VENEZIA:«COLORITO CON GRAN RILIEVO»

Allievo di Giorgione, collega di Tiziano, alleato di Michelangelo, rivale di Raffaello: la sorte ha riservato a Sebastiano del Piombo un ruolo centrale nei momenti decisivi del Rinascimento,

dalle novità rivoluzionarie di Giorgione per la facciata del Fondaco dei tedeschi a Venezia alla formazione dell’ideale classico di Raffaello nelle Stanze vaticane, al disvelamento epocale della volta sistina di Michelangelo a Roma. Eventi eccezionali, vissuti in prima persona e da protagonista, insieme ai grandi del suo tempo e spesso in aperta rivalità con essi. Ludovico Ariosto, nel canto XXXI dell’Orlando furioso, assegna a Sebastiano una posizione d’eccellenza, al pari di Raffaello, Tiziano e Michelangelo (vv. 13-16): «Michel, più che mortale, Angelo divino; / Bastiano, Rafael, Tizian ch’onora / Non men Cador, che quei Venezia e Urbino». 

«Sebastianus Venetus», come ama firmarsi, è apprezzato «per aver da Giorgione imparato un modo di colorire assai morbido»(1), scrive Giorgio Vasari; la sua prerogativa, il “colorito” veneziano, non consiste solo nell’uso di particolari lacche e pigmenti che la Serenissima importava dall’Oriente, ma nell’ottenere graduali passaggi di tono e di chiaroscuro per mezzo di una magistrale tecnica di velature a olio. La fama di Sebastiano, tuttavia, deriva soprattutto dal sodalizio che istituisce con Michelangelo al suo arrivo a Roma nel 1511. L’occasione per quest’amicizia nasce dai comuni sentimenti di rivalità verso Raffaello, e in particolare dalle critiche mosse ai colori della volta della Sistina, ancora ispirati a una tavolozza quattrocentesca a confronto con il colore “unito” di Raffaello della Stanza della Segnatura.


Salomè (1510); Londra, National Gallery.


Vergine saggia (1511); Washington, National Gallery of Art.

(1) G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori (1568), a cura di G. Milanesi, Firenze 1878-1885, vol. V, p. 567.

Michelangelo passa al contrattacco e, per sostenere il veneziano contro il tanto ammirato Sanzio, contribuisce con la perfezione del disegno all’eccellenza del colore, unite in un corpo solo. Per assicurarsi la vittoria del suo protetto contro l’odiato maestro di Urbino, Michelangelo si premura di fornirgli disegni e invenzioni per dipinti di grande risonanza: la Pietà di Viterbo, la Resurrezione di Lazzaro della National Gallery di Londra, la cappella Borgherini in San Pietro in Montorio a Roma. Sebastiano, dal canto suo, contribuisce con la qualità altissima della sua tecnica cromatica, messa a punto a Venezia grazie all’influenza dei fiamminghi, alle sperimentazioni di Antonello da Messina e Giovanni Bellini, e alle novità introdotte da Leonardo e Giorgione. Per aver compiuto un’azione così spregiudicata - lui, specialista del tonalismo veneziano, allearsi con il campione del disegno fiorentino allo scopo di rovesciare Raffaello - Sebastiano ha dovuto pagare un prezzo molto salato: nelle Vite vasariane è presentato come un surrogato, scelto dai committenti non tanto per i suoi meriti ma in virtù delle invenzioni del Buonarroti, come nel caso della cappella in San Pietro in Montorio, «allogata a Sebastiano, perché il [committente] Borgherino pensò, come fu vero, che Michelangelo dovesse far egli il disegno di tutta l’opera»(2)

Cos’è cambiato nel giro di trent’anni, dalla celebrazione di Ariosto al disprezzo postumo di Vasari, formulato nel 1550, a tre anni dalla morte di Sebastiano? Una delle ragioni della sua sfortuna critica risiede nel progressivo affermarsi del primato del disegno rispetto al colore. Da elemento unificatore che comprende e governa le arti sorelle, il disegno si trasforma alla metà del Cinquecento nel principio sovrannaturale all’origine della creazione artistica(3), sbaragliando il colore che, in quanto rappresentazione di proprietà secondarie, ricade in un ambito meramente descrittivo e materiale(4). Di pari passo con questa visione dei processi artistici in funzione della gerarchia del disegno, e in parallelo con l’affermarsi del mito di Michelangelo, l’astro di Sebastiano, virtuoso del colore e della tecnica a velature, non poteva che tramontare, e la sua luce affievolirsi. Questa, però, è una visione retrospettiva, che non rende onore ai meriti artistici del veneziano naturalizzato romano, misconosciuto tanto dalla prima, quanto dalla sua seconda patria. 

Sebastiano Luciani, solo in seguito detto del Piombo per aver ottenuto da Clemente VII la cospicua rendita di piombatore apostolico, nasce a Venezia nel 1485; la sua educazione avviene, come d’obbligo per ogni pittore che si affacci sulla scena lagunare, al seguito del padre indiscusso della pittura veneziana: «apparò i primi principii da Giovan Bellino allora vecchio [...] e doppo lui [...] si acconciò con Giorgione»(5). Dalla solida tradizione della bottega belliniana Sebastiano approda all’avanguardia artistica rappresentata da Giorgione, culminante nella decorazione della facciata sul Canal grande del Fondaco dei tedeschi a Rialto del 1508, e nella messa a punto di una nuova concezione del ritratto, drammatica e psicologica, mutuata da Leonardo. Sebastiano si muove fra questi due poli senza soluzione di continuità, e può permettersi di dialogare con il vecchio Bellini, elaborando e innovando modelli comuni, aprendo a nuove soluzioni formali che anticipano i futuri sviluppi dell’arte a Venezia già entro il 1511, data della sua partenza per Roma. Le tre opere principali di Sebastiano a Venezia - il Giudizio di Salomone di Kingston Lacy, le Portelle d’organo di San Bartolomeo, e la Pala di San Giovanni Crisostomo - si collocano tutte a ridosso di questo margine temporale.


Tiziano, Pala di san Marco (1510); Venezia, Santa Maria della Salute.


Giovanni Bellini, Continenza di Scipione (1508-1510); Washington, National Gallery of Art.


Giudizio di Salomone (1508-1511); Kingston Lacy, National Trust, Bankes Collection.

(2) Ivi, p. 566.
(3) Paolo Giovio elogia così Raffaello nella sua Raphaelis Urbinatis Vita: «nell’addolcire e fondere l’asprezza di colori troppo vivaci riuscì, da artista amabilissimo qual era, a ciò che solo era mancato al Buonarroti, cioè ad unire a pitture sapientemente disegnate l’ornamento luminoso e resistente dei colori a olio», in P. Barocchi, Scritti d’Arte del Cinquecento, 9 voll., Torino 1977-1979, vol. I, p. 15.
(4) L. Mendelsohn, Varchi’s “Due Lezzioni”: Paragone and Cinquecento Art Theory, New York University, Ph.D. dissertation, UMI, Ann Arbor (Mich.) 1978, pp. 246-247.
(5) G. Vasari, op. cit., V, p. 565.

Il Giudizio di Salomone di Kingston Lacy (Bankes Collection, National Trust), forse iniziata già nel 1506, è un palinsesto che testimonia il passaggio da una fase sperimentale a un più conclamato classicismo. In trasparenza è visibile la prima versione di una generica architettura con oculi, poi soppiantata da una programmatica restituzione archeologica di un’aula basilicale romana. In questo mutamento leggiamo in filigrana il riflesso della portata rivoluzionaria dell’inedita scala monumentale del Fondaco di Giorgione. In una grande aula di tribunale, Salomone presiede sull’alto trono al confronto fra la vera e la falsa madre, a destra della composizione, dove uno statuario giustiziere sta per tagliare in due il bambino - visibile solo in radiografia - sollecitando immediatamente la rinuncia a riprendersi il figlio da parte della vera madre. La concitazione drammatica, l’eloquenza dei gesti e delle espressioni, la grandiosità scenografica dell’insieme, danno a quest’opera un respiro senza precedenti nel panorama veneziano, tanto che Tiziano la prenderà a modello nella paletta della veneziana chiesa della Salute, dove il san Marco, sull’alto trono in scorcio, ha il volto in ombra come Salomone, indice d’interiore riflessione. Un indizio dei rapporti che il giovane Sebastiano manteneva ancora con la bottega di Bellini è il basamento dell’originalissimo trono poligonale di Salomone che riappare, girato di novanta gradi, nella coeva Continenza di Scipione di Bellini (National Gallery, Washington). Al centro della scena una tabella marmorea che scandisce la divisione fra ostaggi iberici e vincitori romani è stata identificata con un vero pezzo classico(6): la base di candelabra ellenistica databile al I secolo d.C. e proveniente da Tivoli, acquistata dal cardinale Domenico Grimani e ora al Museo archeologico di Venezia(7)

Della sua gemella, ex collezione Grimani e ora al Louvre, Sebastiano estrapola la testa d’ariete a coronamento degli spigoli per decorare il trono salomonico, e si affeziona a questo motivo che ritroviamo sia nella cosiddetta Cerere di Berlino, sia nel perduto dipinto raffigurante La samaritana al pozzo e ricordato dall’incisione di Giulio Campagnola(8). Quale significato riveste la testa d’ariete, per occupare uno spazio così importante sotto il trono di Salomone? La stessa base con protomi d’ariete angolari e profilo svasato compare sul fonte battesimale del San Marco che battezza Aniano, realizzato da Tullio Lombardo per la tomba veneziana di Giovanni Mocenigo in San Giovanni e Paolo (1500-1522)(9). Sebastiano recupera per il trono salomonico la sola testa d’ariete, e non le arpie o i bucrani come nel rilievo belliniano: la testa d’ariete è non solo associata al sacrificio nel Vecchio testamento, ma è anche immagine del profeta e pastore di popoli.


Tullio Lombardo, San Marco che battezza Aniano, particolare della tomba di Giovanni Mocenigo (1522); Venezia, Santi Giovanni e Paolo.


Base di candelabra (I secolo d.C.), Parigi, Musée du Louvre.


Giulio Campagnola, da Sebastiano del Piombo (?), Cristo e la samaritana al pozzo (1516 circa); Parigi, Musée du Louvre.

(6) W. Tresidder, A Borrowing from the Antique in Giovanni Bellini’s “Continence of Scipio”, in “The Burlington Magazine”, 134, ottobre 1992, 1075, pp. 660-662.
(7) Il collezionismo d’arte a Venezia: dalle origini al Cinquecento, a cura di M. Hochmann, R. Lauber e S. Mason, Venezia 2008, pp. 207-223.
(8) C. Barbieri, “Apparò i primi principi da Giovan Bellino allora vecchio”: questioni aperte sulla formazione di Sebastiano, in Examining Giovanni Bellini, a cura di C. Wilson, Turnhout 2015, pp. 227-244.
(9) S. Blake McHam, La tomba del doge Giovanni Mocenico: politica e culto dinastico, in Tullio Lombardo scultore e architetto nella Venezia del Rinascimento, a cura di M. Ceriana, Verona 2007, pp. 81-98.

Si veda per esempio Geremia: «I principi di Sion sono diventati come degli arieti che non trovano più dei buoni pascoli» (Lamentazioni, 1-6). Questa valenza simbolica dell’ariete ben si addice a re Salomone, giudice saggio e giusto e anch’esso figura tipologica del Cristo. Anche Tullio Lombardo associa l’ariete alla guida spirituale: in questo caso san Marco, patriarca di Venezia ed evangelizzatore di Alessandria. 

Nelle Portelle d’organo di San Bartolomeo, Sebastiano unisce la visione tradizionale delle nicchie interne, che ospitano i santi Ludovico e Sinibaldo, a una visione monumentale dell’esterno a portelle chiuse, con l’arco a tutto sesto che inquadra i santi Bartolomeo - cui è dedicata la chiesa - e Sebastiano. Ludovico è il santo eponimo del vicario della chiesa, Alvise Ricci, il cui stemma appare sulla sommità dell’arcone, mentre Sinibaldo è il santo protettore della città di Norimberga: la chiesa di San Bartolomeo a Rialto era la chiesa della nazione tedesca a Venezia, e dal 1506 ospitava la Pala del rosario di Dürer, certamente l’episodio più rivoluzionario a Venezia prima del Fondaco dei tedeschi. La data di morte del committente, il 1509, fornisce l’“ante quem” per la cronologia dell’opera. Alla visione più intimista delle portelle aperte, con i santi che emergono dalla penombra della nicchia illuminata dai bagliori del mosaico d’oro, si contrappone la visione eroica dei santi collocati sotto l’arco trionfale, a portelle chiuse: si tratta di un trionfo spirituale, di una vittoria sulla carne, come testimoniano il martirio di Bartolomeo, scuoiato vivo, e di Sebastiano, trafitto dalle frecce, quest’ultimo di una bellezza apollinea il cui prototipo è stato rintracciato nell’Apollo del Belvedere(10).

(10) J. Wilde, Venetian Art from Bellini to Titian, Londra 1974, p. 95.

Portelle d’organo di San Bartolomeo, a sinistra San Ludovico da Tolosa e a destra San Sinibaldo (1509-1511), portelle aperte; Venezia, Gallerie dell'Accademia.


Portelle d’organo di San Bartolomeo, con i santi Bartolomeo e Sebastiano (1509-1511), portelle chiuse; Venezia, Gallerie dell'Accademia.

La carriera giovanile di Sebastiano culmina con la Pala di San Giovanni Crisostomo, nella prospettiva laterale che mostra una sorprendente analogia con la Pala Diletti di Giovanni Bellini, e che tuttavia precede e non segue l’opera dell’anziano maestro. Entrambe decorano il presbiterio della chiesa veneziana di San Giovanni Crisostomo a Cannaregio, progettata da Mauro Codussi in forme rinascimentali, e risalgono all’inizio del secondo decennio del Cinquecento: già finita nel 1511 la pala di Sebastiano, documentata al 1513 quella belliniana. Sebastiano ha ideato uno spazio scenico costituito da un pronao ombroso di fronte al quale siede san Giovanni Crisostomo assorto nella scrittura e nell’esegesi; lo accompagnano san Giovanni Battista con croce e cartiglio, fratello del più giovane dei Tre filosofi di Giorgione, san Giovanni evangelista e san Teodoro, il santo guerriero della tradizione veneto-bizantina. 

Una triade di sante - quasi sorelle - avanza dalla sinistra: Maddalena con il vasetto di unguenti, Lucia con la coppa e Caterina, il cui attributo della ruota dentata oggi non è più visibile. Quest’ultima santa rende plausibile il riferimento a una dei committenti, Caterina Contarini, che nel 1509 versava venti scudi «pro fabricatione palle altaris magnj»(11) secondo un progetto con più benefattori orchestrato da Alvise Talenti, parroco della chiesa. È la prima volta a Venezia che una pala monumentale adotta una prospettiva laterale invece della consueta simmetria centrale: prima il giovane Sebastiano, poi il vecchio Bellini, dipingono la figura principale di profilo e in atto di leggere e/o scrivere. In entrambe le composizioni l’attenzione dei protagonisti è attirata dalla pagina scritta, vera protagonista della scena, come ha opportunamente suggerito Augusto Gentili(12); anche se troviamo san Girolamo già rappresentato di profilo nel dipinto di Antonello da Messina della National Gallery di Londra e in numerose analoghe iconografie dello stesso Bellini(13), mai, prima d’ora, questa struttura asimmetrica era stata adottata in una pala per l’altare maggiore, per dare centralità alla “sacra pagina”. Tiziano terrà ben a mente l’invenzione di Sebastiano per la sua grandiosa Pala Pesaro nel 1519(14). Non ci sono nuovi dati per risolvere il problema cronologico della pala in San Giovanni Crisostomo, se non ribadire che la monumentalità della composizione difficilmente deve aver preceduto lo spartiacque dell’arte veneziana di primo Cinquecento, e cioè la perduta facciata Fondaco dei tedeschi del 1508. Con gli affreschi del Fondaco - la cui perdita è incalcolabile e può paragonarsi a un Michelangelo senza Sistina o a un Raffaello senza Stanze(15) - Giorgione rinnovava nella forma e nei contenuti la decorazione in esterni, forse affiancato da Sebastiano, mentre Tiziano dipingeva la facciata di terra. I «colori fiammeggianti» del Fondaco celebrati da Vasari sono quegli stessi «colori vivi», «dal gran rilievo», elogiati anche nella Pala di San Giovanni Crisostomo, a marcare la vicinanza di Giorgione e Sebastiano; tanto che quest’ultimo poteva intervenire a completare le opere iniziate dal maestro, per esempio il giovane filosofo seduto a sinistra nei Tre filosofi di Vienna, come racconta Marcantonio Michiel(16).


Giorgione, Tre filosofi (1505); Vienna, Kunsthistorisches Museum. Nel 1525 il veneziano Marcantonio Michiel annota sul suo diario che «la tela a oglio delli tre phylosophi nel paese...fu iniziata da Zorzi da Castelfranco e finita da Sebastiano Viniziano», a dimostrazione delle prime prove di Sebastiano: si confronti il profilo del filosofo seduto con quello di san Giovanni Battista nella Pala di San Giovanni Crisostomo.

(11) R. Gallo, Per la datazione della pala di S. Giovanni Grisostomo di “Sebastian Viniziano”, in “Arte Veneta”, fascicoli 26-28, 1953, p. 152.
(12) A. Gentili, C. Bertini, Sebastiano del Piombo, Pala di San Giovanni Crisostomo, Venezia 1985, pp. 19-21.
(13) P. Humfrey, The Altarpiece in Renaissance Venice, New Haven e Londra 1993, p. 238. Cfr. M. Lucco, Sebastiano del Piombo a Venezia, in Sebastiano del Piombo 1485-1547, catalogo della mostra (Roma-Berlino 2008), Milano 2008, p. 29.
(14) P. Joannides, Titian to 1518. The Assumption of Genius, New Haven e Londra 2001, p. 132.
(15) A. Mariuz, Giorgione pittore di affreschi, in Da Bellini a Veronese, Temi di Arte Veneta, a cura di G. Toscano e F. Valcanover, Venezia 2004, pp. 299-367.
(16) [M. Michiel], Notizia d’opere di disegno, a cura di G. Frizzoni, Bologna 1884, pp. 164-165.

Pala di san Giovanni Crisostomo (1511); Venezia, San Giovanni Crisostomo. Nella triade di sante raffigurate di tre quarti, di profilo e “in profile perdu”, omaggio alle virtù teologali così come i santi maschili rimandano alle virtù cardinali, Sebastiano riflette sulla molteplicità dei punti di vista, un tema centrale del dibattito sul paragone fra scultura e pittura. Giorgione aveva sfidato l’opinione comune che solo le sculture potessero rappresentare l’insieme delle possibili vedute dell’oggetto tridimensionale dipingendo un san Giorgio che mostrava attraverso oggetti riflettenti – un corso d’acqua, uno scudo e uno specchio – la visione frontale, laterale e in scorcio prospettico.


Giovanni Bellini, Pala Diletti (1513); Venezia, San Giovanni Crisostomo. In San Giovanni Crisostomo l’anziano maestro e il giovane allievo si rincorrono in un gioco di rimandi, che si estendono anche ad altre opere: il san Ludovico della Pala Diletti si rivela fratello gemello di quello delle portelle d’organo di San Bartolomeo, non tanto nell’esecuzione, tonale e materica di Sebastiano, lucida e cristallina in Bellini, quanto nell’ideazione della figura giovanile e trasognata del santo, nel volto imberbe, nella mitria bianca e oro, nella veste candida bordata di cremisi, nelle posture perfettamente speculari.

L’altra grande novità, messa a punto da Giorgione e dai «suoi eccellenti due creati» Sebastiano e Tiziano(17), è la nuova visione drammatica ed espressiva del ritratto, il cosiddetto “ritratto di spalla”, di cui Giorgione dà prova nel suo Autoritratto come David (Herzog Anton Ulrich Museum, Braunschweig)(18). I primi ritratti allegorici di Sebastiano, la Salomè di Londra e la Vergine saggia di Washington, esemplificano il nuovo modo di costruire la personalità per via associativa e simbolica, a metà strada fra ritratto e narrazione. La fanciulla con la lampada di Washington, dalla splendida manica in blu cangiante, conserva l’olio in previsione di dover accendere la luce e alimentarla, una parabola che allude all’attesa vigile dell’arrivo del Signore (Matteo 25, 1-13). 

Un altro ritratto in veste allegorica, noto attraverso molte copie, è il Pastore con flauto, che dall’ombra densa della falda del cappello, memore di un celebre dipinto di Giorgione, rivolge uno sguardo intenso all’osservatore; la migliore versione mi sembra quella del Museo di Capodimonte di Napoli, di recente riassegnata a Sebastiano anche sulla base della provenienza farnesiana(19). Il gentiluomo travestito da pastore, compagno del Pastore con flauto di Giorgione della Royal Collection di Hampton Court, interrompe l’idillio pastorale e la musica naturale del flauto a becco, a suggerire la precarietà delle armonie di una perduta Età dell’oro. Il tema di amore e musica, secondo l’interpretazione platonica del Convito e ispirato agli ideali dell’Arcadia di Sannazaro e degli Asolani di Bembo, è stato al centro degli interessi di Giorgione e Tiziano in opere quali il Concerto campestre. Sebastiano ha un primato a Venezia anche in questo campo, forse finora sottovalutato, data l’enorme importanza dei soggetti musicali: «la prima professione di Sebastiano non fu la pittura», scrive Vasari «ma la musica: perché oltre al cantare si dilettò molto di sonar varie sorti di suoni, ma soprattutto il liuto, per sonarsi in su quello stromento tutte le parti senz’altra compagnia […] il quale esercizio […] fece gratissimo a’ gentiluomini di Venezia»(20). All’apice della sua carriera, virtuoso del liuto e del pennello, Sebastiano lascia nel 1511 Venezia per Roma, al seguito di una delle figure più influenti della sua carriera: Agostino Chigi il Magnifico, ricchissimo banchiere del papa.


Giorgione, Autoritratto come David (1509-1510); Braunschweig, Herzog Anton Ulrich Museum.

(17) G. Vasari, op. cit., IV, p. 99.
(18) J. Anderson, The giorgionesque Portrait: from Likeness to Allegory, in Giorgione, atti del convegno internazionale di studio per il V centenario della nascita (Castelfranco Veneto, 1978), Asolo 1979, pp. 153-158.
(19) M. Santucci, A proposito del “Pastore con flauto” del Museo di Capodimonte, in Sebastiano del Piombo e la cappella Borgherini nel contesto della pittura rinascimentale, a cura di S. Arroyo, B. Marocchini e C. Seccaroni, Firenze 2010, pp. 100-103.
(20) G. Vasari, op. cit., V, pp. 571-572.

Pastore con flauto (1510 circa); Napoli, Museo nazionale di Capodimonte.


Tiziano, Concerto campestre (1509-1510); Parigi, Musée du Louvre.


Giorgione, Pastore con flauto (1509-1510); Hampton Court, Royal Collection.

SEBASTIANO DEL PIOMBO
SEBASTIANO DEL PIOMBO
Costanza Barbieri
La presente pubblicazione è dedicata a Sebastiano Luciani, detto in tarda età Sebastiano del Piombo (Venezia 1485 - Roma 1547). In sommario: Venezia: ''Colorito con gran rilievo''; Le ''magnificenze'' di Roma; L'alleanza con Michelangelo; Specchio divino. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.