una manager
dell'arte

Intervista a Muriel Mayette-Holtz, direttrice dell’Accademia di Francia a Roma.


di Marco Bussagli

visto che oggi c’è una sorta di “guerra delle parole” sul genere maschile e femminile, lei preferisce farsi chiamare “direttore” o “direttrice”?
Preferisco “direttrice” perché quando sono stata al la Comédie Française, la mia funzione era “administratrice” della Comédie Française a Parigi. Ero anche la prima donna a dirigere questa istituzione (ho avuto due mandati) e c’era una donna, che è molto importante, un’avvocatessa, Gisèle Halimi, che ha lavorato tanto per difendere la causa femminile, la quale mi ha detto: «Ha torto [a mantenere “administrateur” n.d.r.] perché dal momento che abbiamo potuto dire “studentessa” è diventato normale per una donna studiare». Allora, ho pensato che avesse ragione e che dovessi mostrare un esempio e allora ho cambiato il mio nome in “amministratrice” e da quando sono arrivata qui “direttrice” anche perché sono la prima donna a guidare anche questa istituzione. È importante per la mente delle persone. Infatti, finché mi faranno questa domanda, vuol dire che il problema esiste e quando non me la faranno più, vorrà dire che il problema è risolto.
La sua carriera di attrice e regista di fama, è nota. Tuttavia, la direzione di un ente prestigioso come Villa Medici si misura con una realtà più strettamente legata alla dimensione iconica dell’arte. Ha trovato, in questo, qualche difficoltà?
Io sono attrice e anche regista, ho fatto circa quarantacinque spettacoli e per fare uno spettacolo devo lavorare con tutti gli artisti: la scenografia, la musica, i costumi, anche gli autori, gli attori. Perciò sono tante discipline insieme. È molto difficile unire tutti questi artisti. Penso che fare il regista sia molto più difficile che essere direttore, perché si tratta di mettere insieme un corpo che si chiama “spettacolo” che sia elastico e forte nello stesso tempo. Allora è la medesima cosa che faccio qui. Certo non sono specialista di tutte le discipline, ma sono abituata a dirigere insieme i diversi artisti. Allora quello che metto in scena qui è uno straordinario spettacolo.
La sua carriera di attrice e regista l’ha messa in relazione anche con il teatro italiano, interpretando classici come Il berretto a sonagli di Pirandello, oppure sperimentandosi nella regia di Mistero buffo di Dario Fo. Qual è il suo rapporto con la cultura italiana?
Adoro il teatro italiano che ho introdotto nel repertorio della Comédie Française con opere di Dario Fo, ma anche Eduardo De Filippo; abbiamo fatto uno spettacolo con Fausto Paravidino; Pirandello e Goldoni c’erano già. La gente, in Italia, è molto teatrale e, a volte, sembra uno spettacolo camminare a Roma per la città, con le persone che gesticolano e la lingua che sembra cantare sempre. Così, gli italiani hanno un rapporto naturale con il teatro. Anche per noi francesi è impressionante perché è sempre magico. Credo molto nello sforzo dell’Europa e anche io, come vede, cerco di passare da una lingua all’altra.
Con la sua direzione, Villa Medici si è aperta molto al territorio italiano, quali sono i programmi per il futuro?
Continueremo a proporre “I giovedì della Villa” perché funzionano bene e danno la possibilità di accogliere tutte le discipline e personalità diverse e soprattutto mi permettono di coinvolgere i borsisti senza fare la “Programmazione della direttrice”. In questo modo, posso coinvolgere il pubblico perché noi artisti non dobbiamo mai dimenticare che c’è uno spettacolo se c’è un pubblico. Abbiamo fatto un Festival ¡Viva Villa! a Parigi (Città internazionale delle arti - quartiere di Montmartre, 30 settembre - 7 ottobre 2017) insieme alla Casa de Velázquez [istituto di ricerca francese a Madrid n.d.r] e alla Villa Kujoyama [istituto francese a Kyoto, fondato nel 1992 sul modello di Villa Medici n.d.r.], che sono altre due istituzioni francesi, per spiegare al pubblico francese a cosa servono queste istituzioni. Si vedrà così anche l’influenza del paese ospitante sui vari artisti che non sono solo francesi, ma che provengono da ogni nazionalità, ospitati nelle rispettive sedi da borsisti. È molto interessante. Faremo a dicembre una mostra sulla luce, ospitata in giardino. Stiamo cercando i soldi, ma ci riusciremo. Continuiamo il ciclo di mostre Une, con Elizabeth Peyton, in seguito ci saranno altre donne, ma poi, per dare un equilibrio, cambieremo soggetto.
C’è qualche sogno nel cassetto che non è riuscita a realizzare?
In realtà, no… perché quando ho un’idea cerco di metterla in pratica. Il mio progetto più immediato è quello della mostra sulle luci e poi continuare con tante idee che ho nella testa. Tengo poi molto al Festival di Parigi che spero possa diventare una sorta di “Biennale di Venezia”, ma a Parigi, da qui a dieci anni. 




Muriel Mayette-Holtz e il suo studio all’Accademia di Francia a Roma.

ART E DOSSIER N. 348
ART E DOSSIER N. 348
Novembre 2017
In questo numero: PICASSO E TOULOUSE-LAUTREC tra Madrid e Milano. VISIONE E INGANNO Escher e Cartier-Bresson. IN MOSTRA: Arte ribelle a Milano, De Stijl, Dutch Design e Dutch Masters in Olanda, Cuno Amiet a Mendrisio, Peyton e Claudel a Roma, Van Gogh a Vicenza, Rinascimento giapponese a Firenze.Direttore: Philippe Daverio