Dalla metà del quinto decennio del Seicento, per una trentina d’anni circa, Baschenis si dedicò dunque, in modo pressoché esclusivo, alla produzione di nature morte, nella duplice versione degli interni di cucina e delle composizioni con strumenti musicali. Di quest’ultimo genere il maestro bergamasco deve essere considerato l’inventore nonché l’interprete in assoluto più originale e qualitativo. I suoi calibratissimi allestimenti di strumenti musicali, resi con magistrali scorci prospettici su tavoli impreziositi da tappeti orientali, ambientati in interni silenziosi avvolti dalla penombra, costituivano una novità assoluta e conquistarono rapidamente i favori di una clientela facoltosa, appassionata di musica, pittura e poesia. Lungi dal riproporre la stereotipata formula dello strumento musicale come simbolo del sentimento amoroso o della fugacità dei piaceri terreni (“Vanitas”), le sue composizioni visualizzano, più realisticamente, l’angolo del musicista, colto nella dimensione intima e ovattata che segue la fine di un concerto o di una esercitazione in un interno domestico. Gli strumenti sono adagiati sul piano di posa in una situazione di apparente disordine simulando lo stato di momentaneo abbandono e di «altissimo silenzio» che caratterizza lo studiolo del musicista o la sala da concerto di una dimora privata tra un’esecuzione e l’altra. Di qui la speciale attenzione tributata agli strumenti, che il pittore letteralmente “ritrae” nella loro verità oggettiva, con una maniacale attenzione ai dettagli organologici e alle qualità stereometriche. La fortuna mercantile di tali dipinti, testimoniata anche dal gran numero di imitatori italiani e stranieri che ne perpetueranno la formula ben oltre il XVIII secolo, talvolta falsificando anche la firma del maestro, è attestata oltre che a Bergamo, dove la maggior parte di essi ancora gelosamente si conserva, a Milano, Torino, Roma, Firenze, Mantova, Venezia. Nella città lagunare, in particolare, è documentato un imponente ciclo (disperso) di otto nature morte musicali eseguito da Baschenis per la biblioteca del convento di San Giorgio, commissionatogli dall’abate Francesco Superchi.
La natura morta di soggetto musicale, di cui è stato senz’altro l’inventore, ha alcuni precedenti che possono essere individuati, come indicato da Charles Sterling (1952) e Marco Rosci (1971), nella tradizione italiana quattrocentesca delle tarsie lignee poste a decorare gli studioli degli umanisti e i cori delle chiese. Si tratta in tutti i casi di composizioni estremamente complesse che se da un lato alludono ai raffinati interessi del committente o alla musica celeste, dall’altro esaltano al massimo grado le abilità illusionistiche e prospettiche dell’artista (e dell’intarsiatore) di turno. Liuti, violini, chitarre, flauti e arpe sporgono, come a Urbino o a Monteoliveto, da finti scaffali e pseudomensole con prospettive e scorci straordinariamente acrobatici e precisi in grado di meravigliare l’osservatore più smaliziato. Nel Nord Europa, come indagato da Alberto Veca, lo strumento musicale - oltre che nella pittura sacra e nelle scene di concerto - compare nelle nature morte a sfondo moraleggiante accanto a oggetti allusivi alla “Vanitas” (specchi, candele, orologi, teschi, articoli da fumo) dove la musica è sinonimo di piacere effimero e transitorio, o nelle allegorie dei cinque sensi, come nella celebre tavola (1630 circa) di Lubin Baugin, in cui un liuto è posto a simboleggiare l’udito.
Per Baschenis, musicista egli stesso e possessore - come registrato nel testamento - di un gran numero di chitarre, trombe, bombarde, violini, spinette e liuti, oltre che di libri di musica e spartiti, lo strumento musicale non è mai parte di un insieme eterogeneo né mai si accompagna a indicatori simbolici quali teschi, specchi, candele ecc., bensì è il protagonista assoluto della scena. Le sue composizioni intendono infatti celebrare l’attività musicale in sé, cioè una delle pratiche artistiche più coltivate in ambito sia laico che religioso nonché uno degli intrattenimenti più apprezzati dell’“otium” aristocratico. La verità ritrattistica con cui il pittore restituisce sin nei minimi dettagli i vari aspetti costruttivi e organologici, arrivando a descrivere con assoluta oggettività i monogrammi dei maestri liutai, le corde di budello, le venature e i colori dei legni, gli intagli delle rose, i piroli, le doghe delle casse, le dimensioni e le possibili combinazioni degli strumenti in funzione di un’esecuzione, testimonia un’esigenza di carattere documentaristico che è alla base del successo della formula. Baschenis ritraeva gli strumenti in funzione di una pratica musicale, perché egli stesso li suonava ed era inserito in una realtà musicale assai vivace; anche considerando la sua attività principale di sacerdote, era sicuramente un dilettante evoluto, attento e compartecipe. Nell’ambito della sua produzione a soggetto musicale, sperimentava quindi il proprio vissuto culturale e la propria esperienza di musicista “pratico”. Forse non casualmente nell’unico autoritratto che ci ha lasciato, ha voluto raffigurarsi non mentre dipinge bensì (come un secolo prima le pittrici Lavinia Fontana e Sofonisba Anguissola) mentre suona la spinetta, in un evento di musica profana, in compagnia di alcuni esponenti della nobile e potente famiglia Agliardi. Baschenis è dunque un pittore della realtà musicale e i suoi strumenti appartengono al mondo musicale che lo circonda.
La maggior parte, se non la totalità, dei suoi dipinti, mostra un organico strumentale utile a eseguire una «sonata per ogni sorta d’instromenti», tipica dell’epoca. La Natura morta musicale con mappamondo raffigura un classico esempio di combinazione strumentale italiana del XVII secolo: la mandola o il flauto soprano, che eseguono la parte acuta, accompagnati dal violoncello che suona le note del basso come erano scritte e dal liuto che realizza l’armonia in modo estemporaneo.
La prassi del basso continuo è strettamente associata a tutti i generi di musica del periodo musicale barocco, quindi dall’inizio del XVII secolo fino oltre la metà del secolo successivo. Consiste nell’accompagnamento strumentale che conduce il discorso d’insieme mediante l’elaborazione estemporanea di armonie, seguendo la traccia della parte più grave della partitura. Nato con l’affermarsi della monodia accompagnata, il basso continuo era costituito da una linea melodica che il musicista scriveva in chiave di basso e che faceva da sostegno melodico e armonico a tutta la composizione.