Il gusto dell'arte


A OGNI ZONA
LE SUE ECCELLENZE

di Ludovica Sebregondi

Un viaggio nel Bel paese alla scoperta delle tradizioni culturali e sociali che legano arte e cucina regionale. Ottava tappa: Piemonte

La cucina piemontese è robusta, evoca la nebbia, le giornate corte e un fuoco acceso nel camino, e ha come base principale ciò che si produce e raccoglie da settembre a novembre: riso e tartufi, cardi, rape e nocciole, senza dimenticare la selvaggina: fagiani, quaglie, pernici e camosci. Fumanti bolliti si accompagnano al “bagnèt” verde e rosso, alla salsa “del povr’om”, o alla “cotognà”, specie di mostarda che si abbina anche alla polenta, mentre la “bagna càoda” - ricchissima di aglio - ha infinite versioni da valle a valle. I tartufi, non solo di Alba, profumano i già ricchi agnolotti, ma anche i tagliolini, un piatto di riso, un uovo all’occhio di bue o la fonduta. Caratteristici i brasati, prelibati grazie alla qualità della carne di razza autoctona piemontese (la fassona) e del vino, ma anche il fritto misto, uno dei piatti più tipici, o la carne cruda all’albese, tagliata al coltello.

Le preparazioni sono differenziate da zona a zona, anche grazie all’eccellenza delle materie prime: una peculiarità colta da Carlo Petrini che nel 1986 ha fondato a Bra, in provincia di Cuneo, il movimento culturale Slow Food, in origine Arci Gola. Scopo dell’associazione l’opporsi al “fast and junk food” e all’omologazione dei sapori, difendendo le tradizioni agricole ed enogastronomiche, grazie anche ai Presidi Slow Food, nati per il recupero e la salvaguardia di piccole produzioni gastronomiche minacciate dall’agricoltura industriale.

La tavola imbandita della cappella dell’Ultima cena del Sacro Monte di Varallo, in Valsesia (Vercelli), sembra un presidio “ante litteram”, e si differenzia dalle tradizionali parche tavole che illustrano il Giovedì santo, “mettendo in scena” la produzione della vallata. Il Sacro Monte di Varallo sorse per iniziativa del francescano Bernardino Caimi che, di ritorno dalla Terra Santa nel 1486, volle rievocare i luoghi sacri in una cinquantina di cappelle in cui i diversi momenti della Passione di Cristo sono ricreati con sculture a grandezza naturale. Il «gran teatro montano », come lo definì Giovanni Testori, fu edificato fra la fine del XV e il XIX secolo e le cappelle sono frutto di sovrapposizioni e aggiunte: quella dell’Ultima cena fu riedificata nel Settecento utilizzando arredi precedenti. In ciascuna cappella hanno lavorato pittori e scultori, insieme ad artigiani specializzati nel realizzare gli oggetti nei materiali più disparati. La mensa è contraddistinta dalla volontà di un’adesione alla realtà per consentire l’immedesimazione da parte dei fedeli, e il suo realismo la fa differire dalle Scritture per la presenza di cibi diffusi localmente. Sulla tavola centrale e sulla credenza, imbandite con stoviglie, vasellame e posate, sono disposti frutti di ogni sorta fra cui mele, pere, fichi, uva, limoni, ma anche pane, un piatto in ceramica di uova sode tagliate a metà, trote in legno e un gigantesco gambero di fiume polimaterico.

Dalla montagna alla pianura. Le zone del Vercellese e Novarese sono famose per la produzione del riso, e in passato erano soprattutto le donne a lavorarvi stagionalmente come “mondine” per eliminare le piante infestanti che crescevano nelle risaie. Angelo Morbelli (Alessandria 1853 - Milano 1919) scattò delle fotografie vicino a Casale Monferrato, poi eseguì In risaia nello studio. La tela mostra una tipica piantagione di riso in un paesaggio piatto con lontani filari di alberi, in cui le donne, immerse a piedi nudi, indossano gonne multicolori arrotolate in vita, hanno un fazzoletto annodato sulla testa e sono incurvate con le mani nell’acqua per estirpare le piante dannose. Le forme di queste potenti figure femminili di Morbelli, uno dei principali interpreti italiani del divisionismo, sono costruite attraverso i colori e ottenute con pennellate accostate. L’artista dà vita a un’immagine insieme realistica e cinematografica, denuncia sociale di un lavoro stagionale durissimo, che spesso ha avuto una connotazione trasgressiva: la Silvana Mangano in calzoncini corti del film Riso amaro, del 1949, è diventata icona del neorealismo e di una prepotente sensualità.


Angelo Morbelli, In risaia (1901).

ART E DOSSIER N. 342
ART E DOSSIER N. 342
APRILE 2017
In questo numero: ARTE E SOCIETA' L'affaire Dreyfus e la satira; Il museo fittizio di Broodthaers; Antigone: la pietas e il potere. IN MOSTRA Merz a New York, Haring a Milano, Oppenheim a Lugano, Winogrand/Lindbergh a Düsseldorf, Manet a Milano, Bosch a Venezia.Direttore: Philippe Daverio