Dall’introduzione del buddhismo al periodo Nara (552-784)
L’anno 552 segna un momento cruciale nella storia del Giappone. Fu allora che il sovrano del regno coreano di Paekche inviò all’imperatore giapponese icone e documenti buddhisti. L’élite politica non solo assimilò in breve i complessi precetti della dottrina di origini indiane ma impose anche che il buddhismo diventasse religione di Stato.
Non fu difficile per la regola del Buddha soppiantare in questo ruolo lo shintoismo, la dottrina indigena del Giappone, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. La “via degli dei” (“shintō”), un insieme non codificato di credenze animistiche, non aveva in partenza questo genere di ambizioni, nonostante il santuario di Ise fungesse da tempio della famiglia imperiale già da tempo, così che, nel corso dei secoli, il suo vastissimo pantheon di divinità (fenomeni della natura, esseri sovrannaturali, antenati e uomini di valore) sarebbe stato assimilato da quello buddhista, generando un curioso sincretismo religioso.
Il buddhismo arrivò in Giappone al culmine del suo sviluppo, organizzato in una gerarchia di monaci ai quali lo Stato concedeva l’uso di terre per ospitare templi. Il principe Sho‐toku (574-622) fu il maggior promotore del buddhismo, e a lui si deve l’adozione di molti princìpi confuciani di origine cinese per regolamentare la macchina burocratica. Egli impose inoltre l’uso del sistema di scrittura cinese, il quale fu progressivamente adattato alla fonetica giapponese con l’ausilio di due sistemi sillabici che consentivano una completa traduzione della lingua nipponica. I primi testi scritti sono il Kojiki (“Un racconto di antichi eventi”, 712) e il Nihonshoki (“Annali del Giappone”, 720), nei quali si dà conto della storia dell’arcipelago, dalle sue origini mitiche fino agli eventi più recenti.
Alla Cina, Shōtoku e i suoi successori si ispirarono per dare una struttura urbanistica alla capitale che per tutto il VII secolo avrebbe continuato a essere spostata ogni qualvolta il sovrano moriva per evitare le influenze maligne. Tuttavia, la città di Asuka, nella piana di Nara, ospitò spesso l’imperatore e il suo seguito, ed è per questo che il periodo tra il 552 e il 645 è conosciuto come epoca Asuka. I decenni successivi, fino al 710, sono noti come periodo Hakuhō , al quale seguì il cosiddetto periodo Nara (710-784), con il quale si decise infine di fondare una capitale stabile. Dal punto di vista storicoartistico il VII e l’VIII secolo costituiscono un momento omogeneo, caratterizzato da una consapevole sinizzazione.
L’architettura buddhista fiorì rapidamente. Furono costruiti numerosi templi, tra i quali l’Ho‐ ryūji nei pressi di Nara, uno dei capolavori in quest’ambito di ogni tempo e di ogni luogo nel mondo. Concepito come un insieme di edifici all’interno di un recinto sacro, questo santuario esprime al meglio i canoni dell’architettura buddhista della Cina di epoca Tang (618-907), notevole prima di tutto per l’utilizzo di sofisticati sistemi di assemblaggio degli elementi lignei portanti delle strutture. All’interno della sua pagoda, del suo Padiglione d’oro (“kondō”), nella sala Yumedono e negli altri edifici del complesso, sono conservate alcune delle opere più importanti del Giappone, punti di riferimento imprescindibili anche per comprendere l’evoluzione stilistica dell’arte buddhista internazionale.
La triade in bronzo dorato con il Buddha affiancato da due “bodhisattva” (divinità che pur avendo raggiunto l’Illuminazione come il Buddha non si ergono a trascendenza ma interagiscono con la mondanità) è opera del 623 di Tori Busshi, scultore proveniente da una famiglia di origini cinesi. La radicale frontalità di questa icona riecheggia i modi della statuaria buddhista coreana del VI secolo. Confrontandola con opere di appena mezzo secolo successive, come l’analoga triade ancora nell’Ho‐ryūji o i dipinti murali che ornano le pareti del “kondo‐ ”, si percepisce lo sforzo degli artisti giapponesi di conferire maggiore realismo e plasticità alle raffigurazioni, secondo soluzioni già sperimentate in Cina. Un’evoluzione che porterà verso la metà dell’VIII secolo alla realizzazione dei più antichi ritratti scultorei, tra i quali la drammatica effige del monaco Ganjin conservata nel tempio Tōshōdaiji di Nara.
Al vertice di tale progresso stilistico si situa l’erezione del Tōdaiji di Nara per volere dell’imperatore Shōmu (701-756) e inaugurato nel 752. Le proporzioni degli edifici di questo tempio si adeguano alla scala vertiginosa del Grande Buddha in bronzo, oggi alto sedici metri ma in origine ancora più colossale. La sala che l’ospita è ancora oggi uno degli edifici in legno più grandi del mondo, pura espressione di quel potere senza limiti che il clero buddhista aveva raggiunto.