XX secolo
Alberto Giacometti e Maurice Merleau-Ponty

CATTURARE
L’INAFFERRABILE

Nel secondo dopoguerra, a Parigi, Alberto Giacometti trova nelle teorie fenomenologiche di Maurice Merleau-Ponty la chiave per approfondire la sua esplorazione sulla percezione visiva che lo portò a considerare il mondo esterno nel suo insieme fuori dalla nostra portata e mai rappresentabile in modo definitivo.

Lorella Scacco

Intorno al 1945, con la fine della guerra e la ripresa della normale quotidianità, gli intellettuali e gli artisti europei tornarono a esprimersi liberamente. A Parigi Maurice Merleau-Ponty, uno dei maggiori filosofi del Novecento, riuscì finalmente a pubblicare la sua opera più importante, La fenomenologia della percezione, con le sue riflessioni sul corpo, la percezione e la spazialità. Sempre nel 1945 Alberto Giacometti lasciò Ginevra per rientrare nel suo studio a Parigi, dove le teorie fenomenologiche di Merleau-Ponty lo aiutarono a sviluppare le sue osservazioni personali sulla percezione visiva(1). Se fino al 1945 la sua visione del mondo era fotografica, arrivando a scrivere: «Non vediamo mai le cose, vediamo sempre attraverso uno schermo»(2), dopo si accorse che la realtà era ben diversa da quella cinematografica avviando un cambiamento di lettura del mondo esterno: ciò che accadeva per strada era visto da lui come fosse la prima volta, lo scorrere quotidiano della vita era diventato ignoto. L’artista descriverà le sue difficoltà espressive nel 1947 quando non riuscirà a creare una grande figura con le diverse parti ben delineate: «Non mi restava che la possibilità di fare una parte per il tutto - il che del resto corrispondeva alla mia visione delle cose. Non posso vedere simultaneamente gli occhi, le mani, i piedi di una persona che sta a due o tre metri davanti a me, ma da sola la parte che guardo provoca la sensazione dell’esistenza dell’insieme»(3).

«Non mi restava che la possibilità di fare una parte per il tutto - il che del resto corrispondeva alla mia visione delle cose»
(Alberto Giacometti)


Nacque così La mano (1947), una delle prime sculture dalla superficie frastagliata che lo condurrà a quel linguaggio espressivo che diventerà lo “stile Giacometti” delle figure smilze, con un’anatomia indefinita, ma di esatte proporzioni, dalle teste accennate ma con lo sguardo penetrante, ben esemplificato dalle Donne di Venezia (1956).

Merleau-Ponty, con Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e altri intellettuali contribuirono alla formazione culturale di Giacometti attraverso incontri e conversazioni nei bar parigini e condivisione di letture importanti, come la rivista “Les Temps Modernes”, che raccoglieva le idee all’avanguardia di quegli anni sotto la direzione di Merleau-Ponty e Sartre.


La mano (1947), Zurigo, Kunsthaus Zürich, Alberto Giacometti Stiftung.

Molti disegni di Giacometti eseguiti sulle pagine di questo periodico dimostrano la sua familiarità con esso e i suoi contenuti, come la recensione su La fenomenologia della percezione di Merleau-Ponty scritta da Simone de Beauvoir nel numero del 1° novembre 1945. La stessa autrice nel libro L’età forte notò come il punto di vista di Giacometti si accostava a quello della fenomenologia «poiché egli cercava di scolpire un volto in situazione, nella sua esistenza per gli altri, a distanza, superando così gli errori dell’idealismo soggettivo e quelli del falso oggettivismo»(4).

Merleau-Ponty visitò lo studio parigino di Giacometti dopo il 1945 e gli affidò la realizzazione del frontespizio di una storia della filosofia e per tale occasione l’artista disegnò Eraclito ispirandosi a un busto antico(5). Dopo aver valutato la ricerca instancabile della verità in Giacometti paragonabile per caparbietà a quella di Cézanne, il filosofo francese citerà due volte il nome dell’artista svizzero nel libro L’occhio e lo spirito, scritto nel 1960 ma pubblicato nel 1964.

Quali sono le analogie tra i due autori? Se lo stile di Merleau-Ponty non è mai dogmatico prediligendo la dichiarata provvisorietà delle tesi e delle formule, le conversazioni di Giacometti sull’arte con critici o giornalisti terminano spesso con «non so», «niente», «forse», proprio per non rendere assoluta la sua interpretazione e lasciarla aperta a nuovi sviluppi. Se la ricerca di Giacometti è lo svolgimento empirico del rapporto tra l’artista e il visibile che è posto continuamente “sotto verifica”, tanto da creare sempre delle forme di “passaggio”, apparenti, e non delle somiglianti realtà, Merleau-Ponty ritrova nell’indagine filosofica e in quella artistica lo stesso destino interminabile d’interrogazione ed espressione del mondo e dell’Essere(6).


Busto di Diego (1956), Parigi, Fondation Alberto et Annette Giacometti.

La scultura Uomo che cammina I di Giacometti sembra riallacciarsi al concetto merleau-pontiano di “spazialità di situazione”. Per il filosofo il soggetto è azione prima che conoscenza. È il corpo che si muove originariamente verso gli oggetti che per esso hanno senso. La spazialità del corpo non è una “spazialità di posizione”, come quella statica degli oggetti, ma una “spazialità di situazione”, cioè un potere di spazializzare, di dilatare il proprio dominio sul mondo(7). Così Uomo che cammina I (1960) sembra ritrarre l’individuo nel momento in cui “scavalca” lo spazio per dominarlo, per appropriarsi del visibile, non più segregato in una gabbia o vacillante, come accadeva in Uomo che cade del 1950, bensì consapevole delle sue potenzialità e libero di attuarle.


Forme di “passaggio”, apparenti, e non delle somiglianti realtà


Nelle sculture di Giacometti gli occhi hanno un ruolo importante, poiché in essi sembra costituirsi la realtà della persona, la sua esistenza e perciò l’artista torna più volte nella modellazione di questa parte del corpo umano tendendo a circoscriverla, come nel Busto di Diego del 1956. Anche nei suoi disegni e dipinti coevi gli occhi sono spesso i protagonisti della rappresentazione visualizzando quel concetto che Merleau-Ponty descriverà nel libro L’occhio e lo spirito: «L’occhio è ciò che è stato toccato da un certo impatto con il mondo, e lo restituisce al visibile mediante i segni tracciati dalla mano»(8). Con queste parole il filosofo invita lo spettatore a re-imparare a vedere il mondo mediante le opere d’arte e ci lascia intravedere la possibilità di considerare l’artista come il vero fenomenologo.


L’uomo col dito puntato (1947), Londra, Tate.

Donna di Venezia III (1956), Parigi, Fondation Alberto et Annette Giacometti.


Donna di Venezia IV (1956), Parigi, Fondation Alberto et Annette Giacometti.


Donna di Venezia V (1956), Parigi, Fondation Alberto et Annette Giacometti.

(1) Cfr. C. Di Crescenzo, Introduzione alla mostra e all’opera di Giacometti, in Alberto Giacometti. Sculture, dipinti, disegni, catalogo della mostra (Milano, Palazzo reale, 26 gennaio - 2 aprile 1995), Milano 1995, p. 20.

(2) Intervista con Pierre Schneider: Il mio lungo cammino, in A. Giacometti, Scritti, Ripatransone (Ascoli Piceno) 1995, p. 292.

(3) A. Giacometti, A proposito de La gamba (1960), in A. Giacometti, op. cit., p. 116.

(4) S. de Beauvoir, L’età forte, Torino 1961, p. 425.

(5) Cfr. T. Dufrêne, Giacometti. Les dimensions de la réalité, Ginevra 1994, p. 131.

(6) Cfr. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Milano 1965, p. 31. Per approfondire il rapporto tra l’artista e il filosofo: L. Scacco, Alberto Giacometti e Maurice Merleau- Ponty. Un dialogo sulla percezione, Roma 2017.

(7) Cfr. M. Merleau-Ponty, L’occhio e lo spirito, Milano 1989.

(8) Ivi, p. 23.

ART E DOSSIER N. 345
ART E DOSSIER N. 345
LUGLIO-AGOSTO 2017
In questo numero: ESSERE AVANGUARDIA Cattelan: Permanent Food; MUVE Contemporaneo; Agit'Art in Senegal; Giacometti e Merleau-Ponty. XVII SECOLO La guerra dei tre Caravaggio; Tiziano nel Seicento Europeo. IN MOSTRA Rosenberg a Parigi, Da Caravaggio a Bernini a Roma, Rinascimento segreto nelle Marche, La Menorà a Roma e in Vaticano. Direttore: Philippe Daverio