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Il Museo interdisciplinare regionale di Messina

MISSIONE COMPIUTA
(O QUASI) SULLO STRETTO

Anteprima a dicembre scorso, apertura definitiva a giugno. La nuova sede del Museo interdisciplinare regionale di Messina, risorta grazie alla determinazione della direttrice Caterina Di Giacomo, riunisce il patrimonio storico e artistico della città, faticosamente recuperato dopo il terremoto del 1908. Anche dieci anni di lavori rivelatisi inutili. Un risultato eccezionale, ma incompleto, se, per oltre 17.000 metri quadrati, i custodi resteranno pochi.

Fabio Isman

Ricordatevi una data: il 17 giugno del 2017. A centotre anni dall’istituzione con un Regio decreto che ne prevedeva la riedificazione, e a quasi centonove dal terribile terremoto del 28 dicembre 1908 che l’aveva distrutto, si è risolta una tra le «priorità» (così venne scritto) nella ricostruzione di Messina; e la città sullo stretto ha finalmente ritrovato il proprio museo dopo un secolo in cui è successo di tutto. Per realizzare il nuovo polo espositivo, si erano iniziati dei lavori protrattisi per dieci anni, fino al 1994, con una spesa di otto milioni di euro; ma, alla fine, si scoprì che era inadeguato: sembra che le grandi tele di Caravaggio (l’Adorazione dei pastori e la Resurrezione di Lazzaro: alta più di tre metri la prima, e quasi quattro la seconda) non potessero entrarvi. Così, la struttura non fu mai aperta. Pareva una condanna perpetua: quanto si era salvato del Museo civico Peloritano, creato nel 1806 ma distrutto dal sisma un secolo dopo, e i capolavori, per fortuna acquisiti dalle chiese (i Caravaggio; le cinque tavole del polittico di Antonello da Messina per il monastero di San Gregorio, prima opera firmata e datata, con la tavoletta bifronte dell’Ecce Homo e la Madonna con Bambino e francescano in adorazione, comprata in asta nel 2003), sarebbero rimasti visibili nelle insufficienti quattordici sale dell’ottocentesca ex filanda Mellinghoff, che si era salvata, aperte dal 1922. Lì era il nuovo museo, «subordinato allo stato provvisorio dei locali, con le loro tirannie di spazio e luce» come fu scritto.


«Il punto di forza del museo, il plusvalore rispetto alle altre realtà siciliane, è il cosmopolitismo del patrimonio», dice Caterina Di Giacomo

Invece no: Caterina Di Giacomo, direttrice dal 2013, con il suo “staff”, ha compiuto un mezzo miracolo. Rivisto il progetto di quasi quarant’anni prima (non prevedeva neppure l’aria condizionata), e trovati un paio di milioni di euro di Fondi europei, con un altro mezzo della Regione il museo è finalmente risorto: un cantiere iniziato tre anni fa. Vanta 4.700 metri quadrati su due piani, per disporvi i reperti delle grandi stagioni siciliane: dall’VIII secolo a.C. a tutto l’Ottocento; altri 1.000 della filanda per mostre temporanee; 5.000 di aree verdi; 3.000 nel seminterrato per biblioteca, archivi, “caveau”, depositi; i magazzini. In tutto, sono oltre 17.000 metri quadrati; «e ora, pensiamo ai servizi aggiuntivi», racconta la direttrice. Duemila metri già aperti, quasi un’anteprima, a dicembre 2016. Il museo non è più «nazionale », come voleva il decreto di Vittorio Emanuele III, ma «interdisciplinare regionale», e nell’isola è pressoché un “unicum”: il Paolo Orsi di Siracusa e l’Antonio Salinas nel capoluogo sono archeologici; e già Federico Zeri notava «la ricchezza del patrimonio artistico della città più continentale dell’intera Sicilia, che oltre agli agganci a Napoli e alla Spagna per l’appartenenza al vicereame, si allarga all’area adriatica sino a Venezia e alla costa dalmata, e alle Fiandre»; dopo Capodimonte a Napoli, è il più grande di tutto il Meridione.


La sala del museo con due dipinti di Caravaggio: a sinistra, Resurrezione di Lazzaro (1609), a destra, Adorazione dei pastori (1609).

Così, ripartiti in otto settori e con ogni corredo informativo, hanno trovato una casadefinitiva ed efficiente, spiega la direttrice, «una collezione permanente troppo a lungo sacrificata », che possiede circa settecentocinquanta opere, e capolavori quali la Conca di Gandolfo, un fonte battesimale del 1135 che introduce il nuovo percorso (con delle stupefacenti iscrizioni arabo-normanne), e di cui esiste un esemplare analogo, proveniente dalla calabrese Rossano, oggi al Metropolitan di New York, dono dello «squilionario» (così lo chiamava Bernard Berenson) John Pierpont Morgan nel 1917. Nel 264 a.C. Messina è la prima “civitas foederata” dei romani; e tutti vi lasceranno le proprie creazioni: anche arabi, normanni, svevi e angioini; forse, c’è dell’arte greca.


Caterina Di Giacomo, direttrice del Museo interdisciplinare regionale di Messina.


Antonello da Messina, Ecce Homo (verso).


Madonna con Bambino e francescano in adorazione (recto) (1465-1470).

Il museo è forse l’unico, sull’isola, che permette uno sguardo complessivo su tanti secoli di storia di una comunità


«Il punto di forza del museo, il plusvalore rispetto alle altre realtà siciliane, è il cosmopolitismo del patrimonio », dice Caterina Di Giacomo. Ben documentato il Rinascimento: oltre che da Antonello, per esempio da Francesco Laurana e dai primi fiamminghi; ci sono poi i siciliani Antonello Gagini e Antonello De Saliba e Antonello Alibrandi, con tre immense tavole (la Presentazione al Tempio, alta quattro metri e mezzo, era tanto frammentata che ha richiesto un delicatissimo e assai complesso restauro di Ernesto Geraci). Polidoro da Caravaggio e Caravaggio senza Polidoro, con un folto seguito anche di quanti giungono in Italia proprio per coglierne la rivoluzione pittorica: un seguace come Mattia Preti, ma tra gli arrivi anche Matthias Stomer e Jan van Houbraken, che vive a lungo in città, dove muore nel 1665, e di cui «si conoscevano soltanto tre opere documentate», fino alle recenti scoperte compiute proprio dall’attuale direttrice. Lo stesso iter di Abraham Casembroot, che pure trascorre a Messina i suoi ultimi trentacinque anni, fino al 1658, ed è qui rappresentato.


Domenico Biondo e Letterio Paladino, Berlina del Senato messinese (1742).


Colijn de Coter (attribuito), Deposizione della croce (XV secolo).

Poi, il Sette e l’Ottocento: forse senza analoghi acuti, ma pur sempre con buoni autori (anche un Sebastiano Conca), per la maggior parte siciliani. Oltre ai dipinti e alle sculture, gli arredi religiosi, come un paliotto in argento e rame dorato, del 1731, già nel santuario della Madonna di Montalto; un seggio vescovile; perfino la Berlina del Senato messinese, in legno dorato e dipinto. L’ultima opera in mostra è del 1907: l’anno prima della catastrofe; l’Autoritratto di Salvatore De Pasquale. E così, il museo è tra i pochissimi, forse l’unico sull’isola, che permette uno sguardo complessivo e completo su tanti secoli di storia di una comunità.

Quindi, bentornato a un istituto che mancava davvero da troppo tempo. Ma gli sforzi compiuti hanno bisogno ancora di qualcosa. Direttrice, quanti custodi ha per i suoi tantissimi metri quadrati? «Sono trentadue stabili; dodici a tempo determinato; e sessantatre lavoratori socialmente utili». Finora, per le mostre (un accordo di scambi con il Mart di Rovereto ne ha già permesso un paio di buon successo), e i mille metri della filanda, erano sufficienti; ma adesso, certamente non più: Caterina Di Giacomo ne ha già chiesti alla Regione almeno un’altra decina; in queste condizioni, il nuovo museo, nei festivi e le domeniche, riesce ad aprire soltanto di mattina. E sarebbe davvero un enorme peccato se qualcuno non provvedesse a completare quello che è un grande (e raro) successo.

Ernesto Geraci, in primo piano, insieme a un collega, durante il restauro del Polittico di san Gregorio.

Museo interdisciplinare regionale

Messina, viale della Libertà 465
orario 9-19.30, domenica e festivi 9-13,
lunedì chiuso
Info: 090 361292, polomuseale.me@regione.sicilia.it,
urpmuseome@regione.sicilia.it

ART E DOSSIER N. 346
ART E DOSSIER N. 346
Settembre 2017
In questo numero: GRAFICA ITALIANA La collezione Salce di Treviso; Lanerossi 1817-2017. NUOVI MUSEI Trieste: la fotografia; Messina: il Museo interdisciplinare. IN MOSTRA Intuition a Venezia, Ytalia a Firenze.Direttore: Philippe Daverio