Grandi mostre. 4
Natura morta: da Caravaggio al Maestro di Hartford a Roma

L’AFFAIRESTILL LIFE

L’esposizione, ospitata nelle sale della Galleria Borghese, è anche l’occasione per dissipare alcuni dubbi sull’attribuzione di opere appartenenti al genere della natura morta, per fare chiarezza sulla sua origine e distinguere la mano del Maestro di Hartford da quella di Caravaggio, forse il vero “creatore” del genere nel nostro paese.

Anna de Fazio Siciliano

Sono gli anni Novanta del XVI secolo e Caravaggio è appena giunto a Roma. La data, 1592 o 1596, è ancora in discussione ma è certo che con il suo arrivo inizia a configurarsi quel vasto panorama pittorico in cui la natura morta sarà sempre più protagonista. Contemporaneamente allo sviluppo dello “still life”, poiché le tele di questo nuovo genere pittorico non erano sempre firmate e la committenza era soprattutto privata, le pagine dell’arte secentesca si sono affollate di equivoci e di date, di documenti falsi accanto a una sovrabbondanza di nomi fittizi buoni soprattutto a confondere e a far disquisire quando non contraddire gli storici dell’arte. Un vero e proprio “affaire”, un caso-studio che fa ancora dibattere e che fino al 19 febbraio si riapre nello “scrigno dorato” della Galleria Borghese. 

La mostra L’origine della natura morta in Italia. Caravaggio e il Maestro di Hartford, curata dalla direttrice Anna Coliva e Davide Dotti, prova a farne il punto chiudendo i conti con alcune ipotesi attributive che adesso sembrano del tutto infondate, ma riaprendo contemporaneamente altre e ancora più interessanti questioni. Se non c’è la mano di Caravaggio, come voleva Federico Zeri, chi c’è dietro il nome del Maestro di Hartford? Dove nasce la natura morta?


Caravaggio, Bacchino malato (1592-1593), Roma, Galleria Borghese.

La composizione per mezzo di un disegno tipica del Maestro di Hartford si discosta dalla presa dal vero della realtà tanto cara al Merisi


La mostra parte da questi due assunti e mette la parola fine (almeno per il momento) a qualche errata attribuzione di paternità. Le tele del cosiddetto Maestro di Hartford non sono opera del Merisi. Le prove? Fonti letterarie e documenti ma anche la diagnostica intervenuta proprio in occasione della mostra. Le analisi radiografiche sui “pendant” del Maestro di Hartford della Galleria Borghese (Vaso di fiori, frutta e ortaggi, 1605-1606 circa e Cacciagione da penna e civetta, 1605-1606) hanno svelato la presenza di numerosi pentimenti evidenziando un modo di impostare la composizione per mezzo di un disegno tracciato direttamente sull’imprimitura. Una tecnica, questa, che si discosta dalla presa dal vero della realtà tanto cara al Merisi, nei cui dipinti le sole parvenze di disegno sono alcuni segni tracciati con lo stecco del pennello sulle linee principali delle figure. 

La città di Roma è fondamentale per lo sviluppo e l’origine della natura morta. La variante romana si basa in genere su precedenti tipologie nordeuropee e lombarde, ma a Roma la natura morta si distingue immediatamente perché imponendo l’oggetto tramite la sintesi concettuale operata dalla luce, si tiene a distanza dalla propensione decorativa e va ben oltre la lenticolare precisione del particolare che connota la pittura nordica e fiamminga. L’eccezionalità della mostra è data anche dal luogo dove essa si svolge: la possibilità di un confronto ravvicinato tra i capolavori di Caravaggio (il Bacchino malato e il Ragazzo con canestra di frutta), il raro prestito della Canestra (la fiscella) dell’Ambrosiana con opere di altri artisti romani o lombardi e fiamminghi rende questa esposizione un’occasione unica per rispolverare le carte e per comparare decine e decine di opere “de visu” nonché per riaccendere i riflettori sulle vicende collezionistiche, i sequestri, le interpretazioni attributive più o meno plausibili, oltreché per effettuare qualche necessario restauro. I quadri, provenienti da musei italiani e stranieri e da numerose collezioni private, mettono in campo una varietà di stili raramente visibile in quel periodo.


Di Caravaggio: Ragazzo con canestra di frutta (1593-1594), Galleria Borghese.


Di Caravaggio: Canestra di frutta (1598-1599), Milano, Pinacoteca ambrosiana;

I confronti proposti in mostra servono così non solo a sancire definitivamente l’estraneità della mano del genio lombardo rispetto a quella del Maestro di Hartford ma anche a ribadire quanto il proliferare della natura morta nel Seicento fosse un indizio di qualcosa d’altro: il germe di una crisi che in ambito artistico e culturale stava per investire il contesto religioso e la concezione antropocentrica del mondo fino allora vigenti. 

Oltre a Roma, però, c’era Milano, soprattutto per la generazione precedente. E a Milano e dintorni, tra la fine del XV secolo e l’inizio del secolo seguente, accorrevano pittori come Vincenzo Campi, Giuseppe Arcimboldo, Fede Galizia e Giovanni Battista Ambrogio Figino; tutti, soprattutto l’ultimo, precursori del genere (Piatto metallico con pesche e foglie di vite è del 1590-1594, data che ha fatto mettere in dubbio il primato della Canestra ambrosiana del 1598-1599). Ma se la data di origine della natura morta oscilla ancora e se in fondo il primo vero specialista di nature morte è il Maestro di Hartford, è chiaro che Figino dovrebbe essere considerato il vero iniziatore del genere benché ne sia pervenuta una sola natura morta certa (il citato Piatto metallico). Lo conferma il costante inserimento di brani di fiori, frutti, strumenti musicali nelle sue composizioni e quell’attenzione alla rappresentazione della realtà che costituisce il suo lascito principale alla pittura. Ma perché Caravaggio potesse divenire il pioniere e “inventare” la natura morta (“rubando” qua e là), occorre rammentare non solo che in terra lombarda alla vivace sensibilità per il mondo naturalistico si era unita la minuziosa attenzione botanica del genio leonardesco, e che nella bottega romana del Cavalier d’Arpino (altro luogo di formazione per Caravaggio) si dipingevano soprattutto fiori, ma anche che il Merisi, agli esordi della carriera, prima della sua affermazione come pittore di storia aveva probabilmente la necessità di ricorrere ai quadri di natura morta per farsi conoscere.


Maestro di Hartford e Carlo Saraceni, Allegoria della primavera (1607 circa).


Maestro di Hartford, Vaso di fiori, alzatina con fichi, cesta con uva e frutta su tavolo (1605 circa).

Un confronto ravvicinato tra i capolavori di Caravaggio con opere di altri artisti romani o lombardi e fiamminghi


Con un notevole apparato iconografico l’esposizione evidenzia come con la benedizione di Caravaggio, nel giro di pochi anni, il genere della natura morta sia cambiato e abbia iniziato a presentare molteplici varianti stilistiche. 

Nella Fruttivendola di Vincenzo Campi, per esempio, si mantiene la presenza della figura umana, cosa ormai del tutto assente in Arcimboldo: il suo Ortolano è un quadro “reversibile”, leggibile ironicamente anche a testa in giù, e in cui la natura morta è resa in modo antropomorfico. 

Presenti in mostra anche i brani naturalistici di Agostino Verrocchi, la cui pittura ha una condotta luministica di chiara ascendenza caravaggesca, così come le nature morte del cosiddetto Pensionante del Saraceni, spesso accompagnate da un volo di piccole farfalle, o da caraffe di vetro trasparenti ricolme di fiori. L’anonimo Maestro del vasetto nei suoi delicati fiori dentro un vasetto di onice dimostra di conoscere la Canestra e il Ragazzo morso dal ramarro di Caravaggio per l’estetica elegante raggiunta pur senza alcuna attenzione alla coerenza stagionale dei frutti e fiori. Ciò a differenza di come operava Caravaggio, precisa il giovane curatore Davide Dotti: «Nella Canestra ambrosiana e negli altri dipinti dove sono presenti brani di natura morta, gli studi botanici hanno evidenziato una perfetta coerenza stagionale. Caravaggio, quindi, come riportano le fonti antiche, dipinge dal vero fiori e frutta, a differenza della grande maggioranza dei maestri caravaggeschi di “still life” che invece ricorrono a modelli o taccuini di disegni conservati in bottega». 

Alla svolta del secolo, quindi, Caravaggio non solo confermava il primato della pittura, indicato già da Leonardo come strumento di esplorazione e conoscenza della natura, ma decretava in un certo senso l’inizio del genere pittorico. 

L’esposizione affronta dunque un problema articolato, e si cimenta in una delle più spinose questioni storico-artistiche. Tutte le ricerche in questo campo trovano difficoltà tangibili perché non esiste natura morta a Roma del primo trentennio del Seicento che non sia stata oggetto delle più disparate variazioni attributive. A fronte di tante incertezze i tentativi per gli storici dell’arte di definire una volta per tutte la paternità di un quadro espongono al rischio di venire presto contraddetti. Il “namepiece” Maestro di Hartford per esempio sembrava funzionare finora unicamente come nome di comodo all’interno del quale parcheggiare opere prive di attribuzioni certe. L’attuale messa a confronto di opere e date, di nomi e attribuzioni ha permesso invece di restituire a questo celebre anonimo il giusto valore. E se da una parte ha aperto nuove questioni critiche (la Fiasca di Forlì e quella di collezione romana), ha introdotto, in definitiva, significativi elementi storici, funzionali per una lettura finalmente più agevole di questa pagina complessa della storia dell’arte.


Vincenzo Campi, La fruttivendola (1570-1580 circa) Milano, Pinacoteca di Brera.


Maestro della fiasca di Forlì, Fiasca spagliata con fiori (1630 circa), Forlì, Pinacoteca civica;


Pittore caravaggesco, Canestra di frutta (1620-1625).

L’origine della natura morta in Italia.

Caravaggio e il Maestro di Hartford
a cura di Anna Coliva e Davide Dotti
Roma, Galleria Borghese
fino al 19 febbraio
orario 9-19, chiuso lunedì
www.galleriaborghese.it
catalogo Skira

ART E DOSSIER N. 340
ART E DOSSIER N. 340
FEBBRAIO 2017
In questo numero: VISIONI ALTERNATIVE Gli zingari nell'arte. Dentro l'opera: leggere l'arte contemporanea. Beard: animali in scena. Il design di Enzo Mari. La fotografia di Mario Cresci. IN MOSTRA Caravaggio e natura morta a Roma, Art Deco a Forlì, Avanguardie russe a Londra, Manzù e Fontana a Roma.Direttore: Philippe Daverio