Grandi mostre. 1
Il sacro in Manzù e Fontana a Roma e Ardea

DIALOGHISULLA SPIRITUALITÀ

In seguito alle drammatiche vicende della seconda guerra mondiale il tema del sacro richiede nuovi spunti di riflessione.
Intrepreti originali di questa indagine Manzù e Fontana, portatori di stilemi espressivi totalmente diversi l’uno dall’altro.
Ce ne parla qui la co-curatrice della mostra in corso al Museo nazionale di Castel Sant’Angelo e al Museo Giacomo Manzù.

Barbara Cinelli

Manzù e la scultura sacra: il tema originario della mostra, scaturito dalla contingenza del Giubileo della Misericordia, rischiava di ripercorrere, ancora una volta, le vicende molto note del rapporto tra l’artista e papa Roncalli, nato in seguito alla commissione per il ritratto del pontefice nel 1961 e proseguito fino alla morte di Manzù, consegnato così alla storia del Novecento come lo scultore di Giovanni XXIII. 

Il titolo scelto Manzù. Dialoghi sulla spiritualità con Lucio Fontana riflette invece il progetto di sottrarre lo scultore a quell’isolamento, pur splendido ma astorico, che lo indicava come interprete di emozioni senza tempo: «Costruito in una famiglia bergamasca di tradizione cristiana», così lo definiva monsignor Loris Capovilla, «carico di esperienza religiosa, s’è accostato ai suoi simili, viandanti come lui, e li ha indotti a riflettere sui temi dell’Amore, della Pace e della Morte». Proprio quella spiritualità senza tempo che la critica ha sempre invocato per Manzù come sorgente di creazione originale viene ora ricondotta in una dimensione storica, riconoscendo nella tragedia della seconda guerra mondiale una frattura che impone riflessioni nuove: agli artisti, ai committenti, e soprattutto alla chiesa.


Giacomo Manzù, Il cardinale (1937-1938), Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea.

Le formelle con le Crocifissioni e le Deposizioni giudicate scandalose a Milano nel 1941 per l’insolita iconografia


E nel dialogo con una nuova spiritualità lo scultore di Bergamo è accostato a Lucio Fontana, in un confronto che può sorprendere ma che trova conforto nella storia. Nella Milano degli anni Trenta i due artisti avevano davvero condiviso esperienze alternative alla retorica dell’arte ufficiale, e le pagine di “Corrente”, palestra dei giovani che rivendicavano una nuova umanità per l’arte contemporanea, avevano ospitato a partire dal 1938 i disegni di Manzù accanto alle ceramiche di Fontana. L’eco di quelle comuni intenzioni risuona nelle parole di quest’ultimo, quando nel 1949 scriverà a Pablo Edelstein a proposito del rapporto che il pubblico di Buenos Aires aveva creduto di vedere tra le sue opere e quelle di Manzù, esposte allora nella capitale argentina: «Stimo molto il mio amico Manzù e non ci sarebbe alcun male data la qualità dell’artista, però credo che i miei amici abbiano equivocato, per lo meno in Italia, nessun critico e nessun quotidiano ha fatto alcun paragone tra la mia scultura e quella di Manzù». Quel 1949 segnava per ambedue gli artisti una tappa significativa nel confronto con l’arte sacra, che nell’immediato dopoguerra riassume da versanti opposti l’esigenza di rinnovamento spirituale con il quale si intendeva esorcizzare il dramma appena vissuto: Manzù sta lavorando al secondo concorso per le porte di San Pietro, Fontana accetterà l’anno successivo l’invito a concorrere per le porte del duomo di Milano.

Giacomo Manzù, Crocifissione con soldato (1948), Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea.


Giacomo Manzù, Deposizione (1940-1945), Ardea (Roma), Museo Giacomo Manzù.

L’intento della mostra è dunque quello di isolare, attraverso un gruppo compatto di poche opere attentamente selezionate un problema specifico: il rapporto tra la libertà espressiva e il tema del sacro, nel quale il ruolo della committenza e del collezionismo si dimostra significativo, e delinea, per i due artisti, vicende ed esiti con analogie e differenze. Ambedue sperimentarono l’impossibilità di forzare le ragioni della liturgia all’interno di una committenza religiosa, ma mentre Fontana abbandonò l’impresa della porta milanese, che pure aveva inteso come un’occasione di impegno civile e contemporaneo, Manzù dette compimento, se pur dolorosamente, all’opera che aveva desiderato come suggello di un sommo prestigio artistico per divenire invece, alla fine, estremo tributo alla umana comprensione di un pontefice. 

Di segno opposto le storie legate al collezionismo privato. La fortuna delle invenzioni di Manzù legate a una nuova spiritualità tutta umana e contemporanea è testimoniata in mostra dalle opere che provengono dalle collezioni di Riccardo Gualino e Alice Lampugnani, che si assicurarono rispettivamente le formelle con le Crocifissioni e le Deposizioni giudicate scandalose a Milano nel 1941 per l’insolita iconografia, e i due gruppi con La chiesa, e con la Deposizione, opere esemplari del linguaggio meno concitato dell’immediato dopoguerra. Per Fontana alcune formelle di ceramica con crocifissioni e deposizioni, e i crocifissi da parete o da tavola documentano l’apprezzamento dei collezionisti per una rappresentazione del sacro nella quale la versatilità dello scultore dispiegava la propria immaginosa modellazione. 

Proprio in Fontana è stata quindi individuata la personalità più appropriata per scardinare una visione autoreferenziale di Manzù, anche se nel rispetto delle loro diversità linguistiche l’esposizione è stata pensata come un dittico e non come un palinsesto: un inedito dialogo tra due artisti considerati agli antipodi del lessico della scultura che pure condividono, in un medesimo crinale storico, il confronto con l’iconografia del sacro, derivandone soluzioni espressive di completa autonomia. Dunque Manzù e Fontana trovano ciascuno una propria sede, e la necessità di corrispondere alla richiesta del Polo museale del Lazio, promotore della mostra, per una valorizzazione del Museo Manzù di Ardea (Roma), si è opportunamente trasformata in una inedita possibilità espositiva. Il dialogo tra due artisti è divenuto il dialogo, reale e simbolico a un tempo, tra due luoghi differenti: il museo di Ardea, la cittadina in provincia di Roma nella quale Manzù aveva deciso di vivere, da lui voluto nel 1969 e donato allo Stato italiano, viene “occupato” da Fontana, che in una tradizione corrente molti gli contrappongono come emblema della modernità; Castel Sant’Angelo, la fortezza dei papi viene “occupata” da Manzù che nel 1941 era stato accusato di eresia dai cattolici più integralisti, e nel salone di Apollo, contro gli affreschi cinquecenteschi, stanno ora, isolati e solenni, i suoi cardinali: forme poderose e semplificate ma al contempo capaci di trattenere la luce attraverso un modellato che anima le superfici, a testimoniare la complessità del suo linguaggio plastico, ben lontano dagli stereotipi di una lettura “confessionale”.


Lucio Fontana, Frate (Frate che scrive) (1952), [fusione 1971-1972], Milano, Veneranda Fabbrica del Duomo.

Lucio Fontana, Resurrezione (1955 circa).


Lucio Fontana, Crocifisso (1947-1948).

Manzù. Dialoghi sulla spiritualità, con Lucio Fontana

a cura di Barbara Cinelli e Davide Colombo
Roma, Museo nazionale di Castel Sant’Angelo
Ardea (Roma), Museo Giacomo Manzù
fino al 5 marzo
orario 9-19.30 in entrambe le sedi
www.polomusealelazio.it; www.gebart.it
catalogo Electa

ART E DOSSIER N. 340
ART E DOSSIER N. 340
FEBBRAIO 2017
In questo numero: VISIONI ALTERNATIVE Gli zingari nell'arte. Dentro l'opera: leggere l'arte contemporanea. Beard: animali in scena. Il design di Enzo Mari. La fotografia di Mario Cresci. IN MOSTRA Caravaggio e natura morta a Roma, Art Deco a Forlì, Avanguardie russe a Londra, Manzù e Fontana a Roma.Direttore: Philippe Daverio