La pagina nera


MOLTI INCASSI
NEI MUSEI
MA IN UFFICIO
SONO IN SEI

Come stanno andando le cose dopo la riforma Franceschini?
Se è confortante l’aumento dei visitatori nei musei e nelle aree archeologiche registrato durante il 2016, preoccupante è la situazione del personale. Sono sempre meno non solo i custodi ma anche soprattutto i profili professionali specializzati.
Per non parlare poi del groviglio tra soprintendenze e Poli museali.

di Fabio Isman

L'anno scorso, i musei statali italiani hanno registrato 1,2 milioni di visitatori in più del 2015, e maggiori incassi per 18,5 milioni di euro. Poco importa, non stiamo a spaccare il capello, se questo successo deriva dalle entrate domenicali gratuite, o dai biglietti fatti pagare, sia pur ridotti, a chi ha più di sessantacinque anni: è un buon risultato; e, giustamente, il ministro Dario Franceschini se ne dice lieto. Visitatori aumentati anche all’ex Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, diventata tout court La Galleria nazionale: d’accordo che, specie con i tempi che corrono, Gnam non era l’acronimo migliore; ma, per esempio, la Galleria nazionale d’arte antica di palazzo Barberini, che dovrebbe fare? Forse chiamarsi “Il Tunnel nazionale”? Invece no; è divenuta Barberini Gallerie Corsini nazionali: si è data un nuovo sito online, con qualche mostra e tante promesse. All’ex Gnam, invece, la nuova direttrice Cristiana Collu, una tra i trentadue megadirigenti direttamente di nomina ministeriale e normalmente esterni all’istituzione (tranne in un caso: quello di Anna Coliva, pur non dirigente ma confermata alla Galleria Borghese), ha compiuto una trasformazione radicale. Cassato ogni ordinamento museale, l’ex Gnam è stata trasformata in un’esposizione di lungo corso, Time is Out of Joint (durerà un anno e mezzo, fino al 15 aprile 2018), non senza andare esente da critiche. E le mostre attirano, si sa, i visitatori: negli ultimi tre mesi dell’anno, sono infatti raddoppiati. Anche i dati di Federculture indicano, nel 2016, un aumento delle frequenze nei musei (+ 3,9 per cento) e nei siti archeologici (+ 5,4). Ma questa è una faccia soltanto della riforma ministeriale. 

Lo stesso Franceschini ammette che le innovazioni hanno bisogno di «un lungo tempo, prima di andare a regime »; e che «ogni riforma deve far storcere il naso a qualcuno: se piace a tutti, che riforma è?». Sta di fatto che, attualmente, la vita del dicastero è, per così dire, alquanto schizofrenica. Bipartita. Divisa in due. Non sono insignificanti i risultati dei musei (prima, dice il ministro, «sotto il profilo giuridico, nemmeno esistevano»), ma è davvero pessima la situazione degli uffici. Sempre Franceschini riconosce che esistono grosse «carenze di personale». Certamente non le colma l’assunzione di centoventi ex forestali: le lacune più gravi, oltre che tra i custodi, si manifestano dietro le scrivanie. E sono davvero assai gravi.


Tomba di Giuseppe Garibaldi nel parco del Museo garibaldino a Caprera.


La Galleria nazionale d’arte moderna di Roma diventata La Galleria nazionale.


Sala della Galleria nazionale di Roma


Sala della Galleria nazionale di Roma

La Soprintendenza di Roma non ha nessun archeologo che si occupi del parco dell’Appia Antica


A Roma, l’Appia Antica, la «regina viarum», è un luogo assai sensibile. Perché vi esiste un parco, e perché voraci sono gli appetiti dell’edilizia sull’immenso spazio verde che la circonda. Bene: attualmente la Soprintendenza non possiede nessun archeologo di ruolo che se ne occupi; per fortuna, lo fa una funzionaria assai brava ed espertissima dell’Appia, Rita Paris; però non sarebbe compito suo. E fino a prima dei terremoti, per tutta l’area archeologica dell’Umbria esisteva un solo funzionario, senza fondi per le missioni, e con il divieto di usare la propria automobile: forse, controllava il territorio attraverso un potente cannocchiale, o per telefono. La Soprintendenza di Ravenna non vanta nessuno storico dell’arte (e sì che ce n’è tanta); quella di Bologna, due in tutto. Come due sono gli storici per tutte le Marche; uno, però, a tempo parziale. A Foggia, un archeologo e un architetto, che però si occupa anche di un’altra regione; nessuno storico nel Molise, con un funzionario archeologo, più tre a tempo determinato; e nella ricca Lombardia, tre storici dell’arte in tutto a Milano, con appena due archeologi. 

Perché è possibile tutto questo? Perché il personale, negli “interpelli” e nelle opzioni, preferisce andare a lavorare ai nuovi Poli museali: dove può sempre sperare magari nella direzione di un piccolo museo, che almeno garantisce qualche autonomia, piuttosto che misurarsi con le “scartoffie”, in una penuria assoluta di fondi e risorse. Così, l’ufficio territoriale di Crotone e della Sila vanta un solo archeologo, ma senza alcun altro personale di supporto. Ma non è che in tutti i Poli museali vada poi sempre meglio: perché la coperta del personale è comunque assai corta. Quello del Molise, per esempio, ha due archeologi a tempo determinato, ma nessuno storico e nessun architetto; il Polo lombardo, tre archeologi, un architetto e uno storico, e nove tra musei e aree archeologiche di cui occuparsi. Privo del direttore l’importante museo di Cividale, e al Polo del Friuli-Venezia Giulia restano un archeologo (che dirige il museo di Aquileia), un architetto e un solo restauratore. A Crotone, un solo funzionario regge cinque istituti, tra musei e parchi. 

Nel «formidabile museo all’aperto che è la Sardegna, 8.815 soltanto i nuraghi», Vittorio Emiliani ci informa che non hanno direttore, a Caprera, il Museo garibaldino, né quello di Nuoro, né l’Antiquarium di Porto Torres; mentre al Museo Sanna di Sassari c’è «un geometra, riqualificato come antropologo ». 

Insomma, le piante organiche sono un bollettino di guerra delle assenze: negli uffici restano in tanti, che spesso si possono contare sulle dita di una mano o poco più. Poi, vi sono da considerare “competenze” e “accorpamenti”. 

A Cerveteri (Roma), per dirne una, sono stati separati il museo e l’area degli scavi, e il deposito del primo sta nel terreno della seconda. Lo stesso succede per fondamentali strumenti di lavoro, come gli archivi storici dei vincoli e dei luoghi, che ciascuna soprintendenza possedeva. Ma adesso, numerose sono state frantumate e “riaccorpate”, per cui quegli archivi unitari servono a poco; in più, spesso quegli stessi delle soprintendenze sono rimasti nei musei, che appartengono ormai a una struttura ben diversa, appunto quella dei Poli. Insomma, è un enorme guazzabuglio, per adesso (ma chissà per quanto ancora), oltretutto assai poco funzionale, in un paese che, dice sempre Emiliani, «ci regala il record europeo di consumo di suolo che viene edificato: settanta ettari al giorno. Il doppio e oltre di quello medio europeo». 

Prima della riforma, circa ottanta soprintendenze si occupavano della tutela; ora, accorpate, sono meno della metà. E poi, attenzione: nelle Conferenze di servizi può capitare che partecipi un funzionario digiuno della materia da trattare: mancano, ormai, le antiche specializzazioni. Né tutte le soprintendenze possiedono dei depositi che siano autonomi dai musei. Forse, anche questa riforma, la decima e magari più da quando il ministero è nato nel 1974, andrà presto un po’ riformata.


Immagini del parco archeologico dell’Appia Antica di Roma. case costruite in prossimità di uno scavo


Immagini del parco archeologico dell’Appia Antica di Roma. Case costruite straripamento del fiume Almone nel novembre 2014 in un’area occupata abusivamente all’interno del parco.


Il Museo Sanna di Sassari


Un’immagine della necropoli etrusca a Cerveteri (Roma)

ART E DOSSIER N. 341
ART E DOSSIER N. 341
MARZO 2017
In questo numero: IMMAGINI FATTE DI LUCE Bill Viola: la videoarte; Ivana Franke: luce immateriale; Marinella Pirelli: light art; Vetrate: la luce ritrovata. IN MOSTRA Viola a Firenze, Mambor a Milano, De Stijl in Olanda, Bellini a Conegliano.Direttore: Philippe Daverio