Arte contemporanea


l’appealdi Desert X

Cristina Baldacci

Il fascino che il deserto americano ha esercitato sugli artisti tra anni Sessanta e Settanta si è tutt’altro che spento. Non solo ci sono ancora progetti di Land Art iniziati allora che vengono pazientemente portati avanti dai loro autori - come la City di Michael Heizer in Nevada e il Roden Crater di James Turrell in Arizona - e nuove, isolate incursioni di artisti internazionali, tra cui le “sette montagne magiche” (Seven Magic Mountains, 2016) di Ugo Rondinone nel deserto che circonda Las Vegas e il finto, monolitico negozio Prada (Prada Marfa, 2005) del duo danese Elmgreen & Dragset in Texas; ma al deserto è stata di recente intitolata anche una Biennale, la cui mostra inaugurale Desert X (il titolo è un acronimo onomatopeico di Desert Exhibition of Art) si svolgerà nella californiana Coachella Valley tra febbraio e aprile. 

Promotrice dell’iniziativa è la Desert Biennial, un’organizzazione no-profit nata nel 2015, che oltre ad annoverare, tra i nomi del suo comitato direttivo, l’artista Ed Ruscha, la collezionista Beth Rudin DeWoody e Steven A. Nash, l’ex direttore del Palm Springs Art Museum - i primi sostenitori del progetto -, può contare su generose donazioni, soprattutto da parte di filantropi, collezionisti locali e alcune città della zona (Indio, Palm Desert, Palm Springs, Rancho Mirage). 

Poiché, secondo le stime iniziali, Desert X costerà circa 3 milioni di dollari, i finanziamenti privati sono il presupposto necessario sia per questa prima edizione, sia per garantire la continuità della Biennale nei prossimi anni. Ciò che ha rallentato o impedito la realizzazione di alcuni progetti storici della Land Art americana è stato proprio l’affievolirsi delle sovvenzioni da parte dei mecenati dopo la recessione economica scaturita dalla crisi petrolifera del 1973; anno che, tra l’altro, segnò anche la morte di Robert Smithson, anima e artista simbolo del movimento. 

Desert X presenterà una ventina di progetti site-specific lungo un percorso che si annuncia come un’esperienza conoscitiva sia per gli artisti, che, lavorando sul campo e studiando le caratteristiche fisiche, storiche e metaforiche del deserto, hanno dovuto fare i conti con fallimenti, ostilità, cambiamenti improvvisi, sia per i visitatori, chiamati a confrontarsi con un contesto insolito per una mostra, oltre che per natura impervio. 

Neville Wakefield, curatore della mostra insieme al direttore esecutivo, l’ex gallerista di Los Angeles Elizabeta Betinski, vede in Desert X un’opportunità per rileggere una storia, quella della Land Art, che per gli Stati Uniti è stata unica e che potrebbe ancora esserlo, soprattutto per il carattere antiistituzionale e anti-oggettuale di un’arte che prende forma al di fuori del museo. In un luogo come il deserto, dove coesistono la libertà esistenziale, nomadica, produttiva; dove il tempo è sospeso; dove lo spazio, per quanto naturale, è comunque politico (il deserto non è il luogo del “nulla” ed è pur sempre di proprietà pubblica o privata), quali sono, si è chiesto Wakefield, gli aspetti che attraggono gli artisti e quali le metodologie da loro adottate? A rispondere saranno loro stessi con le proprie opere. Per il texano Will Boone (Houston 1982), per esempio, il deserto è il luogo delle esercitazioni militari e la sua installazione richiamerà i rifugi anti bombe. Il californiano Glenn Kaino (Los Angeles 1972) è invece affascinato dalla sabbia come materiale di lavoro e dal vento come agente modellante e produrrà una scultura di sabbia. A Sherin Guirguis, che è nata in Egitto (Luxor 1974), interessa recuperare le storie legate alle comunità che vivono nel deserto e il suo sarà un intervento di tipo antropologico-sociale. Mentre Tavares Strachen (Nassau 1979), che nel 2013 ha partecipato alla Biennale di Venezia come primo artista del neonato padiglione delle Bahamas, guarderà ai limiti che un ambiente come il deserto pone alla pratica artistica e metterà in luce l’antitesi tra ciò che è possibile fare e ciò che non lo è.


Una biennale dedicata al deserto dove il tempo è sospeso e dove lo spazio, se pur naturale, è comunque politico


Il deserto della Coachella Valley in California.

ART E DOSSIER N. 340
ART E DOSSIER N. 340
FEBBRAIO 2017
In questo numero: VISIONI ALTERNATIVE Gli zingari nell'arte. Dentro l'opera: leggere l'arte contemporanea. Beard: animali in scena. Il design di Enzo Mari. La fotografia di Mario Cresci. IN MOSTRA Caravaggio e natura morta a Roma, Art Deco a Forlì, Avanguardie russe a Londra, Manzù e Fontana a Roma.Direttore: Philippe Daverio