PASSATO/PRESENTE

Per Viola l’aspetto più importante del suo periodo italiano è il fatto di poter sentire a livello esperienziale, sulla propria pelle, la storia dell’arte che traspira dalle pagine dei libri.

«Probabilmente ebbi allora le mie prime esperienze inconsce di un’arte collegata al corpo, poiché molte delle opere di quel periodo, dalle grandi sculture pubbliche ai dipinti incorporati nelle architetture delle chiese, non sono che una forma di installazione: un’esperienza fisica, spaziale, da consumare interamente»(13).

Molti suoi lavori successivi derivano proprio da queste esperienze italiane e soprattutto dall’aver visto le opere in un contesto vivo e vissuto, non musealizzate e “morte”, ma parte della vita quotidiana. Ha finalmente l’occasione di percepirle non da un solo punto di vista, come sui libri, e inizia a vedere le immagini elementi al servizio di un sistema più vasto che comprendeva la propria esperienza corporea e fisica(14).

Fondamentale è anche un soggiorno a Siena, dove Bill rimane un mese nel 1977 come cameraman per girare un documentario sulla città. All’inizio non comprende le opere di maestri quali Duccio, i Lorenzetti, Giovanni di Paolo, il Maestro dell’Osservanza ma quei giorni senesi diventano una fase essenziale della sua formazione.

«Oggi sono tra gli artisti che amo di più, e la mia più grande fonte di ispirazione. […] Era come se la parte inconscia di me li stesse digerendo mentre la parte conscia li sputava fuori!»(15).

Un’ulteriore tappa di avvicinamento all’arte antica, una svolta avvenuta in modo perfettamente conscio, risale al 1984 quando a Madrid visita il Prado e scopre opere fiamminghe e spagnole in dialogo, e rimane sconvolto soprattutto dalle Pinturas negras di Goya.

«Mi abbandonai a quei dipinti come non avevo mai fatto, e questo schiuse un’enorme porta davanti a me. […] Mi resi conto che la tradizione dei maestri del passato era totalmente incentrata sul contenuto; forma e tecnica erano al suo servizio. Il fulcro erano le storie umane, la profondità interiore: la coscienza, in definitiva»(16).

The City of Man (La città dell’uomo) (1989); 30’, installazione video-audio.
Sul video di sinistra appare una piacevole cittadina californiana, in quello centrale il dibattito in un consiglio comunale, nell’ultimo l’incendio che distrugge una fabbrica, alludendo allegoricamente a paradiso, vita terrestre e inferno. La struttura, con lo schermo centrale più ampio e la cornice in legno a dividere, ma anche a racchiudere, rimanda agli antichi trittici, recuperandone le forme e la spazialità.


Pontormo, Visitazione (1528-1529 circa); Carmignano, pieve di San

«La distanza che mi aveva separato dai maestri del passato si è completamente dissolta. Tempo e spazio, passato e presente, erano la stessa cosa. Così il mio profondo legame con la pittura italiana, nato nel periodo in cui vivevo a Firenze, è ritornato a galla come un amore perduto. Ho capito che i cosiddetti vecchi maestri non erano altro che giovani radicali. Masaccio, Michelangelo, Raffaello, erano artisti influenzati da nuove idee tecniche e scientifiche, provenienti da centri di ricerca e da università. Avevano tutti circa venti anni quando hanno creato i primi grandi lavori. Il parallelo con l’epoca attuale delle videocamere digitali, della computer graphic, della videoarte e di internet, è indiscutibile. […] Ho guardato a loro come modelli per la mia concezione dell’immagine, costruendola grazie a un’esperienza lunga settecento anni»(17).

Il rapporto empatico prima, e lo studio dell’arte antica poi, porta Viola a pensare a lavori che traggono spunto da opere del passato. Nel 1989 si aprono per lui scenari nuovi poiché si rende conto di non riuscire più a considerare la pratica artistica come un esercizio tecnico. L’occasione gli è data da un progetto, avviato al Brockton Art Museum in Massachusetts, volto a esplorare le possibilità interattive di un nuovo medium, il Laserdisc. Non soddisfatto dei risultati ottenuti propone, e ottiene, di stravolgere l’idea originaria e nasce così il suo primo trittico, The City of Man.

«L’immagine triplice è una forma molto antica; sono interessato a servirmene in quanto, essendo un elemento della tradizione cristiana europea, costituisce un’immagine originata da questa cultura e quindi presente all’interno, e non all’esterno, di molte delle persone che sono venute a vederla in Europa. Mi interessa meno in quanto citazione, o “immagine presa a prestito”, perché secondo me se si va troppo avanti su quella strada è facile innamorarsi del processo del citare in sé e per sé, e si finisce col non aver più rispetto per la potenza intrinseca agli oggetti e ai materiali stessi, e per quelle potenzialità di trasformazione interiore che costituiscono il motivo originario per appropriarsene. A parte le ragioni più tecniche, come il fatto che il numero tre esprime un equilibrio delicato, e viene usato per indicare contrapposizioni e confronti, sia in termini visivi, sia (in particolare) temporali, in ultima analisi la forma del trittico mi interessa in quanto riflesso di una visione del mondo, sia nel senso di una cosmologia, sia di una visione della società: “Cielo-Terra- Inferno”; e perché in questa tripartizione si rispecchia un’immagine della struttura della mente e della coscienza europee»(18).


Sul set di The Greeting, Culver City, California, 1995.

Sono numerosi anche i lavori di Viola basati sul cinque, numero che ha un ruolo importante nella cultura orientale, a cominciare dai cinque “skandha” - citati da Viola in un taccuino - cioè gli elementi costitutivi dell’esistenza secondo il pensiero buddhista: forma, sensazione, percezione, fattori di composizione, coscienza. Stations del 1994 è la sua prima opera in cinque parti: un’installazione su grandi schermi che si riflettono su lastre di granito e che mostra corpi immersi in un liquido che compaiono e scompaiono con andamento ciclico per suggerire la nascita, la vita, la morte e una nuova nascita. Un altro “pentittico” risale al 1995 quando - per il padiglione statunitense della Biennale veneziana - realizza cinque installazioni autonome, anche se unite dal titolo Buried Secrets.

Non appare però come pensato unitariamente, poiché dagli altri si distacca The Greeting, ispirato alla Visitazione del Pontormo del 1528-1529 conservata nella pieve di San Michele Arcangelo a Carmignano (Prato).


Bill Viola davanti alla Visitazione in restauro nello studio di Daniele Rossi, 15 dicembre 2013.


Viola ha lavorato al suo video senza aver visto dal vero la Visitazione del Pontormo a Carmignano: l’incontro con il dipinto è avvenuto solo durante il restauro in preparazione della mostra Pontormo e Rosso Fiorentino. Divergenti vie della Maniera, che si sarebbe tenuta a palazzo Strozzi a Firenze.

Viola ricordando il suo soggiorno a Firenze negli anni Settanta racconta: «Ero entrato nella chiesa di Santa Felicita, subito dopo Ponte Vecchio, a vedere la Deposizione [del Pontormo].

Fui molto colpito dai colori. Uscendo mi domandai, sinceramente, che cos’avesse fumato il pittore per dipingere quei rosa, per dipingere quegli azzurri incredibili. Sembrava che avesse lavorato sotto l’effetto dell’LSD. Ma la Visitazione no, non l’avevo vista. Del resto stava fuori Firenze, a Carmignano. Il mio incontro con quel quadro è avvenuto anni dopo, in California. Una storia buffa. […] Ero andato in una libreria, cercavo un libro, non ricordo più quale. Mentre stavo uscendo vedo con la coda dell’occhio un volume appoggiato sul banco. Un nuovo testo sul Pontormo. Sulla copertina era riprodotta la Visitazione, mi colpirono i colori. Di quel quadro non sapevo niente, ma non potevo smettere di guardarlo. Ho comprato il libro e l’ho portato a casa. Ma aspettai mesi prima di prenderlo in mano. Alla fine apro il libro, lo leggo, resto affascinato dalle idee, dai colori di quel pittore. Nasce così l’idea di The Greeting: affittiamo uno studio a Los Angeles, cerchiamo tre attrici. Abbiamo usato una cinepresa speciale, trecento immagini al secondo, per dare l’effetto di slow motion, di tempo rallentato: così quarantacinque secondi di girato vengono espansi fino a durare dieci minuti. All’epoca era qualcosa che non potevi fare con la videocamera. Era un film che poi è stato riversato. Lo portai in prima mondiale alla Biennale di Venezia. Fu accolto subito con giudizi molto positivi»(19).


Sul set di The Greeting, Culver City, California, 1995.

«All’inizio due donne parlano e non succede praticamente nulla. Si vedono queste piccole figure sullo sfondo, nel vano di una porta, che fanno qualcosa. In seguito interviene una crisi, quando un’altra donna compare dal nulla, da fuori campo, e saluta una delle due. Questo modifica l’intera situazione. Nel passaggio successivo, la situazione - alterata da quest’unico evento sorprendente - deve risistemarsi e riadattarsi al cambiamento. È la struttura narrativa classica. Chiaramente, l’emozione umana è l’espressione archetipica della fragilità del tempo. In inglese le due parole vengono addirittura associate: “fleeting emotions”, “emozioni fugaci”. La bellezza delle emozioni sta nel fatto che non abbiamo un sorriso stampato in faccia ventiquattro ore al giorno. Un’espressione emotiva costante e invariata è innaturale, e può addirittura rimandare a un comportamento patologico. Le emozioni sono la manifestazione tempo nella coscienza umana, per come appare sulla sua facciata esterna»(20).

«Le opere che rileggono l’antico non sono solo citazioni. Non sono meri esercizi di rimessa in scena o di appropriazione, e non sono nemmeno film. Tuttavia si ricollegano a qualcosa che hanno fatto altri artisti del passato»(21). Lo “slow motion” e il rallentamento dei movimenti diviene il tramite ideale per citare ed esaltare la “fissità” della tavola del Pontormo, creando però un “prima” e un “dopo” alla scena narrata. The Greeting estende i quarantacinque secondi reali dell’incontro di tre donne fino a portarli a dieci minuti di proiezione. Ogni minima variazione, ogni soffio di vento, sono esaminati nei più minuti particolari, moltiplicando la possibilità della loro osservazione e portando lo spettatore a entrare lentamente nei dettagli dei gesti e dell’espressività mimica dei personaggi, grazie alla lentezza dei movimenti che rende apprezzabili alcuni aspetti inconsci.







Catherine’s Room (Stanza di Catherine) (2001); 18’39’’, polittico di video a colori.

Andrea di Bartolo, Storie delle vite di beate domenicane (1394-1398), al centro Caterina da Siena; Venezia, Gallerie dell’Accademia.

Ancora dedicato all’universo femminile è Catherine’s Room (2001), che segue uno schema quintuplice restituito da schermi di piccolo formato accostati orizzontalmente. Tutti mostrano lo stesso interno della stanza di una donna di cui seguiamo i rituali quotidiani dei diversi momenti - mattina, pomeriggio, tramonto, sera e notte - mentre percepiamo il trascorrere delle stagioni attraverso il ciclo vitale del ramo di un albero che si scorge attraverso una finestrella. Il mondo esterno rappresenta dunque un ulteriore livello temporale: non solo la registrazione di un giorno, ma anche la visione dei cicli della natura e, in fondo, di un’intera vita umana: Catherine che dorme nell’ultimo schermo fa infatti pensare inevitabilmente alla morte.
Per Catherine’s Room Viola ha tratto ispirazione da una predella con Storie delle vite di beate domenicane conservata alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, attribuite al pittore senese Andrea di Bartolo, parte inferiore di un dossale con Caterina da Siena e quattro beate dipinto alla fine del Trecento.


Sul set di Catherine’s Room, studio di Bill Viola, Signal Hill, California, 2001.

La fotografia dell’opera fu notata da Viola, affascinato dal ripetersi dello stesso spazio interno, della vita intima di donne sole, ma anche attirato dal formato e dal tipo di narrazione quotidiana, feriale. Viola è anche rimasto colpito dalla differenza nelle pale d’altare tre e quattrocentesche tra la parte superiore, di natura iconica, e le sottostanti predelle, più narrative e ricche di allusioni alla vita quotidiana, che permettevano di lasciare spazio alla fantasia degli artisti, consentendo anche ai fedeli di immedesimarsi nella vicenda rappresentata.
È collegata all’arte del passato anche la serie The Passions che ha origine nel 1998 quando Viola è ospite del Getty Research Institute di Los Angeles, diretto all’epoca dall’archeologo Salvatore Settis, che lo coinvolge in una ricerca sulla rappresentazione delle passioni. Viola si ispira agli studi sulla pittura sacra del Medioevo e Rinascimento per mostrare quanto di essa sopravviva nel linguaggio contemporaneo delle espressioni.
La sotto-serie Quintet of Portraits - formata da The Quintet of the Astonished (del 2000, che trae ispirazione dalle figure che circondano Cristo nell’Incoronazione di spine di Hieronymus Bosch della National Gallery di Londra), The Quintet of Remembrance, The Quintet of the Silent, The Quintet of the Unseen - riunisce cinque gruppi in ciascuno dei cinque video che esprimono le emozioni primarie: sofferenza spirituale, dolore fisico, rabbia, paura e gioia.

Anche l’opera Going Forth By Day è articolata in cinque parti e costituita da sequenze video proiettate simultaneamente sulle pareti di un grande ambiente. Commissionata dal Deutsche Guggenheim di Berlino e inaugurata nel 2002, si tratta di uno dei lavori più impressionanti - anche questo fortemente influenzato dall’arte antica - di tutta la vasta produzione di Bill Viola. Il titolo deriva da quello del Libro dei morti dell’antico Egitto, detto il Libro dell’uscire al giorno, e si riferisce al momento del trapasso in cui dal buio si passa alla luce, secondo un’idea della luce come rivelazione che si trova presente indistintamente in tutte le tradizioni religiose(22). L’artista interpreta la propria installazione come un sentiero, illuminato solo dai bagliori delle proiezioni, attraverso il ciclo eterno della vita e della morte, della creazione e della distruzione(23).

The Quintet of the Astonished (Quintetto di chi è stupito) (2000); video a colori.


The Quintet of the Astonished (Quintetto di chi è stupito) (2000); video a colori.

Viola ha voluto riproporre lo spazio immersivo ammirato nella cappella degli Scrovegni di Giotto creando un “affresco ciclico digitale” costituito da cinque scene: Fire Birth, The Path, The Deluge, The Voyage, First Light. Il primo mostra un uomo nudo che nuota, sospeso tra morte e nuova nascita, in un liquido rossiccio che unisce l’impeto dell’acqua alla violenza del fuoco. Gli altri quattro, per quanto ambientati nel mondo contemporaneo, sono strettamente legati alla ricerca su opere del passato, e Viola ricorda come fonti di ispirazione gli affreschi di Luca Signorelli nella cappella di San Brizio del duomo di Orvieto e della cappella degli Scrovegni a Padova. La realizzazione tecnica di quest’opera, in cui l’artista ha utilizzato per la prima volta l’alta definizione, è stata particolarmente complessa, con l’uso di grandiosi set hollywoodiani.


Allestimento luci per The Path, Angeles National Forest, California, 2002.

The Path (Going Forth By Day) (Il sentiero. Uscire al giorno) (2002); 36’, installazione video-audio.

In The Path una pineta è percorsa da un flusso ininterrotto di persone che procedono con ritmi differenti su un vero e proprio “sentiero della vita”, un attraversamento dello spazio tra due mondi. Il riferimento, non solo visivo, è al primo dei due episodi della serie di dipinti dedicati alla Storia di Nastagio degli Onesti, oggi al Prado, che Botticelli e la sua bottega eseguirono nel 1483 ispirandosi a Boccaccio. Nella novella del Decameron la vicenda è ambientata nella pineta di Classe presso Ravenna, e narra la terribile punizione d’oltretomba a cui possono assistere anche i vivi e che si ripete ogni venerdì: un cavaliere infernale insegue una fanciulla colpevole in vita di aver dileggiato l’uomo che l’amava spingendolo al suicidio. L’incontro avviene dunque in uno spazio che congiunge i due mondi, analogamente a quanto avviene nell’opera di Viola.

The Voyage mostra una casetta su una collina vicina al mare in cui un vecchio muore; l’uomo riappare poi alla moglie sulla spiaggia, insieme caricano i loro beni su una chiatta, vi salgono e si allontanano salutati dai familiari. L’edificio col tetto cuspidato, aperto da un lato come una scatola a cui manca la parte anteriore, è preceduto da un atrio - in cui siede una figura vestita di chiaro - su colonne sottili sovrastato da un terrazzo; nell’unica stanza il letto è rivestito da una coperta a righe e il soffitto è in legno a cassettoni. Si tratta di una citazione quasi letterale del riquadro con l’Annuncio a sant’Anna della cappella degli Scrovegni, ciclo fondamentale per la nostra storia dell’arte che ha colpito l’artista americano proprio per il suo carattere immersivo e tridimensionale.


The Voyage (Going Forth By Day) (Il viaggio. Uscire al giorno) (2002); 36’, installazione video-audio.

«L’artista dipinse tutte le pareti e il soffitto, ogni centimetro quadrato all’interno della cappella. È una delle installazioni artistiche più grandiose del mondo. Anche il tempo vestiva un ruolo cruciale in queste opere italiane. Mentre ti spostavi nello spazio, comparivano determinate cose e la sequenza di immagini si dispiegava nel tempo tramite i movimenti corporei, non solo attraverso la vista. Molti grandi cicli di affreschi erano narrazioni in cui l’osservatore percorreva letteralmente la storia. Gli artisti dovevano ragionare per cicli spaziali e sequenze di immagini. Si possono intuire i loro sforzi per rappresentare lo svolgimento del tempo sequenziale. In questo, Giotto era un maestro e un autentico pioniere. Oltre a essersi occupato per primo della rappresentazione di sequenze narrative cronologiche, lo fece su larga scala. Raffigurava l’esordio e il seguito delle emozioni umane attraverso i gesti fugaci e le espressioni facciali dei suoi soggetti. Era una scelta estremamente radicale e innovativa per l’epoca. Tutto ciò conferisce a queste opere un carattere molto cinematico per l’osservatore moderno. I cicli di affreschi sono una sorta di storyboard su larga scala. Li considero gli antesignani dei film»(24).

In The Deluge inizialmente i passanti camminano tranquillamente davanti a un edificio appena restaurato impegnati in attività quotidiane, ma poi l’accelerazione crescente dei movimenti delle persone si accompagna alla sensazione di catastrofe imminente. Un fragore precede la discesa a precipizio delle scale degli abitanti della casa che cercano di evitare una cascata torrenziale che erompe violenta dalle porte e dalle finestre, travolgendoli. Quando tutto è finito il sole risplende sull’asfalto asciutto. Naturalmente il pensiero va alla lunetta con il Diluvio universale e recessione delle acque, affrescata intorno al 1439-1440 da Paolo Uccello nel Chiostro verde di Santa Maria Novella a Firenze per l’infuriare drammatico degli elementi, l’aggressività degli uomini che non si aiutano nella difficoltà pensando solo alla propria impossibile salvezza, le scene di morte che si chiudono con l’immagine di Noè affacciato all’arca dopo il deflusso delle acque. Anche gli elementi architettonici, la costruzione spaziale e la monumentalità incombente di gusto metafisico hanno fatto di quest’opera un riferimento non solo per gli artisti italiani del Novecento ma anche per Bill Viola.


The Deluge (Going Forth By Day) (Il diluvio. Uscire al giorno) (2002); 36’, installazione video-audio.


The Deluge (Going Forth By Day) (Il diluvio. Uscire al giorno) (2002); 36’, installazione video-audio.


Paolo Uccello, Diluvio e recessione delle acque (1439-1440 circa), particolare; Firenze, Museo di Santa Maria Novella.

Collaudo dell’acqua per la scalinata di The Deluge, parcheggio dell’aeroporto di Long Beach, California, 2001.

First Light è ambientato in un deserto in cui un’inaspettata inondazione travolge alcune persone. Una squadra di salvataggio si prodiga nel corso della notte per salvare i dispersi, tra i quali un giovane che la madre ha il presentimento di non riuscire più a vedere: le sfugge infatti il momento in cui, sotto forma di spirito luminoso, risorge dall’acqua. I riferimenti all’arte del passato sono numerosi, tra i più riconoscibili quello ai soldati addormentati presso il sepolcro nella Resurrezione di Piero della Francesca a Sansepolcro (Arezzo) e agli apostoli stesi a terra nell’Orazione nell’Orto degli ulivi di Andrea Mantegna, conservato alla National Gallery di Londra. A Giovanni Bellini, e alla sua Orazione del 1459 anch’essa nel medesimo museo londinese, Viola sembra debitore per la suggestione della figura diafana che si eleva fantasmatica.


First Light (Going Forth By Day) (Prima luce. Uscire al giorno) (2002); 36’, installazione video-audio.

In una delle opere che compongono Dolorosa (2000) Viola inserisce due ritratti a mezzo busto di un uomo e una donna su due schermi incorniciati e montati insieme, analoghi a quelli di Jan van Eyck o Dieric Bouts in cui le lacrime - una delle importanti novità figurative introdotte dai pittori nordici - scendono silenziose senza che il volto o la gestualità esprimano strazio, rivelando un dolore impietrito e diventando segno tangibile della sofferenza.

Nell’opera di Viola i due, uniti ma separati, piangono in “slow motion” in un’immagine che si ripete in “loop” per evocare la condizione umana universale di una sofferenza che non ha fine.

«I fiamminghi hanno inventato un nuovo medium e una nuova tecnica - la pittura a olio - che all’epoca era il sistema per la creazione di immagini più sofisticato del mondo. L’equivalente dell’odierno video digitale ad alta definizione. Riusciva a mostrare la trama di un tessuto, il minimo riflesso di luce, ogni anello luccicante di una collana d’oro, ogni pustola purulenta sulla pelle del Cristo crocifisso. Perseguivano questo obiettivo come una specie di ideale spartano, e dolore e sofferenza permeano ogni pennellata. Gli italiani capirono che il mondo materiale era il nuovo punto focale, e introdussero i mezzi tecnici per estrapolare le forme dal piano bidimensionale della pittura, avvicinandole al mondo della scultura. Ma il loro interesse era ancora rivolto alla “fantasia” delle emozioni - trovavano potente la sensazione di energia che trasmettevano. Questo era il realismo che stavano cercando. Lo si vede ancora oggi con chiarezza nello sforzo di conferire movimento alle figure, di fare in modo che prendano vita»(25).


Emergence (Emersione) (2002); 11’40”, retroproiezione video a colori.

Una sofferenza che fa invece riferimento a modelli italiani è la videoproiezione Emergence (2002), commissionata dal Getty Museum e parte della serie The Passions. Due donne vegliano sedute ai lati di un pozzo di marmo segnato da una croce. Una premonizione fa girare di colpo la più giovane verso il sacello da cui compare prima la testa, poi il corpo pallidissimo di un giovane che sollevandosi fa traboccare l’acqua. Anche l’anziana si volta e assiste alla lenta e progressiva emersione dell’uomo che, affiorato interamente, barcolla e cadrebbe se non fosse sostenuto dalle donne che con grande sforzo lo depongono per terra coprendolo con un telo: una ne poggia la testa sulle ginocchia, l’altra ne abbraccia teneramente il corpo.
Viola si è qui ispirato all’affresco del Cristo in pietà di Masolino da Panicale conservato nel Museo della collegiata di Empoli (Firenze), in cui le carni di Cristo sono segnate dal pallore della morte, mentre la posizione eretta, le braccia allargate e gli occhi socchiusi si confanno a un uomo vivo: messaggi discordanti che lo propongono contemporaneamente con le caratteristiche della vita e della morte, anche se l’espressione di Maria mostra il dolore per la perdita del Figlio. La Vergine da un lato e Giovanni dall’altro sono vicini a Cristo anche con la loro partecipazione emotiva; il corpo eretto - bello, statuario con riferimenti all’arte classica - mostra solo un’impercettibile ferita al costato quale traccia della Passione.

Tuttavia, proprio perché il video non è un’immagine ferma e unica, l’artista non si è ispirato solo a Masolino, ma ha contaminato Emergence con suggestioni derivate dai sarcofagi romani con la Morte di Meleagro, dalla Pala Baglioni di Raffaello, dalla Pietà Rondanini di Michelangelo, dalla Morte di Marat di David.


Masolino da Panicale, Cristo in pietà (1424); Empoli, Museo della collegiata di Sant’Andrea


Sul set di Emergence, studio di Bill Viola, Signal Hill, California, 2002.

Nella videoproiezione l’acqua sgorga da un sepolcro, simbolo di morte e insieme riferimento alla fuoriuscita dei liquidi amniotici durante il parto, e crea così una narrazione circolare tra l’inizio e la fine della vita. Viola unisce qui pensiero cristiano e spiritualità orientale in un originale sincretismo. In Observance (2002), anch’esso parte della serie The Passions, un flusso di persone addolorate avanza lentamente, fermandosi una dopo l’altra in testa alla fila, sopraffatte dall’emozione. Fissano lo sguardo su un oggetto, che non si vede, collocato al di sotto dell’inquadratura. Un’aria di solennità e sofferenza pervade la scena. Le persone si sfiorano o si scambiano un’occhiata passando, le coppie si confortano nel loro cordoglio condiviso. Tutti sono uniti dal desiderio di arrivare in testa alla fila per entrare in contatto con la visione e per renderle omaggio. Dopo avere ottenuto il loro momento di solitudine tornano in fondo alla fila per lasciare spazio agli altri, con tempi tanto impercettibili che sembra trattarsi di dipinti. Viola ha sottolineato che quasi tutte le opere di The Passions sono derivate dalla lunga e sofferta elaborazione della morte dei genitori, ma anche da una tragedia collettiva come quella dell’11 settembre 2001, tanto da ricordare visivamente la cerimonia che ha avuto luogo a New York nel primo anniversario del crollo delle Torri gemelle. 


Poiché però gli spettatori non sono informati sull’oggetto che provoca un’emozione tanto forte (e sembra impossibile sapere che gli attori in realtà osservavano un vaso di fiori su un tavolo), ciascuno rivive le proprie personali sofferenze. Observance è anche ispirato alla pala d’altare I quattro apostoli (1526) di Albrecht Dürer, nella quale vengono rappresentati quattro apostoli immersi nel loro intimo dolore per la morte di Cristo.
In Surrender (2001) - altro video appartenente alla serie The Passions - le immagini di un uomo e una donna appaiono a mezza figura, e quella femminile sullo schermo inferiore è capovolta, come fosse un riflesso allo specchio di quella superiore. I due si inchinano come a cercare un contatto ma incontrano uno specchio d’acqua in cui immergono i volti. Riemergono, ma la loro angoscia si intensifica e le immagini si dissolvono, facendo comprendere che erano visibili soltanto i loro riflessi sulla superficie dell’acqua, non i corpi reali. Questa “immagine di un’immagine” si fa più violenta e distorta a ogni immersione, finché la loro estrema intensità emotiva e fisica giunge al culmine e le loro forme visive si disintegrano in motivi puramente astratti di luce e colore. Emozioni via via più forti e devastanti.

Observance (Osservazione) (2002); 10’14”, video a colori.


Observance (Osservazione) (2002); 10’14”, video a colori.


Surrender (Arrendersi) (2001); 18’, dittico di video a colori.

(13) Risvegliare il corpo con le “immagini potenti” dell’esistenza, cit.

(14) John Hanhardt intervista Bill Viola, cit.

(15) Ivi.

(16) Ivi.

(17) http://studioesseci.net/mostre/bill-viola-e-lanfrancoeterne- visioni-tra-presente-e-passato/

(18) B. Viola, In risposta alle domande di Jörg Zutter, in Bill Viola. Visioni interiori, cit., p. 184.

(19) Il colore Viola del Manierismo, cit.

(20) John Hanhardt intervista Bill Viola, cit.

(21) Ivi.

(22) Bill Viola in C. Piccoli, Bill Viola, mago dell’arte in movimento, in “La Repubblica”, 28 febbraio 2010, p. 54.

(23) Ibidem.

(24) John Hanhardt intervista Bill Viola, cit.

(25) Ivi.

BILL VIOLA
BILL VIOLA
Arturo Galansino
La presente pubblicazione è dedicata a Bill Viola. In sommario: Acqua; Firenze; Camera oscura e miraggi; Passato/Presente; Nascita, morte, immortalità. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.CartaceoeBook