CATALOGHI E LIBRI

SETTEMBRE 2017

ILLUSTRAZIONI INCREDIBILI
ALBERTO MARTINI
E I RACCONTI DI EDGAR ALLAN POE

Nonostante un’esistenza non fortunata e la difficoltà a sopravvivere con i suoi racconti, Edgar Allan Poe (1809-1849) ricevette in vita notevoli apprezzamenti critici. Nato a Boston e morto a Baltimora a quarant’anni, ebbe immensa visibilità in Europa con i racconti fantastici e surreali e col poema Il corvo (1845), la cui traduzione in prosa da parte di Baudelaire si diffuse nei circoli letterari di qua e di là dall’Atlantico, e perdurò a lungo; basti l’evocazione del Corvo nel bellissimo Nevermore di Gauguin (1893, Londra, Courtauld Galleries). Ancora nel 1923 un critico come Emilio Cecchi dichiarava che Poe aveva inventato una «provincia che non è quella dell’orrido, dell’ossessivo, ma semplicemente la nuova provincia dell’arte di oggi». Borges riteneva che senza i racconti di Poe la letteratura del nostro tempo sarebbe stata inconcepibile. Gli artisti non furono da meno ad apprezzare lo scrittore americano, anche per la sua tendenza a descrizioni analitiche che permettevano illustrazioni puntuali delle sue macabre e spaventevoli narrazioni. Fra questi l’italiano Alberto Martini (1876-1945), artista forse ancora non celeberrimo, che trascorse lunghi periodi a Parigi (per sua volontà l’Archivio Alberto Martini è tuttora in vita a Oderzo, Treviso, la città natale). Sulle illustrazioni di Martini ispirate ai Racconti di Poe indaga con dovizia di documentazione Alessandro Botta in questo libro rivolto soprattutto agli studiosi. Sintetizzando la ricerca, Martini si dedicò a Poe con un talento grafico ai limiti del virtuosismo. Le sue tavole, esposte in tutta Europa, riscossero sempre buoni successi. All’apprezzamento della sua opera contribuì non poco l’appoggio critico di un intellettuale come Vittorio Pica. Le centociquanta tavole superstiti sono la testimonianza di una ricerca ininterrotta di Martini, lungo i decenni che lo videro di volta in volta affrontare le tante variazioni del simbolismo e del surrealismo.

Alessandro Botta Quodiblet, Macerata 2017 308 pp., 55 ill. b.n., 105 tavv. b.n. € 24

UN PARTICOLARE ERRORE DI VOGA

Dai tempi del Grand Tour circolano repliche, varianti, copie delle vedute di Venezia di Canaletto. Nonostante la crisi, Canaletto è ancora quotatissimo e prolificano le errate attribuzioni e anche i falsi, talvolta firmati (la firma non è prova di autografia, essendo facilmente replicabile). Due illustri colleghi mi hanno confidato di non azzardarsi ad aggiornarne il catalogo, che riserverebbe sorprese e forse qualche scandalo. Senza poter considerare l’indagine dell’ingegner Antola prova unica e sufficiente per riconoscere l’autografia di una veduta veneziana, le sue scoperte offrono spunti da tener presente. A Venezia i gondolieri stanno in piedi sulla destra e vogano a dritta con un remo. Canaletto lo sapeva. Diverse decine di dipinti, più o meno attribuiti a lui, mostrano invece un’ingenuità che suona come sigla di non autenticità: i gondolieri che vogano a sinistra furono probabilmente raffigurati per gli amanti di Venezia da chi, forse, a Venezia non era neppure mai stato.


Alessandro Antola Il Canneto, Genova 2016 62 pp., 37 ill. colore e b.n. € 20

FÉLIX NADAR UNA VITA DA GIGANTE

Vulcanico giornalista, caricaturista, aeronauta, viaggiatore (ma sempre con scopi precisi). Fu perfino agente segreto, inviato a spiare le truppe russe alle frontiere. Era nato a Parigi nel 1820, e a sedici anni si era trasferito a Lione con la famiglia. Il padre, stampatore- libraio, fallì clamorosamente e morì folle nel 1837. La famiglia tornò a Parigi e il giovane si rimboccò le maniche. Tutti lo conoscono come Félix Nadar, l’indimenticabile, baffuto, megalomane pioniere delle tecniche fotografiche più diverse, il «Tiziano della fotografia» (ma anche quello che nel 1874 ospitò nel suo studio di Boulevard des Capucines la storica esposizione degli impressionisti). Il suo vero nome era il troppo prosaico Gaspard-Félix Tournachon, che presto mutò in due sillabe facili da pronunciare e ricordare: Nadar, appunto. La sua immagine più nota è una caricatura di Daumier, che lo raffigura nel 1862 su un pallone aerostatico mentre scatta una fotografia aerea, e dunque, in modo più o meno simbolico, «innalza la fotografia all’altezza dell’arte», come recita la didascalia di quell’incisione. All’epoca molti dubitavano che la neonata fotografia fosse da considerarsi alla stregua della pittura e delle sue sorelle. Nadar ovviamente asseriva che sì, era un’arte. Anzi, sfruttò questo mezzo per decine di ritratti di personaggi illustri come, fra i tanti, Baudelaire, Verne, Proudhon, Bakunin. Appassionato del volo, fu lui a inventare la fotografia aerea, e sempre lui il primo a far fotografie sotterranee, immortalando le fogne di Parigi e gli oscuri lavoratori di un mondo miserevole. Questo libro intelligente, ben illustrato con decine di fotografie e incisioni, non è una vera biografia d’artista, bensì una raccolta di “appunti” del curatore, o meglio una silloge di citazioni, aforismi, ricordi dello stesso Nadar: riflessioni, anche, talvolta anacronistiche, sul mondo a cavallo fra due secoli (Nadar morì a Parigi nel 1910), osservato con sguardo acuto e disincantato.


a cura di Michel Christolhomme Contrasto, Roma 2017 235 pp., 100 ill. b.n. € 24,90

MIMMO PALADINO

Il percorso artistico di Paladino (classe 1948) nasce a fine anni Sessanta. Agli inizi si caratterizza per «l’impossibilità di dipingere». Lo spiega Celant nell’introduzione a questo libro che ricostruisce la personalità poliedrica dell’artista campano. Quando Paladino espose a vent’anni, a Portici (Napoli) l’urgenza era, non solo per lui, annientare finanche l’idea della pittura. Nel 1977 proprio lui avrebbe siglato il ritorno alla tradizione, poi “istituzionalizzato” dalla Transavanguardia. Lo fece con Silenzioso, mi ritiro a dipingere un quadro, ottobre 1977. Un’opera leggiadra, un vero dipinto a olio, sui molti toni del giallo e del verde, che evoca Matisse nell’impianto compositivo. Un uomo che sembra in pigiama appare «trasparente, come un fantasma in bilico fra strumenti di misurazione o strani oggetti di arredo». A descriverlo così è Paladino medesimo, che per quell’opera usò il pennello per la prima volta. Quello stesso anno fece altri dipinti, su fondo giallo cromo, come Senza titolo, un giovane che poggia la testa sul dorso di un’improbabile giraffa, il corpo teso in diagonale verso la parete, cui si ancorano saldamente i piedi. Da allora, la sua sperimentazione ha toccato e continua a toccare tutti i campi e le prospettive, sorretta dall’amore per la letteratura - dal Don Chisciotte di Cervantes al Giardino dei sentieri che si biforcano di Borges - per la musica rock (suo il disegno della cover di Henna di Lucio Dalla), per il cinema (suo un personalissimo Don Chisciotte in cui compaiono gli amici musicisti Lucio Dalla e Beppe Servillo degli Avion Travel). Una commistione di materiali, tecniche, invenzioni che non somigliano ad altro ma pur guardano all’archeologia, al mito, al contemporaneo. Il saggio di Celant contestualizza il lavoro di Paladino fino a oggi. La cronologia (curata da Diletta Borromeo) s’intreccia con le vicende biografiche e una serie di personali dichiarazioni poetiche. Seguono il catalogo di esposizioni e progetti speciali, e la bibliografia degli scritti su e dell’artista. È un libro imponente, un vero e proprio catalogo dell’opera dell’artista ma allo stesso tempo assai piacevole da consultare e leggere come un racconto.


Germano Celant Skira, Milano-Ginevra 2017 736 pp., 793 ill. colore € 75

ART E DOSSIER N. 346
ART E DOSSIER N. 346
Settembre 2017
In questo numero: GRAFICA ITALIANA La collezione Salce di Treviso; Lanerossi 1817-2017. NUOVI MUSEI Trieste: la fotografia; Messina: il Museo interdisciplinare. IN MOSTRA Intuition a Venezia, Ytalia a Firenze.Direttore: Philippe Daverio