Grandi mostre. 7
Il Colosseo a Roma

IL CERCHIO
MAGICO

Una mostra dedicata a uno dei monumenti antichi più noti di Roma. Le ragioni del suo fascino e quelle per cui è diventato un simbolo eterno.

Anna De Fazio Siciliano

Quando nel 523 d.C. hanno fine ufficialmente i giochi gladiatori, il Colosseo cade in disuso ma non viene del tutto abbandonato. C’è una storia parallela che a partire dal VI secolo vede riutilizzare il monumento in qualcosa di ben diverso dall’uso precedente, e il Colosseo rinasce trasformandosi in vario modo, da castello a luogo di pascolo, da rifugio ideale di eremiti a cava di travertino o luogo per la via Crucis. È così che poco a poco diventa l’incarnazione delle continue metamorfosi della città, fino a quando, liberato dal giogo del suo illustre passato, prende nuova vita proiettandosi nel nostro immaginario collettivo.

Ma come ha fatto a diventare l’icona che ancora è? Sono state le scene con le matrone avvolte nella stola, i cittadini togati, le cruente battaglie, i lussuosi banchetti fissati nelle pellicole dei cosiddetti “peplum”? O è grazie agli scorci incantati diffusi dalle stampe antiche, dagli acquerelli secenteschi e dalle splendide incisioni di Piranesi? O piuttosto è per via della sua forma? Come se la magia della sua circolarità (in realtà è un’ellisse) racchiudesse in sé la forza stessa della “rovina”.

La mostra Colosseo. Un’icona, la prima dedicata interamente al monumento, allestita al suo stesso interno in dodici sezioni, delinea quanto - con i suoi circa 180 x 160 metri di ampiezza - il Colosseo rappresenti davvero, nella nostra cultura, una traccia indelebile, il segnacolo eterno di una memoria condivisa che rimbalza ancora nella nostra coscienza e nell’intero patrimonio simbolico occidentale. Con quel fascino decadente che solo un rudere sa trasmettere, a segnare la sua eternità come simbolo c’è più d’una ragione. E una almeno va rintracciata nella sua storia, incredibile fin dall’inizio.


Giovanni Battista Piranesi, Veduta a volo d’uccello del Colosseo (1776).

La mostra racconta quanto esteso nel tempo e profondo sia stato il fascino esercitato da questo rudere


Edificato in pochissimi anni, fra il 72 e l’80 d.C., l’Anfiteatro flavio è un miracolo se è ancora in piedi, considerando i secoli passati, i terremoti che lo hanno investito, gli usi e gli abusi subiti. Il Colosseo, forse è cosa poco nota, ha una pendenza pari almeno a quella della torre di Pisa, un’inclinazione dovuta alle continue vibrazioni del passaggio delle auto e della vicina stazione metropolitana.


Il Colosseo in una foto di Bruno Fruttini.


Plastico del progetto di Carlo Fontana (1696) per una chiesa nel Colosseo.

Prodigio dell’ingegneria romana, segna un momento cruciale per la storia della città perché fu pensato dagli imperatori della dinastia Flavia per ricucire uno strappo. Nerone si era impossessato (non fu l’unico), indebitamente, di molta parte della città per edificare la propria residenza, la celebre Domus Aurea. Lo spazio che occupava si estendeva dal Palatino al Celio e in mezzo, dove adesso sorge il Colosseo, l’imperatore aveva inserito lo “stagnum Neronis”, un lago artificiale. Questa mania di grandezza costituiva una violazione del senso comune condiviso, del “mos maiorum” dei romani, ecco perché l’apparizione del Colosseo sulla scena impresse una svolta: i Flavi, con la volontà di restituirlo ai romani (e certo anche per ingraziarseli), trasformarono questo spazio da privato a pubblico, un luogo per tutti, veicolando in questo modo un esplicito messaggio propagandistico.

Ma non c’è solo il Colosseo dei tempi dell’impero, e scopo della mostra è esattamente quello di illuminare pagine successive e meno note alle cronache. L’anfiteatro vive al di là dei Cesari, e la sua immagine, come è evidente in mostra, sopravvive nei secoli adeguandosi al mutare dei tempi. Centinaia sono le opere che - tra reperti, disegni, plastici, dipinti, modelli ricostruttivi, fotografie - raccontano le molte vite del monumento.


Un’immagine della mostra in corso.

In mostra, vengono proiettate sulle volte del monumento anche decine di sequenze di capolavori del cinema con anche alcune immagini d’archivio dell’Istituto Luce dedicate al monumento. L’esposizione illustra poi le influenze che il Colosseo ha avuto su pittura e architettura, le tecniche del restauro, il suo rapporto con l’urbanistica, col teatro (si pensi a Marziale, cui ispirò il De spectaculis), ma anche i suoi influssi sulla letteratura, la sociologia e la politica.

Molto resterà ancora da scoprire, ma dagli scavi sono emersi ulteriori ritrovamenti come le tracce del camminamento dei soldati a guardia della fortezza che la potente famiglia romana dei Frangipane aveva costruito a partire dalla fine dell’XI secolo sui resti dell’anfiteatro e altri reperti dell’età medievale.


Prodigio dell’ingegneria romana, segna un momento cruciale per la storia della città


Olivo Barbieri, Harbin, China (2010).

La mostra in definitiva racconta quanto esteso nel tempo e profondo sia stato il fascino esercitato da questo rudere, racconta il suo riutilizzo, dall’antichità fino al Rinascimento e oltre, fino all’epoca fascista, quando fu inquadrato in un discorso di riqualificazione urbanistica, connesso a un’ideologia del potere che realizzò, con la costruzione della via dei Fori imperiali, un collegamento tra il Colosseo e palazzo Venezia, sede del quartier generale di Mussolini.

Più tardi, nel dopoguerra, rinascerà il suo mito con col cinema neorealista e con i film storici in costume, mentre negli anni Sessanta-Settanta la Pop Art romana (Renato Mambor su tutti) lo eleverà al ruolo di icona.

Ci sarebbe da chiedersi, infine, come si sia arrivati ai banchetti radical-chic sulle terrazze di Jep Gambardella (il protagonista di La grande bellezza di Paolo Sorrentino, 2013) che ripropongono Roma - e il suo simbolo principale - come icona di decadenza annoiata. Forse in fondo il Colosseo è un’enorme bocca pantagruelica che rigurgita da secoli in immagini le sue stesse viscere, avvicinandosi a rappresentare un archetipo ma facendo anche da controcanto alle vicende fin troppo umane della sua città.


Renato Mambor, Zebra e Colosseo (1965).

Se è vero che «Roma è sempre la città che non c’è perché sempre altrove, sfugge a chi la vuole osservare e definire. Roma è [anche] l’insieme dei frammenti messi insieme da qualcuno»(*), allora il Colosseo, e la stessa città, come conferma la mostra, si possono guardare, comprendere solo attraverso un ampio spettro di immagini. Non c’è un solo Colosseo, ma ce ne sono tanti, come milioni sono i turisti che ogni giorno lo attraversano, il più delle volte senza comprenderlo, tanto che è all’ordine del giorno della Soprintendenza un progetto di apertura di un museo dedicato alla sua storia.

Per tutti i viaggiatori, poeti, scrittori, pittori che l’hanno visto, ammirato, ritratto, raccontato, vissuto, amato, il Colosseo resta un’icona della nostra civiltà. Un vulcano mai spento di nutrimento per l’immaginario e un ricettacolo di vizi e mollezze in cui si affoga come in un bicchiere di vino Betico ai tempi di Lucullo.

(*) Rome. Nome plurale di città, a cura di G. De Finis e F. Benincasa, Roma 2016.

Colosseo. Un'icona

A cura di Rossella Rea, Serena Romano e Riccardo Santangeli Valenzani
Roma, Colosseo
fino al 7 gennaio 2018
orario: fino al 31 agosto 8.30-19,15; dal 1° al 30 settembre 8.30-19;
dal 1° al 28 ottobre 8.30-18.30;
dal 29 ottobre 2017 al 7 gennaio 2018 8.30-16.30
(si consiglia di verificare orari ed eventuali chiusure occasionali per eventi)
telefono 06-39967700; www.coopculture.it
Catalogo Electa

ART E DOSSIER N. 344
ART E DOSSIER N. 344
GIUGNO 2017
In questo numero: MOSTRE PER L'ESTATE Hirst a Venezia, Indiana a Lugano, Documenta ad Atene, Giacomelli a Bergamo, Il colore a Rivoli e a Torino. Picasso a Parigi e a Napoli, Sassoferrato a Perugia, Il Colosseo a Roma. Bergamo celebra Baschenis. In ricordo di Kounellis. Direttore: Philippe Daverio