Grandi mostre. 5
Edouard Manet a Milano

NELLA CITTÀ SCOPRE
LA SUA POESIA

Osteggiato in vita, celebrato dopo la morte. Manet si distingue, osa e non scende a compromessi. La sua pittura guarda alla tradizione pittorica secentesca italiana e spagnola ma si rinnova nei contenuti e nello stile, nella forma e nei colori. A differenza di molti artisti a lui coevi è attratto dal contesto cittadino dove trova, come racconta l’esposizione di Palazzo reale, il luogo ideale per esprimere la sua vena creativa.

Maurizia Tazartes

Edouard Manet (Parigi, 23 gennaio 1832 - 20 aprile 1883) è uno di quegli artisti che hanno ricevuto il giusto riconoscimento post mortem. Come Van Gogh. Ma mentre quest’ultimo non riuscì a vendere quasi nessun quadro, rischiando la fame, Manet, che apparteneva all’alta borghesia parigina, e non aveva problemi economici, se lo poteva permettere. Rigoroso, coraggioso, tenace, aveva lottato tutta la vita per far riconoscere l’alto livello della sua pittura ai Salon, rifiutando vie traverse e compromessi. Soprattutto cercando di svecchiare la mentalità retriva della giuria, provando e riprovando a esporre nonostante batoste e incomprensioni, apprezzato solo da amici poeti e scrittori.

Era un sostenitore della tradizione pittorica secentesca italiana e spagnola, della classicità, che riusciva a modernizzare con contenuti di attualità, che facevano scandalo. Capolavori come Le déjeuner sur l’herbe, l’Olympia, Cristo morto e due angeli furono aspramente criticati perché inserivano nudi in contesti contemporanei e non storici o mitologici, come avevano fatto grandi predecessori, Ingres, per esempio. Le déjeuner sur l’herbe, intitolato in origine Il bagno, esposto al Salon del 1863, fu sbeffeggiato: «Ora un disgraziato francese ha tradotto Giorgione nel moderno realismo e negli orribili panni francesi moderni in luogo dell’elegante costume veneziano », scriveva il critico inglese Hamilton. Stessa sorte per gli altri due quadri, l’Olympia esposta al Salon del 1865, colpevole di ispirarsi alla Venere di Urbino di Tiziano e alla Maja desnuda di Goya, trasferendole nella contemporaneità, e il Cristo morto e due angeli tacciato di troppo realismo.

A sconvolgere l’ufficialità e i benpensanti era anche lo stile, l’accostamento libero dei colori, la spregiudicatezza espressiva. Un linguaggio molto personale, che non era il realismo di Courbet, e neppure l’impressionismo di Monet, ma una pittura nuova e originale, che sapeva utilizzare entrambi senza aderirvi.


Un linguaggio molto personale, che non era il realismo di Courbet, e neppure l'impressionismo di Monet


Solo dopo la precoce scomparsa per cancrena e amputazione di una gamba a cinquantun anni, nel 1883, piovvero lodi e consacrazioni, come aveva previsto lo stesso artista. Nel 1884 una grande mostra all’Ecole Nationale des Beaux-Arts di Parigi, intitolata Le triomphe de Manet, lo celebrava come “precursore della modernità”. Nel catalogo, Paul Valéry esaltava il caratteristico uso del nero e la plasticità della forma. Seguirono altre rassegne, importanti, nei centenari della nascita e della morte, in Francia e nel mondo, mentre le quotazioni delle opere salivano. Anche in Italia ci sono state mostre di rilievo, tra le ultime nel 2013 (Venezia, Palazzo ducale), Manet. Ritorno a Venezia, città amata dal pittore.


Adesso un’altra grande esposizione a Palazzo reale a Milano (in corso fino al 2 luglio), Manet e la Parigi moderna, sottolinea l’influenza centrale dell’artista nella pittura dell’Otto-Novecento, attraverso i vari generi trattati, l’ispanismo, il ritratto, la natura morta, il paesaggio, l’universo femminile e soprattutto Parigi, la capitale prediletta. Manet, infatti, aveva uno spirito profondamente cittadino, a differenza di tanti pittori realisti e impressionisti, che amavano la campagna e le periferie. Era la città che lo incantava, con la sua umanità e i suoi edifici. Nella città il pittore trovava i suoi personaggi, musicisti, cantanti di strada, camerieri di birreria, artisti con i loro atelier, modelle e semplici borghesi. La vita parigina era inebriante, con i suoi caffè strapieni, le edicole zeppe di giornali, il traffico, i cantieri. A darle un nuovo volto erano stati, tra il 1852 e il 1870, l’imperatore Napoleone III e George-Eugène Haussmann, prefetto della Senna. Erano sorti i venti arrondissement, viali, piazze, boulevard, migliaia di nuovi edifici sfavillanti di luci.


Tra le modelle preferite dall’artista c’era anche la pittrice e futura cognata Berthe Morisot


E in quel cantiere in fermento a cielo aperto, Manet scopre la sua poesia. Un giorno rimane incantato da un cedro «dalle sfumature violacee» nel bel mezzo di uno scavo edilizio, un altro da alcuni operai che lavorano nella polvere, un altro ancora da una donna che usciva da un cabaret, con in mano una chitarra, in rue Guyot, dove lui aveva lo studio.

Così nascono i capolavori, giunti adesso dal Musée d‘Orsay di Parigi ed esposti nelle due grandi sezioni della mostra: “Manet e la nuova pittura” e “Parigi moderna”. La tela con La cameriera della birreria, del 1878-1879, dal taglio innovativo, permette allo spettatore di partecipare alla scena, un interno di café chantant, dove signori e signore si godono un balletto mentre una cameriera serve boccali di birra. Luci e tappezzerie profilano un ambiente parigino, dove uomini col cilindro in testa e donne dalle acconciature fiorite si assiepano di fronte allo spettacolo.

A fare di Parigi una città all’avanguardia ci sono gli artisti stessi, gli intellettuali, i poeti e gli scrittori, molti dei quali amici ed estimatori di Manet, che li ritrae. A cominciare da Emile Zola, ritratto nel 1868 nel suo elegante camerino, dove spiccano libri, uno anche dedicato a Manet, oggetti preziosi e, su una parete, una stampa giapponese, allora di gran moda, insieme a una riproduzione dell’Olympia e a un’incisione da un’opera di Velázquez. Tutte cose che accomunavano i due amici. Zola, che faceva parte del gruppo capitanato da Manet, che si riuniva al Café Guerbois in rue des Batignolles, nel 1866 aveva protestato contro l’esclusione dell’artista dal Salon, scrivendo su “L’Evénement” che il suo posto era al Louvre. L’anno dopo aveva scritto anche una biografia critica del pittore.

Eugène nel 1874), appartenente al gruppo di Batignolles. Manet l’aveva conosciuta nel 1867 tramite Fantin-Latour e ne era rimasto affascinato, dedicandole ritratti straordinari. Quello con un mazzo di violette del 1872, per esempio, in cui la donna è vestita di nero, con un grande cappello, o quello di due anni dopo, con il ventaglio.


Berthe Morisot con un mazzo di violette (1872);

La ritrae mentre sta seduta con un leggero abito di mussola bianca nel dipinto Il balcone, insieme ad altri due amici, la giovane violinista Fanny Claus e il pittore Antoine Guillemet. Il capolavoro, del 1868-1869, aveva suscitato forti critiche al Salon del 1869, per il colore verde del balcone, che riprendeva quello della persiana, tanto da far dire a Gautier che «l’artista era in concorrenza con gli imbianchini». Eppure la gamma dei colori era varia, dall’ortensia azzurra, ai fiori bianchi sulla testa di Fanny, al ventaglio rosso e all’ombrello verde. Ma niente veniva risparmiato a Manet.

Altri protagonisti del mondo del pittore sfilano uno dopo l’altro. Il giovane poeta Stéphane Mallarmé è ritratto nel 1876 in una piccola tela di grande naturalezza, un sigaro tra le dita. Manet l’aveva conosciuto nel 1873 e Stéphane l’aveva subito difeso pubblicando un lungo articolo sulla giuria di pittura del 1874 e monsieur Manet, mettendo a nudo l’ipocrisia della commissione e concludendo che il pittore «è stato il solo uomo che abbia tentato di aprire alla pittura una via nuova». Insieme a Manet la mostra presenta altri artisti, compagni di vita e di lavoro, realisti, impressionisti e postimpressionisti, da Jongkind a Gauguin, da Monet a Signac, da Degas a Cézanne a Renoir, testimoni e creatori della Parigi moderna.

Manet e la Parigi moderna

a cura di Guy Cogeval, Caroline Mathieu e Isolde Pludermacher
mostra coprodotta dal Comune di Milano - MondoMostre Skira
Milano, Palazzo reale
fino al 2 luglio
orario 9.30-19.30, lunedì 14.30-19.30, giovedì e sabato 9.30-22.30
Catalogo Skira
www.manetmilano.it

ART E DOSSIER N. 342
ART E DOSSIER N. 342
APRILE 2017
In questo numero: ARTE E SOCIETA' L'affaire Dreyfus e la satira; Il museo fittizio di Broodthaers; Antigone: la pietas e il potere. IN MOSTRA Merz a New York, Haring a Milano, Oppenheim a Lugano, Winogrand/Lindbergh a Düsseldorf, Manet a Milano, Bosch a Venezia.Direttore: Philippe Daverio