Ricordatevi una data: il 17 giugno del 2017. A centotre anni dall’istituzione con un Regio decreto che ne prevedeva la riedificazione, e a quasi centonove dal terribile terremoto del 28 dicembre 1908 che l’aveva distrutto, si è risolta una tra le «priorità» (così venne scritto) nella ricostruzione di Messina; e la città sullo stretto ha finalmente ritrovato il proprio museo dopo un secolo in cui è successo di tutto. Per realizzare il nuovo polo espositivo, si erano iniziati dei lavori protrattisi per dieci anni, fino al 1994, con una spesa di otto milioni di euro; ma, alla fine, si scoprì che era inadeguato: sembra che le grandi tele di Caravaggio (l’Adorazione dei pastori e la Resurrezione di Lazzaro: alta più di tre metri la prima, e quasi quattro la seconda) non potessero entrarvi. Così, la struttura non fu mai aperta. Pareva una condanna perpetua: quanto si era salvato del Museo civico Peloritano, creato nel 1806 ma distrutto dal sisma un secolo dopo, e i capolavori, per fortuna acquisiti dalle chiese (i Caravaggio; le cinque tavole del polittico di Antonello da Messina per il monastero di San Gregorio, prima opera firmata e datata, con la tavoletta bifronte dell’Ecce Homo e la Madonna con Bambino e francescano in adorazione, comprata in asta nel 2003), sarebbero rimasti visibili nelle insufficienti quattordici sale dell’ottocentesca ex filanda Mellinghoff, che si era salvata, aperte dal 1922. Lì era il nuovo museo, «subordinato allo stato provvisorio dei locali, con le loro tirannie di spazio e luce» come fu scritto.