Le Metamorfosi di Ovidio sono forse l’opera che, più di ogni altra, ha mantenuto vive nel tempo la propria valenza simbolica e le complesse dinamiche della mitologia classica, sia nella letteratura sia nell’arte, ispirando soggetti di dipinti e sculture: a chi se non a Ovidio dobbiamo la bellezza sontuosa e sensuale delle Veneri, delle Europe, delle Danae di Tiziano e Correggio o l’umanizzazione e il dialogo con il mito svolti da Rubens? Con audacia e potenza il poeta latino ha mostrato la transitorietà e lo stato sensibile e mutevole del corpo, la forza scatenante delle passioni e i cambiamenti che queste stesse determinano nell’animo e nel corpo. La metamorfosi può infatti esprimere il carattere fluido dell’identità, l’incertezza e l’imprevedibile del mondo naturale ma al contempo la fissità del carattere cui l’individuo non può sfuggire, quasi una sorta di metafora che, a lungo latente, improvvisamente si manifesta in termini visivi.
Pensiamo al titolo del poema: se “morphé”, ossia “forma”, è ciò che “appare” e, in quanto tale, si distingue dalla sostanza di cui è una delle possibili manifestazioni, allora la “meta-morphosis” non indica un mutamento sostanziale, ma piuttosto un cambiamento nel modo di apparire: ciò che i personaggi diventano attraverso la metamorfosi non è in contraddizione bensì conforme alla loro natura che può manifestarsi in diversi modi, senza che ciò implichi un mutamento di identità(1).