CATALOGHI E LIBRI

FEBBRAIO 2017

CARLO MATTIOLI

Felice coincidenza: mentre leggiamo la raffinata monografia su Carlo Mattioli, che vale anche, come recita il sottotitolo, da «catalogo generale dei dipinti» dell’artista emiliano, abbiamo sulla scrivania, quasi come una reliquia, la prima annata di “Paragone Arte”, anno 1950. L’inconfondibile copertina della rivista fondata da Roberto Longhi, arancione, con i caratteri della testatina risparmiati sul bianco, era stata disegnata proprio da Mattioli, che aveva impostato anche la grafica interna: sobria, leggibilissima e attuale a distanza di oltre sessant’anni. L’amichevole frequentazione di Mattioli con Longhi è testimoniata da diversi ritratti, come la tela della Fondazione Longhi, dove il volto del celebre critico, il cui corpo è appena accennato in poltrona, emerge, quasi caricaturale, da un fondo sui toni del giallo e del cromo. Amico di artisti e poeti (Guttuso, Carrà, Macrì, Bertolucci, Luzi e molti altri), Mattioli li ha spesso ritratti, ma - qui si domanda Vallora - «li faceva per sé, per il mondo, per una sorta di smania di guerreggiare con i colleghi rivali? C’è come una violenza ctonia, che non è caricaturale, satirica, nel volerli sgraffignare, ferire, insultare di materia e di fasto nero». Mattioli, nato a Modena nel 1911, è sempre vissuto a Parma, dov’è scomparso nel 1994.
La sua intensa carriera di disegnatore e pittore di ritratti, di materici, corposi peasaggi, di lunari, elegiaci notturni, di nature morte e nudi in bilico fra astrazione e figurazione, è proceduta nel corso del Novecento come in sordina: silenziosa come lui, schiva, nonostante i riconoscimenti, nella dimora di Parma, ora studio-museo, che Garboli ricordava: «Mi sembra di camminare sotto lune bluastre o infuocate, verso una fine e un principio; verso la solitudine e il silenzio e di rifare la strada di tutto “il visibile” fino alle origini della pittura, dove l’intelligenza è messa a tacere e la penetrazione non è più necessaria». Impeccabile la grafica del libro, del bodoniano, oggi anche labirintico e sempre inconfondibile Franco Maria Ricci.

Testi di Vittorio Sgarbi, Marco Vallora, Marzio Dall’Acqua Franco Maria Ricci, Parma 2016 232 pp., 127 ill. colore € 70

GIOVANNI DAL PONTE

È bello accostarsi ai pittori meno noti, spesso dimenticati per secoli, tenendo conto, come insegnava Zeri, che grazie a loro si vengono a conoscere gli aspetti più “sommersi” della storia passata. Giovanni di Marco, nato nel 1385, detto da Ponte perché vissuto a due passi dal Ponte Vecchio a Firenze, «dipintore » almeno dal 1411, è uno di questi. Il catalogo della mostra alla Galleria dell’Accademia (fino al 12 marzo) ricostruisce il regesto di decine di dipinti, propone morfologia e parti mancanti di polittici smembrati, anche con documenti inediti. Tralasciando qui la microfilologia affrontata da Tartuferi e Sbaraglio, che non concordano sull’eventuale precoce comprensione di Masaccio da parte del più anziano artista, rimarchiamo per gli appassionati non specialisti la brillante inventiva di Giovanni, che aggiunge un importante tassello alla pittura fra Tardogotico e Umanesimo in una Firenze fervida di botteghe e nuove idee.


a cura di Lorenzo Sbaraglio, Angelo Tartuferi Giunti, Firenze 2016 256 pp.,179 ill. b.n. e colore € 42

ARTISTI RIVALI

Smee, critico d’arte australiano, in Italia non è molto noto. Un unico suo libro (Lucian Freud, 2007), è stato pubblicato in Italia da Taschen un paio d’anni fa, mentre Side by side (2002), pressoché introvabile nell’originale, attende ancora l’edizione italiana. Dunque abbiamo letto Artisti rivali senza sapere gran che sull’autore (a volte è un vantaggio), salvo che nel 2011 Smee ha vinto il Pulitzer della critica per uno stile «vivace ed esuberante». Se esistesse un tal premio anche da noi, Smee dovrebbe vincerlo, perché il libro “prende” dalle prime pagine in modo incisivo e sorprendente, anche chi non predilige l’aneddotica biografia d’artista. Gli aneddoti qui ci sono, e infiniti, ma nessuno fine a se stesso, ritessuti come sono in una formidabile rete d’osservazioni spesso ignorate dagli studiosi più tradizionali. Smee si concentra su otto pilastri dell’arte del XIX e XX secolo, seguendo l’incontro/scontro in rapporti complessi fatti di ammirazioni, intimità, invidie, tormenti, a volte ridicoli e di basso profilo umano. Indagando su Freud/Bacon, Manet/Degas, Matisse/Picasso, Pollock/de Kooning, Smee fornisce non solo attendibili biografie ma descrive opere, vicende collezionistiche e molto altro inquadrandoli in un contesto che non è solo indagine sociale. A volte si perde piacevolmente il filo, tant’è complessa la trama delle relazioni, e si torna indietro, ritrovando rimandi inediti o sfuggiti alla prima lettura. Ancora questo non basta a descrivere l’intelligenza del libro narrato, fra le altre cose, con ritmo incalzante. Prendiamo il caso dell’amicizia fra Freud e Bacon, sulla quale l’autore è particolarmente documentato: si parte da un piccolo ritratto giovanile (già alla Tate) che Freud aveva fatto a Bacon e che scomparve a una mostra a Berlino nel 1988 (mai più trovato), e si giunge infine a un’apparente “non spiegazione” sulla rottura inconciliabile fra i due: lo scandaloso furto del ritratto dell’artista che tanto ammirava, per Freud simboleggiò un’opera e un’amicizia che «gli erano sfuggite dalle dita». Ma c’è di più, come si capisce leggendo con attenzione.

Sebastian Smee Utet, Novara 2016 352 pp., 14 ill. colore € 20 (ebook compreso nel prezzo)

LA DONAZIONE DIMENTICATA

Ugo Contini Bonacossi era un signore riservato e gentile: si è occupato per tutta la vita della sua tenuta toscana e del suo ottimo vino ma quando ha sentito mancare le forze, nel giugno 2012, ha chiamato l’amico avvocato Sandro Pazzi, chiedendogli di scrivere per lui la vera, «incredibile vicenda» della collezione Contini Bonacossi: vicenda che tanta amarezza, per decenni, ha dato a lui - nipote di Alessandro e Vittoria, artefici di un’eccezionale raccolta d’arte considerata fra le più prestigiose collezioni private del mondo - e agli altri membri della famiglia, coinvolti in un ingiusto scandalo che richiedeva ancora definitiva chiarezza. Sarebbe felice di leggere questo libro documentato e finalmente veritiero, arricchito da due intensi ricordi del suo primogenito Giovanni Contini Bonacossi, e di Dominique Papi, anch’essa bisnipote dei benemeriti ai quali è intitolata la collezione donata allo Stato (e non acquisita, come spesso ancora erroneamente si dice). La collezione Contini Bonacossi fa oggi parte degli Uffizi ma è di rado visitabile: eppure comprende capolavori assoluti di artisti come Sassetta, Andrea del Castagno, Veronese, Bernini, che i coniugi Alessandro e Vittoria avevano raccolto con acquisti mirati, soprattutto all’estero, grazie anche a consulenti come Roberto Longhi. Con i loro pezzi allestirono anche esposizioni di rilievo, come quella del 1930 a Roma sui pittori spagnoli. Per loro volere nel 1968 gli eredi donarono allo Stato parte della collezione (centoquarantaquattro pezzi di valore immenso), che nel 1974 per qualche tempo fu esposta alla Meridiana di palazzo Pitti, dove ricordiamo di averla vista la prima volta. Gli eredi, tuttavia, in difficoltà finanziarie, dovettero vendere, com’era peraltro del tutto legittimo, altre opere non comprese nel lascito. Ne scaturì uno scandalo, incrementato dalle calunnie dell’orribile (umanamente parlando) Elsa De Giorgi, ex moglie di Sandrino Bonacossi, padre di Ugo. La collezione è di per sé un museo che farebbe felici molte città italiane, ma a Firenze ancora si fatica a valorizzarla.


Sandro Pazzi Electa Storie, 2016 240 pp., 31 ill. b.n, 36 tavv. colore € 22,90; anche in ebook

ART E DOSSIER N. 340
ART E DOSSIER N. 340
FEBBRAIO 2017
In questo numero: VISIONI ALTERNATIVE Gli zingari nell'arte. Dentro l'opera: leggere l'arte contemporanea. Beard: animali in scena. Il design di Enzo Mari. La fotografia di Mario Cresci. IN MOSTRA Caravaggio e natura morta a Roma, Art Deco a Forlì, Avanguardie russe a Londra, Manzù e Fontana a Roma.Direttore: Philippe Daverio