Le molteplici fonti d’ispirazione (psicologia, matematica, poesia, fantascienza, l’arte dal Medioevo al Liberty alle avanguardie del cubismo, futurismo e surrealismo), la meraviglia per le leggi che governano il mondo e la consapevolezza dell’infinita possibile materia di studio consentono a Escher di combinare l’arte con la scienza, e di farlo in un modo originale particolare e raro. Egli ci avverte di quanto la vita non sia fatta di una cosa sola, ma di una strana alchimia di contenuti e forme, verità e finzione, realtà e sogno, in cui si può testardamente seguire una per perdere l’altra - come accade nelle sue divisioni dei piani, in cui inseguire il nero significa perdere il bianco -, oppure apprezzare una visione d’insieme che è sempre più della somma delle sue parti.
La dimensione quasi onirica della
Pozzanghera contraddistingue anche altre opere dell’artista olandese, per esempio in
Vincolo d’unione le realtà si confondono in mezzo a sfere fluttuanti in un universo immaginario: come spiega lo stesso Escher, due spirali che rappresentano la testa di un uomo e di una donna confluiscono l’una nell’altra, quasi un nastro senza fine, con le fronti congiunte e con l’effetto tridimensionale intensificato da sfere che si muovono davanti, dietro e all’interno dei visi vuoti. Possiede un fascino misterioso questa realtà sfuggente ove l’oggettività può essere raggiunta solo grazie alla somma di tante sfere soggettive: Escher, non a caso, parla proprio di “unità doppia”. E forse ci sembrerebbe lecito evidenziare in questa opera il debito artistico nei confronti di Magritte, maestro surrealista nonché tra i suoi principali ispiratori. In Gli amanti l’immagine di un bacio, raffigurato con ciascun volto avvolto in una stoffa bianca, è tanto intensa quanto paradossale: spicca, infatti, l’antinomia tra il bacio e l’assenza di sguardo e tra l’incontro e l’impossibilità di uno scambio, e certo non sfugge l’ossimoro dei corpi che si toccano rispetto ai corpi che non vedono. La potenza sta proprio in questo: la presenza del contatto stride con l’assenza della vista e, come in Escher, nel doppio si ritrova l’unità.
L’immaginario pittorico dei due artisti potrebbe incontrarsi anche nella suggestiva rappresentazione del
Paese dei miracoli di Magritte, in cui dal vaso bianco si allarga forse una pianta o forse un’apertura nella parete nera: ma con sottile azzardo, perché non pensare alla sagoma di una pozzanghera “smerlata” che, tra cielo e terra, come uno specchio riflette luna nuvole e alberi?
Il mondo fluttuante
(7) che vive nella “visual imagery” delle pozzanghere prende forza in un altro “surrealista”, Henri Cartier-Bresson
(8), un sognatore di professione, un equilibrista dell’anima, uno che grazie all’influenza del surrealismo manterrà l’abitudine di considerare il mondo, le persone e la vita da una prospettiva più spesso obliqua che frontale e, come il pittore nell’isolamento del suo atelier insegue sempre la medesima opera, così lui, da fotografo, sulla scia del magico incontro tra caso e necessità, insegue la medesima foto, il mondo riflesso nell’acqua di una pozzanghera. Nell’
Isle-sur-la Sorgue lo sguardo di Cartier-Bresson - «azzurro, trasparente e vago che fluttuava senza pesantezza su tutto quanto lo circondava, sembrava non privilegiare nulla, e tuttavia era come in perpetuo agguato»
(9)- cerca la bellezza nel mistero e, convinto che nella vita l’unico appuntamento da prendere sia con il caso, rimane ricettivo, in una condizione propizia agli incontri più folgoranti. E per «operare con quella mirabile rapidità, gli era necessaria una leggerezza, qualcosa di aereo, di mercuriale. Ermes, dio del commercio e dei ladri, potrebbe anche essere il dio dei fotografi. Di argento vivo, il suo apparecchio come blasone, discepolo del sapere ermetico, il fotografo, rubando i poteri del dio dal petaso e dai piedi alati, pretende di sottrarre al crocevia delle apparenze l’istante che folgora, e conserva qualcosa della scintilla del dio. Ladro del fuoco, il fotografo deve rimanere sempre invisibile»
(10).
E ancora
Place de l’Europe,
Gare Saint-Lazare offre l’istantanea di un uomo che salta una grande pozzanghera, un salto che resta sospeso nel tempo, da parte dell’artista nessun metodo, nessuna tecnica, piuttosto un modo di vivere: la vita va presa alla sprovvista. E se la perfezione grafica dell’immagine si deve al suo occhio e il ritmo straordinario, la ricchezza di particolari, il gioco dei riflessi e l’alchimia di linee rette e curve scaturiscono dal suo intuito, cosa dire del piccolo manifesto sullo sfondo in cui la posa e la grazia di una ballerina sembrano schernire la goffaggine dell’uomo? Una possibile risposta, l’elogio del critico Jean Clair: «Ho sempre ammirato la sicurezza impareggiabile con cui Cartier- Bresson colava in uno stampo di eternità gli aspetti più contingenti della vita»
(11).
Infine, una curiosità: l’artista contemporanea Zoulikha Bouabdellah
(12) nell’opera
Nudo inserito nella nera cornice in cui si confondono mare e cielo non sembra riecheggiare, seppure con il fine tutto provocatorio di porre al centro il corpo della donna, il simbolismo legato alla pozzanghera “smerlata” e al suo mondo fluttuante?