NELL'ATELIER
DELL'ARTISTA

L’impressionante fedeltà con cui Baschenis ha ritratto gli strumenti musicali - oggetti particolarmente complessi e dalle peculiari caratteristiche stereometriche - ha indotto gli studiosi a ipotizzare

l’uso di prospettografi, ovvero dispositivi ottico-meccanici in grado di procurare la rigorosa enucleazione plastico-prospettica di qualsivoglia oggetto, per esempio di un liuto, come in una ben nota incisione di Albrecht Dürer. Nell’inventario dei suoi beni sono segnalati dei «cartoni di rilievo» cioè dei disegni a grandezza naturale, in scala 1:1, raffiguranti presumibilmente gli oggetti del suo ricco repertorio (strumenti musicali ma anche mappamondi, cofanetti, mobilio, libri, selvaggina), colti in differenti scorci e giaciture. Baschenis ne avrebbe disposto come altrettanti modelli pronti all’uso, da inserire e assemblare in contesti compositivi ogni volta diversi, secondo una prassi documentata anche per altri artisti del tempo. Che tale fosse il suo metodo operativo si deduce dal fatto che molte di tali “figure” tornano identiche e addirittura sovrapponibili in diverse sue opere perché ricavate dal medesimo “cartone”. Nell’inventario è elencato inoltre un oggetto che potrebbe avere avuto un ruolo cruciale nella concreta pratica dell’artista. Si tratta di «uno specchio di cristallo tondo per pittori», cioè una superficie riflettente, verosimilmente concava, che l’artista poté forse utilizzare - secondo il metodo illustrato da Giovan Battista Dalla Porta (Magia Naturalis…, 1584) e recentemente indagato da Roberta Lapucci e David Hockney - per proiettare sul cartone e quindi ricalcarle, le immagini riflesse di oggetti opportunamente e intensamente illuminati.
Un confronto tra la Natura morta musicale già in palazzo Moroni di Bergamo e quella di collezione privata esposta alla mostra I pittori della realtà in Lombardia (1953), appare rivelatore dell’utilizzo pratico dei “cartoni”. Entrambe le composizioni sono ambientate in una stanza avvolta dalla penombra, anche se la prima mostra un’inquadratura più ampia, tanto da lasciare intravedere, in basso a destra, una porzione di pavimento. In primo piano, su un tavolo ricoperto da un fiammante tappeto rosso di fattura veneziana con decori a “bronconi di cappero”, giacciono un liuto capovolto e impolverato, una mandola con doghe bicolori, una spinetta aperta con spartito squadernato, un violino, una chitarra, dei libri, una pesca. La luce spiovente dall’alto accentua i contrasti chiaroscurali, accarezza i legni ambrati degli strumenti, accende il rosso del tappeto.


Natura morta di strumenti musicali (1670 circa); Milano, Pinacoteca ambrosiana.

A parte la tenda verde, presente solo nella tela già Moroni, i due dipinti, di qualità altissima, sono perfettamente identici e sovrapponibili in ogni dettaglio perché realizzati con il medesimo cartone. Simili conclusioni si ottengono confrontando gli interni di cucina, dove gli elementi più disparati - dai taglieri di carne e pesce alle ceste ricolme di pane, dalle grosse anfore in coccio alla cacciagione (anatre, germani reali, fringuelli, tacchini spennati ecc.) risultano realizzati con il medesimo sistema. Ne deriva un’originale propensione all’“ars combinatoria”, una peculiare abilità a ricercare - come nella produzione musicale - le variazioni sul tema dato aggregando, invertendo, ruotando, combinando i differenti motivi figurali. Gli insiemi compositivi ammettono infatti un’infinità di svolgimenti e di soluzioni di cui è parte non meno rilevante la dialettica tra polarità complementari quali l’ombra e la luce, l’organico e l’inorganico, il morbido e il rigido, il caldo e il freddo, la variegata tettonica delle strutture plastiche (dei liuti come dei violini o degli orci). Nella metodologia progettuale di Baschenis si dimostra insomma che ogni nucleo figurale, prima ancora che un enunciato di valore denotativo, è figura di un discorso il cui significato muta con il mutare stesso dell’ordine sintattico in cui viene a trovarsi, che è come dire, appunto, di una frase musicale inserita in differenti impalcature armoniche. Ciò che legittima la suggestiva interpretazione di Alberto Veca secondo cui la ricerca del pittore era indirizzata - come secoli dopo Giorgio Morandi - prima ancora che alla celebrazione di una realtà illusionisticamente vera all’esplorazione delle strutture della visione e delle modalità stesse del “vedere”. Spessissimo, nelle nature morte del pittore, lo strumento musicale, in particolar modo il liuto, è proposto da diversi lati, mostrando differenti scorci prospetticamente impeccabili, la cui somma in definitiva restituisce la fisonomia complessiva dell’oggetto. Una sorta di esplorazione-contemplazione dello strumento finalizzata a sedurre l’osservatore e a suscitare la meraviglia dei potenziali clienti-collezionisti, indubitabilmente dei conoscitori, verosimilmente musicisti o amanti dell’intrattenimento musicale.
«Si tratta di una ricerca espressiva in cui l’allusione implicita è quella a una riflessione della pittura sulla pittura in sintonia con l’esercizio retorico caro alla sensibilità barocca, propensa a interrogarsi costantemente sul “modo di esporre” un argomentare altrimenti non originale, ma ereditato dalla tradizione. Nella maniera di impaginare il soggetto mi sembra che il pittore voglia esercitare il gioco linguistico dell’“allitterazione”, della ripetizione, del rispecchiamento di figure simili come dell’ossimoro nell’adiacenza di forme e cromie opposte, tutti luoghi retorici dell’immaginario seicentesco» (A. Veca).

Un «ritrattista» di strumenti
Il realismo delle composizioni musicali di Baschenis trova riscontro anche nell’esattezza di dettagli come le proporzioni degli strumenti (nelle diverse parti e tra di loro) le caratteristiche dei legni, i cartigli, i marchi a fuoco, l’incordatura, la struttura Natura morta di strumenti musicali (1660 circa). degli spartiti. Nel capolavoro del museo di Bruxelles la composizione comprende, partendo da sinistra: una chitarra a fondo bombato, una cetra, un violone, una mandola, un violino con arco, un liuto, una chitarra a fondo piatto. Il foglio sotto il nastro della mandola è un’intavolatura italiana per liuto; tra violino e mandola compare un foglio con notazione musicale e il titolo Ricercada Quinta. Altre partiture sono appoggiate sul fondo del violone. Il violino, in ripidissimo scorcio normale alla tela è un autentico pezzo di bravura e può essere utilmente confrontato con quello analogamente scorciato, anche se dal punto di vista diametralmente opposto, nel magnifico dipinto del museo di Rotterdam. Possiamo notare le esatte proporzioni tra i vari strumenti; la presenza di nastri ovvero “bandoliere” di colore azzurro e rosso necessarie al normale sostegno dello strumento durante un’esecuzione; l’intavolatura italiana per liuto, formalmente ineccepibile nella scrittura anche se musicalmente illeggibile. 


Albrecht Dürer, Rappresentazione prospettica di un liuto (1525); Norimberga, Germanisches Nationalmuseum.

Natura morta di strumenti musicali con tenda (1660 circa). La metodologia del pittore contemplava la possibilità di concepire e realizzare le opere come altrettante “variazioni” su un medesimo tema. Ogni tela è infatti il risultato di calcolatissime giustapposizioni di “figure” (liuti, chitarre, mandole, libri, tappeti) spesso identiche perché ottenute tramite dime e cartoni, entro composizioni sempre diverse e di eccezionale rigore formale.

Natura morta di strumenti musicali (1660 circa).

Natura morta musicale (1670 circa).


Natura morta di strumenti musicali (1660 circa).

Baschenis mantenne alcuni dettagli delle edizioni antiche come il pentagramma, il capolettera, la scrittura di un testo cantato, la particolare grafia dell’intavolatura per liuto e per chitarra di scuola italiana; ma le note musicali, pur formalmente corrette, non sono mai leggibili dal lato musicale, proponendosi - forse anche per via della distanza del dipinto dall’osservatore - come puro fatto pittorico.

Natura morta di strumenti musicali (1670 circa); Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique.


Natura morta di strumenti musicali con statuetta (1660 circa); Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen.

Nella tela di destra del Trittico Agliardi, il conte Alessandro imbraccia una chitarra di eccezionale bellezza che il pittore ha rappresentato con grande realismo, tanto che è possibile ammirare e osservare dettagli come il manico e la paletta ed è agevole leggere la firma del maestro liutaio: «Giorgio Sellas a la Stela in Venetia». È noto che i fratelli Giorgio e Matteo Sellas operavano a Venezia nella prima metà del XVII secolo: Giorgio era specializzato in chitarre; Matteo in liuti e arciliuti, particolarmente con la cassa in avorio.
In alcune tra le più belle nature morte musicali dell’artista compare in primissimo piano, capovolto, un liuto in legno di tasso la cui cassa è parzialmente coperta di polvere. Sul coprifasce è presente un marchio a fuoco «M--H» sicuramente attribuibile al liutaio tedesco Michael Hartung la cui attività è documentata a Padova e Venezia attorno alla fine del XVI secolo. Sembra certo che questo prezioso strumento fosse nelle disponibilità del pittore se è vero che ritorna identico in altre composizioni in collezioni private e al Barber Institute of Fine Art di Birmingham. Il realismo dei dettagli strutturali, dal legno di tasso bicolore (durame e alburno), al numero delle doghe, al marchio a fuoco, prevale su qualunque altro significato extramusicale. Nel dipinto Natura morta di strumenti musicali con statuetta dell’Accademia Carrara di Bergamo compaiono un’arpa a sinistra e una mandola a destra, delle quali Baschenis ha reso dettagliatamente l’incordatura. Recenti ricerche di settore hanno stabilito che i cantini venivano tesi attorno al novanta per cento del loro carico di rottura, per cui l’uso frequente dello strumento, il logoramento della corda e i cambiamenti di temperatura e umidità potevano facilmente portare a una rottura, specie delle corde più acute. La corda rotta, che secondo alcune interpretazioni simboleggerebbe lo scorrere del tempo o la caducità dell’evento musicale, rappresenta più verosimilmente la traccia di un normale incidente tecnico, assai frequente tra i suonatori di strumenti a pizzico. Per quanto riguarda l’arpa, notiamo la perfetta incordatura realizzata attraverso le diverse dimensioni delle corde, ovviamente più sottili nei cantini.

“Agudeze” barocche.
Polvere, mosche, sipari
Uno dei più celebri tòpos relativi al pittore - tanto da rappresentare una sorta di “trademark” - è quello concernente la polvere, il sottilissimo velo che in molti dei suoi dipinti ricopre, offuscandoli, libri, tappeti, scrigni, ma soprattutto strumenti musicali. La scommessa è quella di dare visibilità e forma a ciò che per definizione è invisibile, impalpabile e incommensurabile: cosa c’è infatti di più impercettibile della polvere?
«La polvere sulle cose è un pezzo di bravura, un supplemento di finzione, esprime al massimo la potenza mimetica e illusionistica della pittura, il trompel’oeil, la capacità di fingere fino all’inganno, e proprio a questo apice ne manifesta - anzi ne assume - la vanità, l’inutilità, l’inconsistenza» (E. Grazioli, La polvere nell’arte, Milano 2004, p. 16).


Particolare di una chitarra di Giorgio Sellas (prima metà del XVII secolo).

Alessandro Agliardi con strumenti musicali (1665 circa),


Particolari della tela destra del Trittico Agliardi.

Dunque una sorta di sfida, un’esibizione di virtuosismo, una “agudeza” barocca enfatizzata dal fatto che in molti casi a “rivelare” il sottile strato polveroso sul dorso dei liuti sono le tracce delle dita di una mano, come se un occasionale, incredulo visitatore avesse inteso, sfiorando la tela, svelare l’inganno… Ne è conferma un celebre passo della biografia del pittore redatta nel XVIII secolo dallo storico locale Francesco Maria Tassi: «Tanta naturalezza vedesi in ogni caso da esso dipinta, che facile è il lasciarsi ingannare; come seguì ad una poco avveduta persona, che vedendo in un quadro dipinto un leuto tutto coperto di polvere a riserva di alcune naturali striscie, che pareano fatte da qualcuno che avesse voluto porre le mani sul quadro; e volendo col proprio fazzoletto pulirlo, s’accorse dell’inganno, e fu motivo a’ circostanti di qualche burlevole trattenimento».

Natura morta di strumenti musicali con tenda (1660 circa); particolare.
Gli strumenti dipinti dal pittore sono autentici “ritratti” dal vero, come dimostrano non solo la precisione e il rigore filologico con cui sono restituiti i dettagli organologici, ma anche i frequenti marchi a fuoco o le iscrizioni sempre bene in mostra. In alcuni casi si tratta di strumenti di proprietà dello stesso Baschenis (come dimostra il ripresentarsi dello stesso liuto in opere diverse), in altri casi sono “ad evidentiam” “gioielli” orgogliosamente e ostentatamente esibiti dal proprietario del dipinto.


Liuto di Michael Hartung (XVII secolo); Bologna, Museo internazionale e biblioteca della musica.


Natura morta di strumenti musicali con statuetta (1660 circa); particolare, Bergamo, Accademia Carrara.

Altri studiosi hanno inteso la polvere di Baschenis quale figura simbolica della “Vanitas”, richiamando - fors’anche pensando allo suo status di sacerdote - il noto passo biblico «Tutti vengono dalla polvere e tutti ritornano alla polvere» (Ecclesiaste 3, 20). Viceversa, come suggerito anche dai musicisti che si sono occupati dell’artista, l’invenzione può più prosaicamente (e laicamente) riferirsi al tempo inteso in senso fenomenologico, all’inesorabile succedersi delle ore e dei giorni che caratterizza lo scorrere della vita, determinando, come ben sanno i suonatori, l’inevitabile impolverarsi degli strumenti quando non vengano riposti nella custodia. Più in generale, l’interesse del pittore pare rivolto alla dimensione temporale in quanto intimamente connessa al linguaggio e al manifestarsi dell’opera musicale. Nel dipinto centrale del Trittico Agliardi l’artista ha collocato su un grande tavolo in primo piano un insieme di strumenti - liuti, mandole, chitarre, flauto - che al di là dell’apparente disordine risponde a una logica compositiva rigorosa. La straordinaria fuga verso destra dei due liuti, della cetera e della mandola è contrastata, in un gioco di diagonali incrociate e convergenti, dalla direttrice opposta dettata dalla sequenza spinetta-stipo-chitarra-cassetta sullo sfondo. La luce intensa e dorata che spiove da sinistra accentua i contrasti chiaroscurali e le ombre portate, esaltando le qualità plastiche e stereometriche degli strumenti, le tonalità ambrate delle essenze lignee. Nel contesto di questa sublime meditazione sulla vita silenziosa delle cose, è evidente l’intenzione del pittore di alludere, disseminando la scena di indizi, indici e segni, al lento ma ineluttabile scorrere del tempo: a quello lungo necessario all’accumularsi della polvere sui dorsi dei liuti, a quello breve delle dita che quel velo hanno rimosso sfiorandolo, a quello brevissimo di frutti e fiori (le mele “toccate” nel piatto, il garofano reciso sulla spinetta), sino a quello “istantaneo” della mosca (“musca/ musica”) in momentanea sosta sullo spartito musicale.

Natura morta di strumenti musicali (1665 circa), particolare, tela centrale del Trittico Agliardi.


Natura morta di strumenti musicali (1665 circa), particolare, tela centrale del Trittico Agliardi. La mosca (musca) accanto alla musica non è soltanto un gioco di linguaggio (una sincope) ma rappresenta anche un esplicito indicatore temporale. La brevità della sosta dell’insetto sullo spartito è comparata con il tempo lungo sottinteso al depositarsi della polvere sugli strumenti e con quello intermedio del frutto “toccato” e del fiore reciso. Su tutto regna sovrano il silenzio che segue (o precede) l’esecuzione musicale.

Accanto alla polvere e alle mosche un terzo artificio è utilizzato da Baschenis nel suo virtuosistico e ambiguo oscillare tra realtà e finzione: la tenda. La gran parte del suoi dipinti di soggetto musicale esibisce una marcata intonazione teatrale derivante sia dalla qualità della luce, potente e indagatrice, spiovente dall’alto, sia dai preziosi tendaggi damascati o di broccato sollevati come sipari a mostrare lo spettacolo in proscenio. Posta sul limitare dell’opera, a metà strada tra la natura morta musicale e l’osservatore, tra il mondo fittizio della pittura e la vita reale, la tenda funge letteralmente da soglia, da “limen”, da indicatore metapittorico che al tempo stesso simula e dissimula, inganna ma contemporaneamente smaschera l’illusione della realtà pittorica. Un espediente - una “agudeza” - presente in molti autori del Barocco europeo, da Bernini a Rembrandt, da Vermeer a Dou a Gisbrecht, che rimanda inevitabilmente alla leggendaria disputa tra i pittori Zeusi e Parrasio raccontata da Plinio il Vecchio: «Si dice che costui [Parrasio] sia venuto in competizione con Zeusi, il quale presentò un dipinto raffigurante acini d’uva: erano riusciti così bene, che alcuni uccelli volarono fin sulla scena beccandoli. Lo stesso Parrasio, a sua volta, dipinse un drappo, ed era così realistico che Zeusi - insuperbito dal giudizio degli uccelli - lo sollecitò a rimuoverlo, in modo che si potesse vedere il quadro. Ma non appena si accorse del suo errore, con una modestia che rivelava un nobile sentire, Zeusi ammise che il premio l’aveva meritato Parrasio. Se infatti Zeusi era stato in grado di ingannare gli uccelli, Parrasio aveva ingannato lui, un artista» (Plinio Il Vecchio, Storia Naturale, XXXV, 65-66).
Nel dipinto della Pinacoteca di Brera la composizione di strumenti, che ha una conformazione piramidale culminante con una pesca svettante su un grosso tomo rilegato in pelle, il tendaggio di broccato verde con fodera cremisi intessuto di fili d’oro incornicia letteralmente la scena. Posto nel punto più avanzato della composizione, quasi a contatto con l’osservatore, si conclude a sinistra con una preziosa nappa conica sostenuta da un cordone. L’impressione è esattamente quella di un sipario testé sollevato per consentire l’osservazione ravvicinata (quasi indiscreta) di un ambiente privato - quello della meditazione e del ristoro spirituale - immerso nel più totale silenzio. Dall’inventario dei beni del pittore - dove figurano numerose tele incompiute e con il solo tendaggio - si è appreso che il suo “modus operandi” prevedeva “in primis” proprio la realizzazione di questo elemento scenico, quasi una sorta di campionario tessile pronto per essere sottoposto alla scelta del cliente di turno.

Natura morta di strumenti musicali con tendaggio rosso-oro (1660 circa); Bergamo, Accademia Carrara.


Natura morta di strumenti musicali con nastro rosa (1670 circa); Bergamo, Accademia Carrara.

BASCHENIS
BASCHENIS
Enrico De Pascale e Giorgio Ferraris
La presente pubblicazione è dedicata a Evaristo Baschenis (Bergamo 1617 - Bergamo 1677). In sommario: Il Prevarisco. Un pittore, sacerdote, musicista; Musica e società nell'epoca di Baschenis; Nell'atelier dell'artista; Baschenis nella critica del suo tempo; La cronologia delle opere. Ipotesi e indizi; La Maniera bergamasca; La riscoperta in età moderna. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.