più di seicentomila biglietti. Van Gogh, un artista dalla produttività imbarazzante, che in soli dieci anni, dal 1881 al 1890, completò ottocento tele e ben millecinquecento disegni.


Il ponte di Langlois ad Arles (1888), Colonia, Wallraf-Richartz- Museum & Fondation Corboud.

Campo di papaveri (1890), L’Aja, Gemeentemuseum, in prestito dal Cultural Heritage Agency of the Netherlands di Amersfoort; Ulivi (1889), Edimburgo, Scottish National Gallery.


Il giardino dell’ospedale a Saint-Rémy (1889), Otterlo, Kröller-Müller Museum.

Cercherà la luce nei colori semplici, verde, ocra



Circa ottocento sono anche le lettere che scrisse al fratello minore Theo, facendolo testimone della sua arte e della sua tragedia. Geniale e incontentabile. Scriveva a Theo con incredibile senso dell’ironia: «Mi sentirei disperato se le mie figure fossero fatte bene».
Per Goldin «è un artista che nella pittura ha investito tutto se stesso. Il potere di fascinazione, l’empatia e il senso di smarrimento che scaturisce dalle sue opere è rimasto miracolosamente intatto».
Van Gogh, per il curatore veneto, è un punto di riferimento. Un discorso aperto, che prosegue con la nuova mostra di Vicenza: «Van Gogh non ha bisogno di pretesti per essere celebrato ». Con ottantasei disegni e quarantatre dipinti della collezione Van Gogh del Kröller-Müller Museum di Otterlo, depositario di oltre i due terzi dell’intera produzione dell’artista, e i prestiti di una decina di altri musei la mostra ricostruisce l’intera vicenda biografica dell’artista, dedicando un’attenzione speciale agli anni olandesi, dal 1880 al 1885. Dopo un breve apprendistato nell’atelier di Anthon van Rappard, pittore all’Accademia di belle arti di Bruxelles, Vincent ritorna dalla sua famiglia, nel presbiterio di Etten (suo padre era un pastore protestante) e si dedica esclusivamente al disegno.
«Caro Theo», scriverà al fratello dalla clinica psichiatrica di Saint-Rémy-de-Provence nel 1889, «nonostante tutto riprenderò la matita che avevo abbandonato nel mio grande scoraggiamento, mi rimetterò a disegnare; e da allora mi sembra che sia tutto cambiato per me, e ora sono in cammino, e la mia matita è diventata un poco più dolce»(*). Sono opere su carta, indissolubilmente legate al senso delle lettere che Vincent inviava al fratello, lavorate a carboncino, a matita, con i gessetti e a penna, all’acquerello, disegni che a volte sono creazioni autonome, in altri casi prefigurano l’incanto di quadri futuri. Li ritroviamo, dipinti e disegni, simili a sentinelle solitarie, custodi di un dolore indicibile maturato nell’arco di dieci anni, in un allestimento pensato come un viaggio senza ritorno nel dolore, come una sorta di Via Crucis vangoghiana, tra Brabante olandese e Francia, da Parigi ai cieli azzurri della Provenza, dal sole del Midi ai campi di grano di Auvers-sur-Oise, dove il 27 luglio del 1890 Vincent si suiciderà sparandosi al cuore.


Il giardino dell’ospedale a Saint-Rémy (1889), Otterlo, Kröller-Müller Museum.

Sentinelle solitarie,
custodi di un dolore indicibile


Il giardino dell’ospedale a Saint-Rémy (1889), Otterlo, Kröller-Müller Museum.Alcuni fogli come Il seminatore e Vecchio che soffre suggeriscono affettuose condivisioni con il crepuscolare Anthon van Rappard e, più ancora, con Jean-François Millet, il pittore di spirituali scene contadine che Van Gogh tanto amava nei suoi primi anni di pittura, al punto che di lui scriverà, in una delle lettere al fratello Theo: «Per me non è Manet, ma Millet il pittore moderno grazie al quale l’orizzonte si è aperto davanti a noi».
Negli stessi anni Vincent idealizza, facendone i propri modelli, i paesaggisti dallo stile fotografico della Scuola dell’Aja, una sorta di versione olandese della scuola francese di Barbizon, i cui maestri erano Jozef Israëls, i fratelli Maris e Anton Mauve, imparentato con la famiglia Van Gogh tramite sua moglie, Jet Carbentus, cugina della madre di Vincent. In mostra ci sono alcuni confronti, e non è difficile ritrovare nella tavolozza scura, in stile fiammingo, di questi artisti, le prime scene rustiche dipinte da Van Gogh nel Drenthe, provincia settentrionale dei Paesi Bassi. E poi, ci sono fogli francesi del suo penultimo anno, a Saint-Rémy-de-Provence, quando Vincent è un paziente psichiatrico del manicomio di Saint-Paul de Mausole, depresso a causa della rottura con l’amico Paul Gauguin, ad Arles. Dopo che in una crisi di autolesionismo si è reciso il lobo di un orecchio, i medici gli hanno tolto i colori a olio, temendo che li ingerisca, avvelenandosi. Il provvedimento durerà tre mesi. Disperato, Van Gogh scaricherà poi il suo malessere sublimando su grandi fogli bianchi i luoghi tetri dell’ospedale. Cercherà la luce nei colori semplici, verde, ocra.

Il seminatore (da Millet) (1890), Otterlo, Kröller-Müller Museum.


Il seminatore (1882).

La natura tormentata del paesaggio delle Alpilles, catena montuosa della Provenza di Arles, gli ispirerà il giardino di cipressi che ondeggiano verso la luna, gli ulivi dalle incredibili sfumature verdi e azzurre. «Ho cercato alcuni effetti del contrasto fra il fogliame cangiante e tutti i toni del cielo», scriveva. Ecco la finestra della stanza che gli fu concessa per dipingere, il corridoio, il vestibolo dove scontava, senza colpa, il suo debito con la vita. Colpa da cui si autoassolverà ad Auvers, sotto un cielo blu solcato da un volo di corvi neri.

Vecchio che soffre (Alle porte dell’Eternità) (1890), Otterlo, Kröller-Müller Museum.


Vecchio che soffre (1882) Otterlo, Kröller-Müller Museum.

(*) Lettere a Theo, a cura di M. Goldin e S. Zancanella, Treviso 2017.

ART E DOSSIER N. 348
ART E DOSSIER N. 348
Novembre 2017
In questo numero: PICASSO E TOULOUSE-LAUTREC tra Madrid e Milano. VISIONE E INGANNO Escher e Cartier-Bresson. IN MOSTRA: Arte ribelle a Milano, De Stijl, Dutch Design e Dutch Masters in Olanda, Cuno Amiet a Mendrisio, Peyton e Claudel a Roma, Van Gogh a Vicenza, Rinascimento giapponese a Firenze.Direttore: Philippe Daverio