Il gusto nell'arte 


VITA IN VILLA TRA
VOLATILI E MUFFULETTI

di Ludovica Sebregondi

Un viaggio nel Bel paese alla scoperta delle tradizioni culturali e sociali che legano arte e cucina regionale. Ottava tappa: Sicilia

La Sicilia ha una storia differente da quella delle altre regioni italiane perché la sua posizione centrale nel Mediterraneo ne ha fatto da sempre un’isola contesa dalle varie potenze. Si sono così succeduti greci e romani, barbari, bizantini, arabi, normanni, svevi, angioini, aragonesi, spagnoli, francesi fino all’annessione al Regno d’Italia. Terra di incontro di popoli e culture, con tradizioni, anche gastronomiche, che risentono del millenario amalgamarsi di genti differenti.

Determinanti, per differenziare la cucina, anche le contrastanti caratteristiche delle zone dell’interno e di quelle della costa, dove la vegetazione è lussureggiante di agrumeti, mandorli, zagare, mentre il centro dell’isola è contraddistinto da sterminate distese di grano, verdi in primavera e che diventano stoppie in estate, intervallate da fichi d’India. La gastronomia dell’isola è considerata la più antica d’Europa e infatti Platone - quattro secoli prima di Cristo - citava la vita e la cucina di Sicilia come fonte di perdizione per i giovani. Cuochi itineranti provenienti dall’isola avevano raggiunto la notorietà in tutto il Mediterraneo, e siciliani erano anche eruditi quali Archestrato - non si sa se di Gela o Siracusa - autore del poema Gastrologia, assai criticato dai moralisti. Già allora erano famosi soprattutto tonni e pescispada, anguille, orate e aragoste, ma all’interno pastori e contadini mangiavano soprattutto pane con olive o cipolle, formaggi, oltre che erbe spontanee e, nei periodi di pioggia, le lumache, dette “babbaluci”.

Ben lontani da questa vita spartana i banchetti dell’antichità: lo attestano tra l’altro i mosaici pavimentali policromi trovati nella zona di Noto, presso il fiume Tellaro, in una masseria sette-ottocentesca. La campagna di scavi, avviata abusivamente nel 1971, ha portato poi alla scoperta di una residenza extraurbana della tarda età imperiale. I mosaici a tappeto che la decorano rivelano una matrice africana, ma riconducono anche alle rappresentazioni dell’Arco di Costantino e dunque al mondo romano. Una delle scene figurate è ambientata all’aperto in un boschetto dopo la caccia: sei commensali stanno mangiando, protetti da una tenda appesa agli alberi, comodamente seduti a uno “stibadium”, cioè un divano o letto da pranzo semicircolare attorno al tavolo, in origine proprio struttura effimera per banchetti all’aperto, allestiti in occasione di battute di caccia e feste religiose. A destra un servo versa dell’acqua in una patera mentre un commensale si lava le mani prima del pasto; al centro della mensa è collocato un gigantesco volatile arrostito, mentre sulla sinistra la scena prosegue con un invitato che beve vino rosso e i servi che preparano libagioni.


La scena del banchetto a Donnafugata, da Il Gattopardo, regia di Luchino Visconti (1963).

La caccia e il banchetto alludono ai piaceri della “vita in villa” dell’antichità. Il pranzo solenne con cui ha inizio il soggiorno nella residenza estiva del principe di Salina – protagonista del Gattopardo – a Donnafugata, nell’agrigentino, fa compiere un salto di un millennio e mezzo. Il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, del 1958, ha avuto trasposizione cinematografica nel 1963 con regia di Luchino Visconti, fotografia di Giuseppe Rotunno, costumi di Piero Tosi, costumi di Mario Garbuglia. Una delle scene più memorabili è appunto quella del pranzo offerto dopo l’arrivo della famiglia da Palermo, durante il quale, contravvenendo alla moda del poco attrattivo “potage”, viene offerto un «torreggiante timballo di maccheroni », un «babelico pasticcio» espressione di una cucina di derivazione francese. Ma durante la caccia, all’alba nella campagna, il principe e il suo amico organista della chiesa locale «bevevano il vino tiepido dalle borracce di legno, accompagnavano un pollo arrosto venuto fuori dal carniere di don Fabrizio con i soavissimi “muffuletti” cosparsi di farina cruda che don Ciccio aveva portato con sé; degustavano la dolce “insòlia” quell’uva tanto brutta da vedere quanto buona da mangiare»

ART E DOSSIER N. 344
ART E DOSSIER N. 344
GIUGNO 2017
In questo numero: MOSTRE PER L'ESTATE Hirst a Venezia, Indiana a Lugano, Documenta ad Atene, Giacomelli a Bergamo, Il colore a Rivoli e a Torino. Picasso a Parigi e a Napoli, Sassoferrato a Perugia, Il Colosseo a Roma. Bergamo celebra Baschenis. In ricordo di Kounellis. Direttore: Philippe Daverio