Architettura per l'arte 


MUSEO ALL’APERTO

di Aldo Colonetti

Il contemporaneo non ha limiti disciplinari se la città è definita da un’identità architettonica: Lucca ha da poco concluso, in tal senso, un’interessante esperienza espositiva

Le città europee sono musei all’aperto, non solo rispetto all’architettura e alla scultura antica; rappresentano un vero e proprio spazio espositivo, ideale per ospitare l’arte contemporanea, sempre più “tridimensionale” e urbana nelle sue tensioni progettuali, superando i limiti che ciascuna disciplina storicamente aveva definito, perlomeno fino alle avanguardie del primo Novecento. Nell’estate della mostra che ogni dieci anni è ospitata a Münster, Skulptur Projekte 2017, ma soprattutto ricordando la straordinaria avventura di Spoleto, durante la quinta edizione del Festival dei due mondi (1962), con la grande esposizione, curata da Giovanni Carandente, Sculture nella città, dove per la prima volta al mondo furono collocate centoquattro opere, alcune realizzate appositamente, anche Lucca, che con le sue mura appare come destinata a essere un museo all’aperto, finalmente ha rivolto lo sguardo al contemporaneo.

La Fondazione Ragghianti ha affidato ad Alessandro Romanini la cura di un’esposizione che, partendo dall’interno del Complesso monumentale di San Micheletto (sede della Fondazione), si è diffusa in tutta la città, mantenedo come limite proprio i suoi confini monumentali (le mura), più di quattro chilometri di percorso, il secondo maggior esempio in Europa, dopo Nicosia (Cipro), di fortificazione moderna, 1504-1648. 

Il titolo Il passo sospeso. Esplorazione del limite (terminata il 1° ottobre) indica non solo il senso del progetto, ma soprattutto prospetta per la Lucca del futuro prossimo un destino strategico: il contemporaneo non ha limiti disciplinari, a condizione di avere un luogo urbano, definito da un’identità architettonica, come dovrebbe essere sempre uno spazio “museale” destinato a ospitare i linguaggi della ricerca più avanzata. Come scrive Romanini nel catalogo della mostra: «La diffusione di opere nel territorio urbano crea un rapporto sinergico tra le opere d’arte contemporanea e il genius loci, i linguaggi multidisciplinari della contemporaneità e la stratificazione storico-artistica e architettonica, unita alla stratificazione antropica».

L’effetto delle sculture, posizionate sulle mura, è stato unico e inaspettato perché è come se i cittadini avessero affidato la difesa della propria identità a una serie di ambasciatori venuti da lontano, portando con sé come dono la propria arte; in particolare Kan Yasuda, Igor Mitoraj, Alexey Morosov, Sophia Vari, Gustavo Aceves, che non a caso sono stati posizionati con le proprie sculture in corrispondenza dei cinque baluardi che proteggono le porte di entrata nella città. Poi, come in un percorso espositivo ragionato, passo dopo passo sono apparse negli spazi e nelle piazze più simboliche, ma anche più “partecipate” dagli abitanti e dai visitatori, altre sculture; ci piace ricordare Mimmo Paladino, misterioso e arcaico come sempre in piazza San Martino, in un dialogo tra passato e presente con il monumento funebre di Jacopo della Quercia, dedicato a Ilaria del Carretto (conservato nel duomo della città).

Ecco, Lucca, come hanno fatto altri centri italiani, aprendosi al contemporaneo, offre una serie di spunti progettuali al grande tema “architettura per l’arte”, mettendo in primo piano un concetto fondamentale: l’ermeneutica di un’opera d’arte è per sua natura infinita, ma quando i linguaggi artistici più avanzati dialogano con contesti storici diversi si scopre immeditamente ciò che scriveva Umberto Eco a proposito dell’opera aperta: «L’opera d’arte è una macchina semantica-pragmatica che chiede di essere attualizzata in un processo interpretativo infinito». Lucca e la sua mostra ci hanno offerto un processo interpretativo che sta a noi mettere in azione, liberi e insieme guidati da un contesto unico al mondo.


Kan Yasuda, Ishinki (2006), baluardo San Donato.

Roberto Barni, Sadovasomaso (2007), piazza San Milchele.


Mimmo Paladino, Senza titolo (2004), piazza San Martino.

Sophia Vari, L’Homme e La Femme (2005), baluardo Santa Croce.


Gustavo Aceves, Lapidarium (2015), baluardo San Donato.


Alexey Morosov, Hericius (2016), piattaforma San Frediano.

ART E DOSSIER N. 347
ART E DOSSIER N. 347
Ottobre 2017
In questo numero: AUTUNNO, TEMPO DI MOSTRE Jasper Johns a Londra, Marino Marini a Pistoia, Magritte a Bruxelles, Paul Klee a Basilea, Mägi a Roma, Caravaggio a Milano, Il Cinquecento a Firenze, I Longobardi a Pavia.Direttore: Philippe Daverio