L’intento della mostra è dunque quello di isolare, attraverso un gruppo compatto di poche opere attentamente selezionate un problema specifico: il rapporto tra la libertà espressiva e il tema del sacro, nel quale il ruolo della committenza e del collezionismo si dimostra significativo, e delinea, per i due artisti, vicende ed esiti con analogie e differenze. Ambedue sperimentarono l’impossibilità di forzare le ragioni della liturgia all’interno di una committenza religiosa, ma mentre Fontana abbandonò l’impresa della porta milanese, che pure aveva inteso come un’occasione di impegno civile e contemporaneo, Manzù dette compimento, se pur dolorosamente, all’opera che aveva desiderato come suggello di un sommo prestigio artistico per divenire invece, alla fine, estremo tributo alla umana comprensione di un pontefice.
Di segno opposto le storie legate al collezionismo privato. La fortuna delle invenzioni di Manzù legate a una nuova spiritualità tutta umana e contemporanea è testimoniata in mostra dalle opere che provengono dalle collezioni di Riccardo Gualino e Alice Lampugnani, che si assicurarono rispettivamente le formelle con le Crocifissioni e le Deposizioni giudicate scandalose a Milano nel 1941 per l’insolita iconografia, e i due gruppi con La chiesa, e con la Deposizione, opere esemplari del linguaggio meno concitato dell’immediato dopoguerra. Per Fontana alcune formelle di ceramica con crocifissioni e deposizioni, e i crocifissi da parete o da tavola documentano l’apprezzamento dei collezionisti per una rappresentazione del sacro nella quale la versatilità dello scultore dispiegava la propria immaginosa modellazione.
Proprio in Fontana è stata quindi individuata la personalità più appropriata per scardinare una visione autoreferenziale di Manzù, anche se nel rispetto delle loro diversità linguistiche l’esposizione è stata pensata come un dittico e non come un palinsesto: un inedito dialogo tra due artisti considerati agli antipodi del lessico della scultura che pure condividono, in un medesimo crinale storico, il confronto con l’iconografia del sacro, derivandone soluzioni espressive di completa autonomia. Dunque Manzù e Fontana trovano ciascuno una propria sede, e la necessità di corrispondere alla richiesta del Polo museale del Lazio, promotore della mostra, per una valorizzazione del Museo Manzù di Ardea (Roma), si è opportunamente trasformata in una inedita possibilità espositiva. Il dialogo tra due artisti è divenuto il dialogo, reale e simbolico a un tempo, tra due luoghi differenti: il museo di Ardea, la cittadina in provincia di Roma nella quale Manzù aveva deciso di vivere, da lui voluto nel 1969 e donato allo Stato italiano, viene “occupato” da Fontana, che in una tradizione corrente molti gli contrappongono come emblema della modernità; Castel Sant’Angelo, la fortezza dei papi viene “occupata” da Manzù che nel 1941 era stato accusato di eresia dai cattolici più integralisti, e nel salone di Apollo, contro gli affreschi cinquecenteschi, stanno ora, isolati e solenni, i suoi cardinali: forme poderose e semplificate ma al contempo capaci di trattenere la luce attraverso un modellato che anima le superfici, a testimoniare la complessità del suo linguaggio plastico, ben lontano dagli stereotipi di una lettura “confessionale”.