Grandi mostre. 2
Le avanguardie russe dal 1917 al 1932 a Londra

IL PIANETAROSSO

A cento anni dalla Rivoluzione di ottobre, la Royal Academy celebra gli artisti più innovativi che, in concomitanza con l’affermazione del potere bolscevico, hanno rappresentato un punto di rottura con le convenzioni dell’impero zarista. Ce ne parla qui il co-curatore dell’esposizione.

John Milner

La Grande guerra aveva dato agli artisti russi la possibilità di andare oltre la libera espressione della propria personalità per rivolgersi invece alle masse. 

Adesso parlavano più forte e con maggior orgoglio. Malevič, fra i tanti, disegnò un manifesto popolare di propaganda con una contadina che infilza col forcone un soldato tedesco, e il poeta-pittore Majakovskij aveva mostrato le truppe russe entrare a Berlino mentre i tedeschi attaccavano Parigi. In Immagini mistiche della guerra (1916), una più sofisticata raccolta di litografie della Gončarova, gli angeli combattevano gli aerei militari tedeschi. Erano proprio sicuri che la Russia avrebbe vinto? Ci fu invece l’armistizio, una dinastia ebbe fine e seguì la rivoluzione. Quando i bolscevichi andarono al potere, nell’ottobre del 1917, il nuovo regime non assunse alcuna responsabilità per non aver vinto la guerra. Con aria di sfida sostenne piuttosto la vittoria politica e l’enorme passo avanti, abbracciando la retorica della chiamata alla rivoluzione di Marx: «Lavoratori di tutto il mondo unitevi! Non avete niente da perdere se non le catene».


Boris Michajlovič Kustodiev, Bolscevico (1920), Mosca, Galleria di stato Tret’jakov.

Ogni gruppo o tendenza entrò in competizione per conquistare l’unico sponsor collettivo: lo Stato


La caduta del vecchio regime fu l’alba della società comunista e della dittatura del proletariato. Fra 1917 e 1918 tutto sembrava possibile: la rivoluzione avrebbe potuto estendersi all’intero pianeta Terra, perfino su Marte, il pianeta rosso, e da lì espandersi nell’universo. Quindici anni più tardi, nel 1932, s’inaugurò a Leningrado un’immensa mostra celebrativa sull’arte russa della Rivoluzione, con artisti d’ogni genere e convinzione. L’idea era quella di creare una cultura collettiva nella produzione, politica nel messaggio, pubblica nella distribuzione. Ogni gruppo o tendenza entrò in competizione per conquistare l’unico sponsor collettivo: lo Stato. Gli artisti delle avanguardie russe (i cosiddetti artisti di sinistra) - Majakovskij, Tatlin, Malevič, Rodčenko, Popova, Exter - risposero con tempismo, ma in questo contesto pluralista e nel mercato interno c’era concorrenza accanita tra individui e gruppi. L’opera del pittore accademico Isaak Brodskij, per esempio, rimase in voga nel corso di tutti i mutamenti radicali della rivoluzione. Brodskij rispondeva bene alle esigenze dello Stato, e la sua carriera prosperò. Nei ritratti di Lenin a Smolny o di Stalin, oppure nella figura eroica di un lavoratore, Brodskij garantiva una somiglianza impressionante e poteva comunicare un messaggio altamente drammatico, come richiesto dalla propaganda. Un artista esperto come lui poteva sempre trovare il modo di fare arte collettiva, politica e pubblica, tramite mostre e manifesti per i dirigenti sovietici. Un pittore figurativo di formazione accademica poteva dunque soddisfare i requisiti rivoluzionari in modo altrettanto efficace e almeno altrettanto rapido di quanto lo fossero gli artisti di sinistra. Il governo bolscevico aveva bisogno d’immagini riconoscibili dei suoi eroi e leader per consolidare il mito sul quale era stato costruito lo stato sovietico. Molti pittori figurativi impegnati politicamente si trovarono a dipingere opere in cui i cittadini potevano riconoscersi come rivoluzionari, lavoratori eroici, minatori, costruttori, atleti o pionieri. Tuttavia, furono i membri delle avanguardie russe ad affrettarsi ad abbracciare la rivoluzione. Con instancabile inventiva produssero esperimenti visivi grazie a nuovi, dinamici linguaggi che erodevano le convenzioni dell’arte imperiale. Tatlin, Rodčenko, Brodskij, Ejzenštejn, Deineka, si riconoscevano tutti nella medesima ideologia. Il governo bolscevico aveva invitato pittori, scultori, grafici, poeti, critici e teorici, drammaturghi, fotografi e cineasti a impegnarsi con le masse nelle strade, e quando ogni campo della creatività fu intriso d’un significato pubblico, la pittura diventò solo un mezzo fra i tanti. La potenza visiva della grafica e del materiale documentario divennero fondamentali.


Isaak Brodskij, Ritratto di Lenin e manifestazione (1919), Mosca, Museo statale di storia.


Aleksander Deineka, Lavoratori tessili (1927), San Pietroburgo, Museo di stato russo.


Marc Chagall, La passeggiata (1917-1918); San Pietroburgo, Museo di stato russo.

Va inoltre considerato che le prestigiose collezioni imperiali e le raccolte di collezionisti come Ivan Morozov e Sergej Ščukin erano state nazionalizzate in modo che in linea di principio tutta la gente avrebbe potuto possederle, anche se mai individualmente. Alle iniziative delle gallerie private subentrarono così le mostre di Stato. 

Proliferavano striscioni e manifesti per le strade, appesi ai palazzi. In mancanza di gallerie e mecenati, i gruppi creativi entrarono in competizione per farsi conoscere e ottenere fondi. Gli artisti di sinistra si trovarono a combattere con i pittori convenzionali ma anche fra loro. Malevič fu denunciato dai costruttivisti, che rinunciavano alla pittura a favore del design utilitaristico e produttivo per il quotidiano, secondo i principi comunisti. Tra 1921 e 1923 si erano tenuti dibattiti a non finire all’Istituto di cultura artistica di Mosca (Inchuk) al fine di dar corpo, o semplicemente trovare il modo, di rappresentare la cultura visiva comunista. Ci fu chi, come Aleksej Gan, in stretto contatto col lavoro di Rodčenko e il Fronte di Sinistra delle Arti (Lef), si fece vanto di una posizione estrema, proclamando nel 1922 «Morte all’arte!» nel suo libro sul costruttivismo, con slogan stampati in neretto e sottolineati. Gan si schierò col gruppo di lavoratori costruttivisti che per primi a Mosca avevano dichiarato guerra incondizionata all’arte e adottò l’espressione comunista «costruzione materiale». Per questi costruttivisti, l’arte figurativa e il suo opposto erano ugualmente inutili, perché «l’arte è indissolubilmente legata a teologia, metafisica e misticismo» (frase che fu pubblicata in grassetto) e va trasformata in lavoro «indispensabile al proletariato».

Secoli di cultura autentica e individuale dovettero confrontarsi con la «prima cultura del lavoro e della mente organizzata della Rivoluzione». Il concetto di «arte come attività speculativa» doveva trasformarsi in quello di «arte socialmente congegnata al lavoro creativo». C’erano anche gruppi antagonisti, come il Nuovo costruttivismo di El Lisickij, o il suprematismo di Malevič. Alcuni artisti avevano avuto successo anche in Europa. Kandinskij, che era tornato in Russia nel 1914 portando con sé i suoi più importanti dipinti ed era diventato direttore dell’istituto di cultura artistica di Mosca, prima della guerra era stimatissimo in Germania. Anche Chagall aveva avuto successo a Parigi e a Berlino prima della Rivoluzione bolscevica, e nella città natale di Vitebsk dov’era tornato fu nominato Commissario delle arti. Poi ambedue lasciarono di nuovo la Russia, senza aver abbracciato pubblicamente la politica bolscevica. Tuttavia il loro contributo alla cultura sovietica va oggi riconosciuto nella sua giusta portata, com’è giusto indagare i contatti tra cultura occidentale e bolscevica, e la revisione culturale dei tempi di Stalin.


Kuzma Petrov-Vodkin, Fantasia (1925), San Pietroburgo, Museo di stato russo.

Kazimir Malevič, Contadini (1930), San Pietroburgo, Museo di stato russo.

Vasilij Kandinskij, Vetta blu (1917), San Pietroburgo, Museo di stato russo.


El Lisickij, Il costruttore (autoritratto) (1924).

IN MOSTRA
A un secolo di distanza dalla Rivoluzione russa, la mostra londinese Revolution: Russian Art 1917-1932 (Royal Academy, dall’11 febbraio al 17 aprile, www.royalacademy.org.uk) e il relativo catalogo a cura di Ann Dumas, John Milner e Natalia Murray indagano, attraverso la lente della sua arte più innovativa, sull’eccezionale creatività fiorita nel corso di quindici anni straordinari e disperati. I curatori hanno preso come punto di partenza critico la grande mostra di Leningrado precedente alla stretta stalinista. La mostra russa del 1932 non aveva però dato priorità agli artisti che avevano prontamente abbracciato la Rivoluzione, ora ritenuti esponenti fondamentali delle avanguardie. Nel 1932 si evidenziò piuttosto un equilibrio precario, con l’avanguardia, dominante all’inizio della nuova epoca, ancora attiva benché ormai in crisi. Erano invece presenti gli artisti tradizionali, che pure negli anni si erano trasformati. Questa sorta di altalena ha richiesto oggi una profonda revisione: fotografie, fotomontaggi e filmati illuminano e ampliano quell’immaginario figurativo che all’epoca permise lo sviluppo delle avanguardie al pari del realismo socialista. In mostra per la prima volta l’intero panorama artistico della Russia post-rivoluzionaria: dalle composizioni di Kandinskij, audacemente innovative, alle astrazioni dinamiche di Malevicˇ e dei suprematisti fino all’emergente realismo socialista, che avrebbe poi definito l’arte comunista come unico stile accettato dal regime. Oltre a dipinti, disegni, manifesti sorti nell’epoca d’oro della grafica di propaganda, anche sculture e film di pionieri come Eizenštejn, e inoltre ricreazioni in scala reale di appartamenti progettati per la vita in comune, con oggetti di uso quotidiano (tessere annonarie, tessuti, porcellane), a testimoniare le aspirazioni idealistiche ma anche la dura realtà della Rivoluzione e le sue peggiori conseguenze. 

Gloria Fossi

Questo testo è un estratto-sintesi dell’introduzione di John Milner, professore di Storia dell’arte russa al Courtauld Institute of Art di Londra, tradotto da Gloria Fossi e pubblicato nel catalogo della mostra Revolution. Russian Art 1917-1932 (Londra, Royal Academy, 11 febbraio - 17 aprile), a cura di A. Dumas, J. Milner e N. Murray.

ART E DOSSIER N. 340
ART E DOSSIER N. 340
FEBBRAIO 2017
In questo numero: VISIONI ALTERNATIVE Gli zingari nell'arte. Dentro l'opera: leggere l'arte contemporanea. Beard: animali in scena. Il design di Enzo Mari. La fotografia di Mario Cresci. IN MOSTRA Caravaggio e natura morta a Roma, Art Deco a Forlì, Avanguardie russe a Londra, Manzù e Fontana a Roma.Direttore: Philippe Daverio