Michelangelo passa al contrattacco e, per sostenere il veneziano contro il tanto ammirato Sanzio, contribuisce con la perfezione del disegno all’eccellenza del colore, unite in un corpo solo. Per assicurarsi la vittoria del suo protetto contro l’odiato maestro di Urbino, Michelangelo si premura di fornirgli disegni e invenzioni per dipinti di grande risonanza: la Pietà di Viterbo, la Resurrezione di Lazzaro della National Gallery di Londra, la cappella Borgherini in San Pietro in Montorio a Roma. Sebastiano, dal canto suo, contribuisce con la qualità altissima della sua tecnica cromatica, messa a punto a Venezia grazie all’influenza dei fiamminghi, alle sperimentazioni di Antonello da Messina e Giovanni Bellini, e alle novità introdotte da Leonardo e Giorgione. Per aver compiuto un’azione così spregiudicata - lui, specialista del tonalismo veneziano, allearsi con il campione del disegno fiorentino allo scopo di rovesciare Raffaello - Sebastiano ha dovuto pagare un prezzo molto salato: nelle Vite vasariane è presentato come un surrogato, scelto dai committenti non tanto per i suoi meriti ma in virtù delle invenzioni del Buonarroti, come nel caso della cappella in San Pietro in Montorio, «allogata a Sebastiano, perché il [committente] Borgherino pensò, come fu vero, che Michelangelo dovesse far egli il disegno di tutta l’opera»(2).
Cos’è cambiato nel giro di trent’anni, dalla celebrazione di Ariosto al disprezzo postumo di Vasari, formulato nel 1550, a tre anni dalla morte di Sebastiano? Una delle ragioni della sua sfortuna critica risiede nel progressivo affermarsi del primato del disegno rispetto al colore. Da elemento unificatore che comprende e governa le arti sorelle, il disegno si trasforma alla metà del Cinquecento nel principio sovrannaturale all’origine della creazione artistica(3), sbaragliando il colore che, in quanto rappresentazione di proprietà secondarie, ricade in un ambito meramente descrittivo e materiale(4). Di pari passo con questa visione dei processi artistici in funzione della gerarchia del disegno, e in parallelo con l’affermarsi del mito di Michelangelo, l’astro di Sebastiano, virtuoso del colore e della tecnica a velature, non poteva che tramontare, e la sua luce affievolirsi. Questa, però, è una visione retrospettiva, che non rende onore ai meriti artistici del veneziano naturalizzato romano, misconosciuto tanto dalla prima, quanto dalla sua seconda patria.
Sebastiano Luciani, solo in seguito detto del Piombo per aver ottenuto da Clemente VII la cospicua rendita di piombatore apostolico, nasce a Venezia nel 1485; la sua educazione avviene, come d’obbligo per ogni pittore che si affacci sulla scena lagunare, al seguito del padre indiscusso della pittura veneziana: «apparò i primi principii da Giovan Bellino allora vecchio [...] e doppo lui [...] si acconciò con Giorgione»(5). Dalla solida tradizione della bottega belliniana Sebastiano approda all’avanguardia artistica rappresentata da Giorgione, culminante nella decorazione della facciata sul Canal grande del Fondaco dei tedeschi a Rialto del 1508, e nella messa a punto di una nuova concezione del ritratto, drammatica e psicologica, mutuata da Leonardo. Sebastiano si muove fra questi due poli senza soluzione di continuità, e può permettersi di dialogare con il vecchio Bellini, elaborando e innovando modelli comuni, aprendo a nuove soluzioni formali che anticipano i futuri sviluppi dell’arte a Venezia già entro il 1511, data della sua partenza per Roma. Le tre opere principali di Sebastiano a Venezia - il Giudizio di Salomone di Kingston Lacy, le Portelle d’organo di San Bartolomeo, e la Pala di San Giovanni Crisostomo - si collocano tutte a ridosso di questo margine temporale.