Luoghi da conoscere. 2
La Certosa reale di Collegno (Torino)

INOSSIDABILE
MEMORIA

Edificata a metà del Seicento, la Certosa reale di Collegno, aggiornata nel Settecento da Filippo Juvarra, venne destinata durante il regime napoleonico ad altri usi: prima sede dell’Università di Torino, poi succursale del Regio manicomio. Per tornare, con la definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici, a esprimere la sua originaria identità, nonostante i numerosi rimaneggiamenti dell’antica struttura.

Erica Marzolla

Ci aveva visto giusto Vittorio Amedeo II quando, all’inizio del Settecento, aveva pensato a Filippo Juvarra per aggiornare il “cantiere” della Certosa reale di Collegno. Il compito non era facile: esigeva un artista innovativo e moderno, capace di ripensare in termini aulici e razionali la silhouette di un monastero fondato, quasi settant’anni prima da Maria Cristina di Francia sulle preesistenze di un’antica “villa di delizie”, strategicamente connessa con il castello di Rivoli e con Torino. Nella prima trasformazione, da luogo di “loisir” a certosa, l’ingegnere-architetto Maurizio Valperga aveva scelto di mediare fra gli ambienti della villa e quelli fondamentali del monastero (il chiostro maggiore con, attorno, le celle dei monaci; il chiostro minore, fulcro per la disposizione degli ambienti dedicati alla chiesa, al refettorio e al capitolo); tuttavia, una cronica carenza di fondi aveva frenato quasi subito i lavori, obbligando i monaci a investire nel solo consolidamento delle strutture esistenti.

L’inizio del XVIII secolo si aprirà, invece, con prospettive ben diverse: affidare l’ampliamento della certosa al pensiero di Juvarra - un “illuminista” dell’organizzazione spaziale - voleva dire ottenere soluzioni capaci di raggiungere il massimo effetto scenico sfruttando la sapiente applicazione di ingannevoli escamotage visivi. L’“avanguardismo” juvarriano, che caratterizza il “sistema” portale-atrio della certosa, suggerisce, allora, come il messinese avesse inteso modellare il sito; e come sarebbe potuto diventare, se ancora una volta non fosse subentrata la mancanza di fondi a ridimensionare l’intero impianto progettuale, limitando l’esecuzione effettiva al solo ingresso e all’altare conventuale.


Spogliato dai suoi fini emotivi, l’artificio architettonico diviene funzionale al passaggio - soprattutto interiore - dal secolo alla realtà del monastero

Inaugurato nel 1737, l’accesso ufficiale della certosa è una “macchina” teatrale innovativa, celata sotto un impianto di gusto classico. È imponente, ma in senso ricercato: lungi dall’essere organismo inerte, la facciata è vivacizzata dall’avanzamento di due coppie di colonne doriche ai lati estremi, dalle quali si avvia un fine gioco di alternanze fra “pieni” e “vuoti”. Il risultato: una linea architettonica, che trova uniformità nel movimento ritmico fra colonne e nicchie, capace di dosare le potenzialità spettacolari offerte dalla luce, per imprimere maggiore efficacia drammatica. L’impianto decorativo, sobrio al limite del “minimalismo”, completa la “scena” in senso figurativo mediante le presenze scultoree dell’Annunciazione dei fratelli Carlone (non coeva al portale) e le allegorie della Fede e della Carità, realizzate dalla mano esperta di Carlo Tantardini.

Nell’avanzare verso l’interno del monastero, l’illusoria dilatazione spaziale generata dalla tripartizione della volta dell’atrio, continua il raffinato gioco prospettico dell’ingresso; ma l’accesso alla certosa sancisce una trasformazione ulteriore: spogliato dai suoi fini emotivi, l’artificio architettonico diviene funzionale al passaggio - soprattutto interiore - dal secolo alla realtà altra del monastero, trasformando l’atrio in un filtro necessario a tale transito, nel quale anche la luce viene moderata, da due tondi aperti accanto al fornice centrale. Gli spazi della certosa, allora, acquistano un significato simbolico, reso evidente dalla distribuzione sequenziale dei chiostri.


Dal chiostro aulico al “claustrum magnum”, la clausura diventa una conquista graduale, affine al “viaggio spirituale” dell’“homo viator”. Il topos del “pellegrinaggio mistico” potrebbe, allora, rappresentare la possibile chiave di lettura per comprendere anche il progetto iconografico alla base di quei cinque affreschi “delle celle” (questa l’ipotesi a oggi più verosimile di questi spazi), ubicati a ridosso del chiostro minore e probabilmente occultati nell’Ottocento, epoca che, sulla certosa, si è imposta in modo impietoso. Il XIX secolo inaugurò, con l’allontanamento dei monaci a seguito del regime napoleonico, nuove conversioni identitarie del sito, divenuto, prima, sede dell’Università di Torino; poi, succursale del Regio manicomio. Simbolo di questa ininterrotta somma di interventi è la chiesa della Santissima Annunziata. Costituita da un ambiente che, nelle intenzioni iniziali doveva accogliere il refettorio, la chiesa dei certosini si distingue per un impianto decorativo ripartito su più fasi storico-culturali. Evitando vertiginose soluzioni, la linea barocca degli stucchi che circondano sedici ovali parietali e la pala d’altare si integra alla decorazione della volta eseguita negli anni della Restaurazione: scelto allo scopo di rafforzare l’autorevolezza dell’ordine monastico, il ciclo di affreschi con storie della vita del santo fondatore dei certosini include due tondi di Amedeo Augero - San Bruno rifiuta la mitria e San Bruno in atto di umiltà - e, al centro, un’Assunzione in gloria, negli anni troppo variamente ridipinta per poterne stabilire con certezza la paternità.


La sconfitta di Napoleone riattivò il monastero; ma furono anni di decadenza, segnati dalle drammatiche spoliazioni della chiesa, privata di molti arredi fra cui, il più importante, è l’altare juvarriano, ceduto alla parrocchia di San Martino a Rivoli (Torino). Il colpo fatale, però, giunse nel 1855: l’abrogazione delle corporazioni religiose costrinse, infatti, i certosini a lasciare definitivamente il monastero, trasformato in una succursale del Regio manicomio di Torino. L’esigenza di rispondere alla nuova identità nosocomiale comportò un drastico rimaneggiamento della struttura antica: per far spazio ai padiglioni, furono abbattute le celle dei monaci e, altri ambienti, riconvertiti con funzioni diverse. Per quasi un secolo, la certosa fu eclissata sotto uno strato di interventi che le si sovrapposero, confondendosi con essa, quasi cancellandone la memoria. Quasi: perché con la definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici questa certosa “ibridizzata” da quasi tre secoli di riadattamenti edilizi si è irresistibilmente ritrovata e rivelata nella sua immortale identità di monastero eremitico. Oggi, la portata culturale della certosa è, ormai, un fatto ineludibile; la necessità di tutelarla, un dovere morale.

Certosa reale di Collegno

Collegno (Torino), viale Martiri XXX Aprile 30
info: Comune di Collegno - Ufficio promozione della Città
telefono 011-4015311, angela.berardini@comune.collegno.to.it
www.comune.collegno.gov.it
Associazione culturale Filocalìa info@filocalia.org
www.filocalia.org

ART E DOSSIER N. 346
ART E DOSSIER N. 346
Settembre 2017
In questo numero: GRAFICA ITALIANA La collezione Salce di Treviso; Lanerossi 1817-2017. NUOVI MUSEI Trieste: la fotografia; Messina: il Museo interdisciplinare. IN MOSTRA Intuition a Venezia, Ytalia a Firenze.Direttore: Philippe Daverio