Grandi mostre. 5
La Menorà. Culto, storia e mito a Città del Vaticano e a Roma

SOLIDA COME UN DIAMANTE
CHIARA COME UN CRISTALLO

Simbolo della cultura ebraica, la Menorà, il noto candelabro a sette bracci, è il tema di un’esposizione che rappresenta un evento unico sia per la ricchezza delle opere in mostra sia per le sedi coinvolte: il Braccio di Carlo Magno dei Musei vaticani e il Museo ebraico di Roma. Insieme, per la prima volta, in un progetto dove il dialogo ha fatto tesoro delle diversità.

Marco Bussagli

Gli archivi della televisione italiana, oggi reperibili sul web, ci hanno conservato una bella intervista di Giorgio La Pira - il celebre sindaco di Firenze, salito agli onori degli altari sotto il pontificato di Giovanni Paolo II - che paragonava il Concilio vaticano II ai segni che i contadini colgono nella natura per comprendere che sta arrivando la primavera. Così, il Concilio aveva - secondo la riflessione di La Pira - il medesimo val di avvisaglia svolto da una gemma fiorita su un albero, come testimonianza che l’inverno è passato(1). Per chi, come me, ragazzino di quattro anni, quell’intervista l’ha sentita con le proprie orecchie dal televisore a valvole posto al centro del salotto di casa nel lontano 1961, quel ragionamento è stato davvero una chiave di lettura della Storia che difficilmente si può dimenticare. Allora, non sfuggono i segni dei tempi che cambiano in peggio (quasi sempre), o in meglio, assai più raramente, la stagione della nostra tormentata epoca. Bene, la mostra La Menorà. Culto, storia e mito, senza ombra di dubbio, appartiene felicemente a questa seconda categoria, quando un’era si apre al cuore della speranza e la prospettiva della pace diviene assai più concreta.

Non si pensi a un’esagerazione perché il fatto stesso che l’evento abbia due sedi significative come il Braccio di Carlo Magno (guardando a sinistra il colonnato della monumentale piazza San Pietro) e l’importante Museo ebraico al piano inferiore dell’imponente sinagoga di Roma, la dice lunga sulla grande portata di un’esposizione - che non è improprio definire epocale - organizzata in stretta collaborazione fra la Pontificia commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo e la Comunità ebraica di Roma(2).

Nata, quattro anni or sono, all’indomani di un incontro informale e di una passeggiata senza impegno fra i reperti storici custoditi nella sinagoga, compiuti da Alessandra Di Castro, direttore del Museo ebraico di Roma, e Arnold Nesselrath, delegato per i Dipartimenti scientifici e i Laboratori di restauro dei Musei vaticani (entrambi qui curatori, insieme a Francesco Leone dell’Università di Chieti-Pescara cui si deve la cura del catalogo), la mostra - con il benestare dell’allora direttore Antonio Paolucci - è stata portata a compimento entusiasticamente da Barbara Jatta, che oggi guida i Musei vaticani.


Vetro dorato con raffigurazione di oggetti simbolici e rituali ebraici (IV secolo d.C.), Città del Vaticano, Musei vaticani.


Vetro dorato con il Tempio di Gerusalemme (tardo III - inizi IV secolo d.C.), Città del Vaticano, Musei vaticani.


Ben Shahn, Menorà (1965), Città del Vaticano, Musei vaticani.

Magistralmente allestita da Roberto Pulitani, che ha interpretato lo scorrere dei secoli con il metaforico svolgersi del monumentale rotolo di un’immensa Torah(3), la mostra si snoda lungo questo itinerario costituito dalla sinuosa parete purpurea che divide in due lo spazio del Braccio di Carlo Magno, accogliendo nelle teche e sui piedistalli le opere in mostra. Si susseguono, così - grazie a oggetti di ogni dimensione, ma tutti di grande pregnanza -, con l’ausilio dei pannelli didattici, le varie fasi della straordinaria storia della Menorà (secondo la traslitterazione italiana, preferita - in omaggio alla penisola - alla più filologica Menorah), dalla sua realizzazione fino ai nostri giorni. Com’è noto, il tema dell’esposizione riguarda il candelabro a sette bracci (la Menorà, appunto) che, su precisa indicazione di Yahweh, gli ebrei fusero in oro zecchino per collocarlo nel Tempio. Le vicissitudini storiche ne segnarono il tormento, identico a quello del popolo ebraico. Così l’oggetto originale andò distrutto con la conquista d’Israele da parte di Nabucodonosor nel 586 prima dell’era volgare(4). Ricostruito il Tempio, dopo la cattività babilonese, fu di certo realizzata anche una nuova copia della Menorà che, tuttavia, all’indomani della distruzione del secondo Tempio da parte di Tito, nell’anno 70 e.v., fu portata a Roma in trionfo, come bottino di guerra. Lo mostra il rilievo dell’arco che celebra l’evento e che, in mostra, è riprodotto, con un calco a grandezza naturale(5).


Le vicissitudini storiche ne segnarono il tormento, identico a quello del popolo ebraico


Sebastiano Gamberucci, Corona e rimmonim Di Segni (1665), Roma, Museo ebraico.

Da allora, se ne sono perse le tracce, anche se d’ipotesi se ne sono fatte diverse, fra storia e leggenda, a cominciare dal fatto che non abbia mai lasciato Roma e che vi si trovi ancora. Molto più probabilmente, la Menorà portata via da Genserico nel 455 col Sacco dell’Urbe fu, forse, trasportata a Bisanzio e da lì, nuovamente, a Gerusalemme dove sarebbe, però, stata razziata dai persiani sasanidi che l’avrebbero fusa. Purtroppo, non ci sono prove né in un senso né in un altro e questo ha alimentato la leggenda del candelabro a sette bracci che tuttora affascina l’umanità, al di là del significato religioso, simbolico e cabalistico che ricopre(6).

Composta da poco più di centotrenta opere fra le due sedi, la mostra al Braccio di Carlo Magno si apre con una serie di reperti che provengono dal Medio Oriente, a cominciare dal rilievo con la Menorà di una sinagoga egiziana del Cairo, databile al III secolo e.v., quando il candelabro entrò a far parte del corredo decorativo dei luoghi di culto ebraico(7).


Antonietta Raphaël, Mia madre benedice le candele (1932).


Elemento della fontana di papa Paolo V nel ghetto di Roma (1614 circa), Roma, Museo ebraico.

Particolarmente importanti, sono poi gli splendidi vetri dorati che mostrano tanto il Tempio, quanto la Menorà. Quello raffigurante la Menorà, di collezione vaticana, è esposto presso il Museo ebraico, in una sorta di scambio simbiotico. È interessante notare come l’arca con le ante aperte che mostrano la Torah sia affiancata da due leoni araldici di Giuda i quali, certamente, alludono al modello biblico dell’Arca dell’alleanza con i cherubini. Entrambi gli oggetti provengono da cimiteri e catacombe romane a dimostrazione di una presenza ebraica sul Tevere che ha superato i duemila anni, come testimonia, fra l’altro, un frammento di mattone proveniente dalla catacomba ebraica di Monteverde(8). Tuttavia, la diffusione dell’immagine della Menorà non si limita soltanto a manufatti di cultura ebraica, ma compare, sia pure con funzione documentaria, in importanti opere cristiane come la splendida Bibbia di San Paolo fuori le Mura, eccezionalmente esposta in mostra, dove all’Arca dell’alleanza si affianca la Menorà; per non parlare, poi, del celeberrimo affresco di Raffaello, con la Cacciata di Eliodoro, cui Nesselrath dedica una veloce riflessione relativa alle fonti archeologiche del Sanzio(9). Infatti, ogni qual volta ci si debba misurare con il tema della rappresentazione del Tempio, come nel caso del bel quadro di Andrea Sacchi (esposto al Museo ebraico) con L’annuncio della nascita di Giovanni Battista a suo padre Zaccaria, compare immancabile il candelabro a sette bracci simbolo universale della cultura ebraica(10). L’elenco delle opere, com’è ovvio, può moltiplicarsi, a iniziare da quello che forse è il cippo superstite della fontana che papa Paolo V Borghese volle per portare l’acqua all’interno del ghetto, per passare poi alla bella opera secentesca in argento lavorata a sbalzo da Sebastiano Gamberucci (“corona” e “rimmonim”, ossia i melograni) per ornare i rotoli della Torah, pure conservati al Museo ebraico, fino a opere più contemporanee(11). Concludono la mostra, infatti, quadri come lo struggente olio che Antonietta Raphaël (protagonista della Scuola romana di via Cavour, insieme al marito Mario Mafai, a Gino Bonichi detto Scipione, a Mazzacurati e a un giovane Capogrossi) dedica a sua madre (“mamma Kaja”, come Antonietta la chiamava) che benedice le candele e il grande Ben Shahn che offre un’interpretazione originale della Menorah (questo il titolo), solida come un diamante, ma leggera e trasparente come un cristallo.

1) http://www.raiplay.it/video/2014/10/Giorgio-La-Pira-La-Concretezza-dellUtopia---Correvalanno-del-02102014-df59def9-3beb-4df8-b879-22f96f994373.html (si veda a 40’16” e ss.). Su Giorgio La Pira e il suo impegno per la pace, nell’ambito del quale rientra la citata intervista: M. Toschi, Giorgio La Pira e il volto della pace, Firenze 2007.
2) La Menorà. Culto, storia e mito, catalogo della mostra (Città del Vaticano, Musei vaticani, Braccio di Carlo Magno; Roma, Museo ebraico, 16 maggio - 23 luglio 2017), a cura di F. Leone, Milano 2017.
3) La Torah è la Legge ebraica, divenuta oggetto di culto dopo la distruzione del Tempio da parte dell’imperatore romano Tito e corrispondente al Pentateuco, ossia ai primi cinque libri del Vecchio testamento dei cristiani. Sul tema: A. Rolla, Letteratura ebraico-biblica, in Storia delle Letterature d’Oriente, I, a cura di O. Botto, Milano 1969, pp. 672-684.
4) Con grande sensibilità, il comunicato stampa della mostra distribuito in Vaticano evita la locuzione “a.C.” e “d.C.” (avanti Cristo e dopo Cristo) a favore di quella anche qui indicata “e.v.” (era volgare).
5) Sulla figura di Tito e sull’arco che ne celebra il trionfo: F. Leone, op. cit., pp. 311 e 353.
6) Per le relazioni fra la Menorà, la Qabbalà e l’ermetismo rinascimentale: F. Leone, Una “parte” per il “tutto”: la menorà tra realtà e mito dall’antichità ad oggi, in F. Leone, op. cit., pp. 49 e 53.
7) Sul frammento del Cairo: M. Capozzo, scheda II 27, in F. Leone, op. cit., p. 321.
8) Sul vetro dorato del Vaticano esposto al Museo ebraico: C. Lega, scheda II 16, in F. Leone, op. cit., p. 315. Sull’altro vetro: C. Lega, scheda I 5, ivi, pp. 305-306. Sul mattone frammentario: R. Barbera, scheda II 22, ivi, p. 319.
9) Sulla Bibbia di San Paolo fuori le Mura.: G. Cornini, scheda III 18, in F. Leone, op. cit., p. 331. Su Raffaello: A. Nesselrath, Sulla menorà nel Rinascimento, ivi, p. 205.
10) Su Andrea Sacchi: A. Nesselrath, scheda V 3, in F. Leone, op. cit., p. 343.
11) Per il presunto elemento della fontana di Paolo V: O. Melasecchi, scheda IV 12, in F. Leone, op. cit., p. 341; sugli argenti di Gamberucci: O. Melasecchi, scheda VI 5, ivi, p. 346. Per le opere del Novecento, si veda su Antonietta Raphaël: G. Mafai, scheda VIII 8, ivi, p. 359; su Ben Shan: R. Pagliarani, scheda VIII 11, ivi, p. 361.

La Menorà. Culto, storia e mito

a cura di A. Nesselrath, A. Di Castro e F. Leone
Città del Vaticano, Musei vaticani, Braccio di Carlo Magno
Roma, Museo ebraico, fino al 23 luglio
orario 10-18, mercoledì 13-18, chiuso domenica e festività religiose
(Braccio di Carlo Magno)
orario 10-18 (Museo ebraico), venerdì 10-16, chiuso sabato e festività religiose
catalogo Skira
www.museivaticani.va, http://lnx.museoebraico.roma.it/w

ART E DOSSIER N. 345
ART E DOSSIER N. 345
LUGLIO-AGOSTO 2017
In questo numero: ESSERE AVANGUARDIA Cattelan: Permanent Food; MUVE Contemporaneo; Agit'Art in Senegal; Giacometti e Merleau-Ponty. XVII SECOLO La guerra dei tre Caravaggio; Tiziano nel Seicento Europeo. IN MOSTRA Rosenberg a Parigi, Da Caravaggio a Bernini a Roma, Rinascimento segreto nelle Marche, La Menorà a Roma e in Vaticano. Direttore: Philippe Daverio