IL PERIODO EDO(1615-1868)

Riunificato il paese, Ieyasu avrebbe inaugurato un’epoca di oltre due secoli di pace, nel corso della quale si sarebbero succeduti al potere gli “shōgun” della sua famiglia.

Il periodo Tokugawa è anche noto come periodo Edo, dal nome del borgo sulla costa orientale scelto da Ieyasu come quartier generale. In pochi anni sarebbe diventato una città con oltre un milione di abitanti, l’odierna Tokyo. Per assicurarsi il controllo delle province, gli “shōgun” Tokugawa imposero a tutti i signori feudali di risiedere ad anni alterni nella capitale, fiaccandone così le disponibilità economiche e la possibilità di organizzare insurrezioni. Questa pratica, insieme alle prolungate condizioni di stabilità, rese i “samurai” disoccupati cronici e un peso economico per la società, con la conseguente ascesa della classe dei mercanti. 

Pur non avendo titoli nobiliari, i “chōnin” (i “cittadini”) accrebbero il loro prestigio con la forza del denaro di cui disponevano, stimolando l’insorgere di una letteratura e di un’arte che rappresentassero la loro filosofia e il loro stile di vita. A Kyoto la corte imperiale veniva esautorata da ogni potere decisionale, nonostante l’antica capitale rimanesse un fiorente polo culturale e artistico, con una raffinata produzione di lacche, tessuti, ceramiche e metalli. 

La decisione di proibire a tutti gli stranieri di entrare in Giappone, a eccezione di una comunità cinese e degli olandesi protestanti obbligati a risiedere a Nagasaki, e il contemporaneo divieto a tutti i giapponesi di recarsi all’estero, divenne effettiva nel quarto decennio del Seicento, isolando l’arcipelago dal resto del mondo. Nonostante ciò, il paese - almeno nella prima fase del periodo Edo - prosperò, e le prime difficoltà economiche e sociali si constatarono solo dalla metà del Settecento. 

L’impresa architettonica più notevole dell’epoca fu la costruzione nel XVII secolo del mausoleo di Ieyasu a Nikkō, un luogo immerso in un meraviglioso contesto naturale che si credeva ospitasse molte divinità dello shintoismo. Questo complesso templare è un capolavoro barocco, nel quale dominano gli elaborati intagli e la ricca profusione di policromia e dorature in stile cinese.


Villa di Katsura (1620-1624); Kyoto. La villa di Katsura è probabilmente l’edificio giapponese che più ha influenzato l’architettura internazionale del Novecento, ammirato da personaggi come Bruno Taut e Carlo Scarpa.


Yōmeimon (1635-1636); Nikkō, Tōshōgū. Il grande portale Yōmeimon è l’edificio più spettacolare del Tōshōgu-, il mausoleo dedicato a Ieyasu.

Di gusto opposto è la villa di Katsura, nei dintorni di Kyoto. Edificata tra il 1620 e il 1624 per il principe imperiale Toshihito (1579-1629), è uno scrigno di semplicità e raffinatezza. Ogni dettaglio architettonico e decorativo è frutto della selezione dei migliori materiali a disposizione, distribuiti con eleganza tra esterni e interni, con una particolare attenzione all’interazione tra gli ambienti residenziali e il giardino circostante, secondo quanto suggerito da Kobori Enshū (1579-1647), il più influente intellettuale del tempo. 

Riguardo alla pittura, il periodo Edo vide il proliferare di diverse correnti che si aggiunsero a quelle che si erano sviluppate in epoche precedenti, come le Scuole Kanō e Tosa, la prima favorita dall’élite militare e la seconda dedita a sviluppare temi tradizionali. 

Quest’ultimo soggetto fu il favorito anche dai membri della Scuola Rinpa, tra i quali Ogata Kenzan (1663-1743), valente pittore, calligrafo e ceramista, e il fratello Kōrin (1658-1716). Kōrin espresse chiaramente la sua ammirazione per le opere di Kōetsu e Sōtatsu, alle quali si ispirò per costruire dipinti di grande impatto decorativo, per impaginato compositivo e suggestioni cromatiche. Le sue creazioni possono a uno sguardo superficiale sembrare sterili illustrazioni, ma rivelano la profonda conoscenza di questo artista dei classici della letteratura giapponese, non citati testualmente bensì come interpretazione sintetica e personale. 

Pur avendo interrotto i rapporti ufficiali con la Cina, anche nel periodo Edo l’importante vicino fece sentire il suo influsso.


Ike no Taiga, Ammirando la luna in un capanno sul corso del fiume (1765); Filadelfia, Philadelphia Museum of Art. In questa composizione Ike no Taiga si è ispirato alla Cina non solo nella scelta del tema e nello stile pittorico, ma anche per la poesia vergata in alto a sinistra, opera del famoso autore cinese Bo Juyi (772-846).

Gli “shōgun” Tokugawa promossero con convinzione la filosofia confuciana poiché garantiva loro un maggior controllo della società. In pittura si sviluppò una scuola dichiaratamente vicina ai modi della pittura cinese della Scuola meridionale, teorizzata dall’artista e critico cinese Dong Qichang (1555-1636). Personaggi come Ike no Taiga (1723-1776) e Yosa Buson (1716-1784) furono tra i protagonisti della Scuola Nanga (letteralmente “pittura del sud”) o Bunjinga (“pittura dei letterati”), realizzando opere in cui il paesaggio o le figure si accompagnano a testi calligrafici, di tema sia cinese sia giapponese. 

Nonostante il formale divieto di ingresso agli stranieri, durante il periodo Edo Nagasaki fu per i giapponesi una “finestra sul mondo”. Libri illustrati, incisioni e strumenti ottici europei divennero argomento di studio per molti artisti, che iniziarono a introdurre note di realismo occidentale nelle loro composizioni. A Kyoto furono attivi Maruyama Ōkyo (1733-1795) e Matsumura Goshun (1752-1811), fondatori di scuole nella quali insegnavano a miscelare lo stile tradizionale con il naturalismo europeo. Shiba Kōkan (1738-1818) si spinse perfino oltre, sperimentando l’uso di tecniche straniere specifiche, come la prospettiva matematica, il chiaroscuro e l’ombreggiatura. 

Nel XVIII secolo, a Kyoto si distinsero alcuni artisti che non è facile inserire in una specifica scuola. Nagasawa Rosetsu (1754-1799), Itō Jakuchū (1716-1800) e Soga Shōhaku (1730-1781), i “Tre eccentrici”, realizzarono opere non convenzionali, capovolgendo in certi casi i canoni della pittura giapponese, per originalità delle composizioni il primo, uso spregiudicato del colore il secondo, sfrontatezza del tratto calligrafico il terzo.


Nonomura Ninsei, Vaso (seconda metà del XVII secolo); Fukuoka, Fukuoka Art Museum. Ninsei è stato il ceramista più influente a Kyoto nel Seicento. Il decoro dei suoi pezzi è ispirato nello stile dalla “Yamato-e” e nei temi dalla letteratura tradizionale. In questo esemplare si vedono le montagne di Yoshino, celebri per la fioritura dei ciliegi.

Ogata Kōrin, Iris a Yatsuhashi (1709-1716); New York, Metropolitan Museum of Art. Questa composizione è ispirata da un episodio dell’Ise monogatari, una raccolta di poesie e testi del IX secolo. In esilio da Kyoto, il protagonista si ferma a Yatsuhashi per ammirare la fioritura dell’iris e comporre versi.


Maruyama Ōkyo, Pini sotto la neve (seconda metà del XVIII secolo); Tokyo, Mitsui Memorial Museum. Pur confrontandosi con un tema tradizionale, Ōkyo lo sviluppa secondo la propria indole artistica, che è una combinazione di tecniche classiche e spunti naturalistici tratti dall’arte europea, per esempio nello scorcio prescelto per la composizione.


Itō Jakuchū, Animali e piante (1800 circa). Jakuchū è considerato un artista eccentrico, e questo paravento lo dimostra, composto com’è da una miriade di tessere dipinte, con effetto finale a metà tra il mosaico e il pointillisme.

“Ukiyo-e”, le “immagini del mondo fluttuante”

Il fenomeno artistico più vitale del periodo Tokugawa ebbe il suo epicentro a Edo, città diventata un importante centro culturale in cui si sperimentavano inedite forme di socialità, rivolte soprattutto alla neonata classe borghese. Liberi dal rispetto delle convenzioni alle quali erano obbligati i “samurai” e meno oppressi dal lavoro degli agricoltori e dei pescatori, i mercanti e gli artigiani poterono stimolare la nascita di attività ricreative che meglio soddisfacessero le loro esigenze. Il teatro “kabuki”, le arene dove si svolgevano gli incontri di lotta “sumō” e le Case da tè, nelle quali si praticava in realtà la prostituzione, divennero i luoghi prediletti dei ricchi edoiti. Alcuni artisti si specializzarono nel raffigurare i protagonisti dei cosiddetti “quartieri dei divertimenti” (lo Yoshiwara a Edo, lo Shimabara a Kyoto e Shinmachi a Osaka), veri e propri distretti a luci rosse all’interno delle città, gli attori più in voga e i lottatori più prestanti. Già verso la fine del Seicento, complice la grande richiesta di questo genere di opere, gli artisti cominciarono a produrre composizioni concepite esplicitamente per essere riprodotte a stampa xilografica. Gli editori, che curavano l’intero processo, dalla commissione del disegno alla sua stampa e infine alla messa in commercio, erano gli stessi che promossero la pubblicazione di guide ai principali intrattenimenti disponibili in città e una letteratura di analogo tema, quest’ultima rappresentata soprattutto da Ihara Saikaku (1642-1693), autore di romanzi in cui si raccontano le vicende quotidiane di mercanti, cortigiane, attori e gente del popolo. 

Le ambizioni di questa eterogenea e moderna società riguardavano esclusivamente la mondanità. Essi si sentivano parte di un “mondo che fluttua” (“ukiyo”), nel quale non vi sono certezze se non quella di vivere al meglio, giorno dopo giorno. Il temine “Ukiyo-e”, “immagini del mondo fluttuante” identifica i dipinti, le xilografie e i libri illustrati che descrivono questa realtà. La sua evoluzione riguarda tutto il periodo Edo, coinvolgendo alcuni tra i più importanti artisti dell’epoca, divenendo nella seconda metà dell’Ottocento la forma d’arte giapponese più conosciuta nel mondo. 

Il primo artista che si dedicò alla stampa fu Hishikawa Moronobu (attivo ultimo quarto del XVII secolo). Le sue composizioni riguardano prevalentemente lo Yoshiwara, e si sviluppano con il solo ausilio del nero sul fondo neutro della carta. Nei decenni successivi, le tecniche xilografiche si affinarono finché, verso la metà del Settecento, Suzuki Harunobu (1725-1770) mise in commercio le prime stampe in piena policromia (“nishiki-e”, “immagini a broccato”). Harunobu concepì un mondo in cui figure dai corpi slanciati, dai tratti quasi adolescenziali, si muovevano eteree. Non di rado ambientò le scene in contesti tematici tratti dall’antica tradizione letteraria. Fu anche autore di immagini dall’esplicito contenuto erotico, e come lui gran parte degli artisti dell’“Ukiyo-e”. Spesso vendute sottobanco per aggirare la censura, le “immagini della primavera” (“shunga”) descrivono la sessualità giapponese di epoca Edo, senza nulla nascondere ma con quell’eleganza che contraddistingue l’opera dell’artista di talento.

Nell’ambito della rappresentazione della figura umana, il periodo tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo fu il più esaltante. I mezzo busti di attori “kabuki” di Tōshūsai Sharaku, l’enigmatico artista di cui si sa solamente che fu attivo per una brevissima stagione che va dal 1794 al 1795, sono capolavori di fisiognomica, sintesi raffinatissima di linea calligrafica e colore, preziosi inoltre per il fondo di mica baluginante. 

In quegli stessi anni, anche Kitagawa Utamaro (1753-1806) produsse alcune tra le sue più geniali invenzioni.


Hishikawa Moronobu, Scene in una Casa da tè (1685), particolare; Londra, British Museum. Le cortigiane al servizio presso le Case da tè erano donne raffinate, abili nelle arti amorose così come nella danza, nella musica e nella recitazione. Frequentarle era un privilegio che solo i più ricchi mercanti potevano permettersi.


Il teatro di Okuni (prima metà del XVII secolo); Kyoto, National Museum. L’invenzione teatro kabuki, una miscela di danza, recitazione e temi libertini, è tradizionalmente attribuita alla sacerdotessa shintoista Okuni.


Suzuki Harunobu, Due danzatrici (1769 circa); Ginevra, Collezione Baur. Molte delle xilografie di Harunobu si distinguono per l’utilizzo di particolari tecniche di stampa, come il rilievo a goffratura che caratterizza il bianco degli abiti delle due dame.


Tōshūsai Sharaku, L’attore Ichikawa Omezo ‐ nel ruolo di Ippei (1794); Londra, British Museum. È una delle composizioni più famose di Sharaku, che fu artista abile come pochi nella resa del fremito vitale trasmesso dall’attore durante la performance.

Le sue donne si ergono potenti a paradigma della bellezza femminile, di ogni tempo e di ogni luogo, nonostante in molti casi siano ritratti delle più avvenenti cortigiane dello Yoshiwara, ben note allo stesso Utamaro che frequentava giornalmente quei luoghi. 

Nella prima metà dell’Ottocento si fece strada tra i temi dell’“Ukiyo-e” il paesaggio. L’impossibilità di recarsi all’estero e il miglioramento delle arterie di comunicazione, furono tra i motivi che stimolarono un turismo interno alla scoperta di scenari naturali e di imprese ingegneristiche come i ponti. I viaggiatori non disdegnavano di acquistare stampe che raffigurassero quei posti che avevano raggiunto, o che intendevano visitare. 

Utagawa Hiroshige (1797-1858) fu autore di composizioni intrise di sentimenti poetici che ben descrivono l’amore dei giapponesi per la natura del proprio paese. Alcune delle sue composizioni più famose fanno parte di serie dedicate alle cinquantatre stazioni di sosta che si susseguivano lungo il Tōkaidō , la principale strada tra Edo e Kyoto. Tuttavia, è la raccolta con le Cento vedute celebri di Edo del 1857 che l’ha reso universalmente celebre, per la vivacità con cui è riuscito a rendere la vita della città, per l’arditezza degli scorci prospettici delle composizioni, per la fine colorazione e, non da ultimo, per l’ammirazione che suscitò in Vincent van Gogh (1853-1890) che rese omaggio all’artista giapponese realizzando vibranti versioni a olio su tela di Acquazzone improvviso su Ōhashi ad Atake e Il giardino di susini a Kameido.


Kitagawa Utamaro, Il tipo incostante, dalla serie Dieci studi fisiognomici di tipi femminili (1792-1793 circa); Londra, British Museum. Utamaro è il maestro dell’erotismo. La posa civettuola di questo carattere femminile accentua il “vedo-non vedo” della vestaglia aperta sul petto.

Utagawa Hiroshige, Kanbara. Neve di sera, dalla serie Tra le cinquantatre stazioni di posta del Tōkaidō (1832-1834); Chicago, Art Institute of Chicago. Hiroshige è considerato l’artista giapponese che con più fine sensibilità ha descritto le suggestioni della nebbia, della neve e della pioggia.


Utagawa Hiroshige, Acquazzone improvviso su Ōhashi ad Atake, dalla serie Cento vedute celebri di Edo (1857); Honolulu, Academy of Arts. Uno dei capolavori più noti di Hiroshige, per lo scorcio inusuale, la scelta dei colori, la perfezione dei processi di stampa e il minuto tratteggio verticale della pioggia. Van Gogh ne ha dipinto una drammatica versione a olio su tela.

Un discorso a parte nell’ambito dell’“ Ukiyo-e” merita infine Katsushika Hokusai (1760-1849). Non sarebbe giusto confinare il suo straordinario talento al paesaggio, nonostante La [grande] onda presso la costa di Kanagawa sia un capolavoro acclamato e l’icona dell’arte giapponese nel mondo. Egli si dedicò al tema della veduta prevalentemente a ridosso del quarto decennio dell’Ottocento, in un momento della sua carriera dunque, che fu nella sua interezza un’apoteosi di genialità e talento. Egli - “il vecchio pazzo per la pittura”, come si definì una volta - ambiva a quella condizione di assoluto privilegio in base alla quale qualsiasi linea o punto avesse tracciato si sarebbe animato di vita propria. La sua opera è varia come quella di pochi nella storia dell’arte di ogni luogo e tempo, e si può affermare che non vi sia soggetto che egli non abbia affrontato, dalle beltà femminili ai ritratti di attori, dagli episodi della mitologia all’illustrazione della letteratura classica, dalla raffigurazione degli animali alla “pittura di fiori e uccelli”, dalle “shunga” ai temi del buddhismo, sperimentando l’uso di numerose tecniche, tra cui quelle di provenienza europea. Tuttavia, insieme ai paesaggi, sono i suoi manuali didattici a costituire l’eredità più importante della sua arte, in particolare i celeberrimi volumi dei Manga, un meraviglioso compendio di umanità e natura che tanta eco ebbe negli artisti occidentali dal momento in cui per la prima volta fecero la loro comparsa in Francia poco dopo la metà dell’Ottocento, generando quel fenomeno artistico noto come giapponismo e preludendo al dilagare in Europa e Stati Uniti della moda per tutto ciò che era giapponese.


Katsushika Hokusai, La [grande] onda presso la costa di Kanagawa, dalla serie Trentasei vedute del monte Fuji (1830-1832 circa). È una scena drammatica, nella quale Hokusai ha immortalato l’eterna disputa tra Uomo e Natura, alla quale assiste immoto e perfetto il cono imbiancato di neve del sacro monte Fuji.


Katsushika Hokusai, Un gruppo senza formalità, dall’VIII volume dei Manga (1818-1819).

Il periodo Meiji, preludio verso la modernità

L’arrivo nel 1853 nel porto di Yokohama delle navi statunitensi al comando del commodoro Perry, che pretendeva l’apertura del paese alle transazioni commerciali, fu solo il momento culmine di una fase in cui il Giappone cominciava a sentire impellente l’esigenza di interrompere l’ormai secolare isolamento dal resto del mondo. Nei decenni precedenti il protrarsi di lunghi periodi di carestia aveva minato l’autosufficienza economica dell’arcipelago, mettendo in sofferenza molti strati della società. Nel volgere di pochi lustri, il Paese del Sol Levante rinnegò il suo più recente passato, destituendo l’ultimo degli “sho‐ gun” Tokugawa e ristabilendo l’autorità del potere imperiale. Il sovrano Matsuhito (1852- 1912) denominò il suo regno del “governo illuminato” (Meiji, 1868-1912) e intraprese un percorso di riammodernamento che coinvolse tutti gli ambiti, dalla tecnologia alla legislazione, dall’educazione ai sistemi di comunicazione. Il processo fu rapido ed ebbe riflessi profondi in ogni campo della cultura, che si dibatteva tra la necessità di seguire la via dell’occidentalizzazione per permettere al paese di progredire alla stessa velocità degli altri stati e la volontà di evitare la completa estinzione delle proprie peculiarità. 

Nell’arte questa discussione portò all’introduzione di nuove tecniche e canoni stilistici dall’estero, che non di rado si miscelarono con la tradizione. Ne è un esempio in pittura la nascita delle scuole “Yōga” (“pittura in stile occidentale”) e “Nihonga” (“pittura in stile giapponese”). Ancora una volta, come era già accaduto oltre mille anni prima con l’identificazione di una “Kara-e”, la pittura di gusto cinese, in opposizione alla “Yamato-e”, i giapponesi dovettero confrontarsi con l’esterno. Anche in questa occasione ne uscirono temprati e rinnovati, com’è dimostrato non solo dal fiorire delle arti in epoca Meiji ma anche in tutto il Novecento, e fino ai giorni nostri. 

Il Giappone rimane ancora il paese dai due volti complementari e delle contraddizioni, nel quale gli artisti che producono opere nello stile tradizionale (lacche, ceramiche, tessili) sono tutelati dal governo come “tesori nazionali viventi”; nel quale si producono le più sfrenate sperimentazioni, come il design, i fumetti “manga” e le opere ultrapop di Murakami Takashi.


Soprabito femminile (fine del XVIII - inizio del XIX secolo); New York, Metropolitan Museum of Art.

ARTE GIAPPONESE
ARTE GIAPPONESE
Francesco Morena
Più di duemila anni di civiltà, svoltasi perlopiù lontano dagli sguardi e dalla “contaminazione” occidentali, fra il IV secolo a.C. e l’età moderna, hanno plasmato una cultura artistica complessa e affascinante. Vasi in ceramica, utensili metallici, sculture e opere pittoriche, grandi templi e monasteri; la presa del potere da parte dei samurai, con la conseguente enfasi sui temi della guerra e della forza; l’arte della calligrafia e quella della pittura a inchiostro su carta; fino alla fioritura di Ukyo-e, alla rivelazione reciproca fra Oriente e Occidente nell’Ottocento quando tutto ciò che era giapponese divenne simbolo e modello di gusto per impressionisti e avanguardie.