SPECCHIO DIVINO

«Io desidero cosa eccellentissima, desiderando di esser ritratto per la divinissima vostra mano. Di cui escono opere, che invaghiscono gl’occhi,

dilettano l’anima, nutriscono l’intelletto, le quali con maraviglia son considerate da dotti, e con stupor mirate dal volgo [...]. Alhora mi parerà haver guadagnato uno specchio, il quale io sempre chiamarò specchio divino, percioché in quello vedrò voi, e me stesso insieme. Voi, vedendo ne l’imagin mia la vostra singular virtù, e ’l vostro maraviglioso artificio. Me, vedendo ne l’arte vostra espressa vivamente la mia imagine [...] mi s’accenderà l’anima al bel desiderio d’honore e di gloria»(60)

In anticipo di tre secoli sulla Camera chiara di Roland Barthes, l’umanista senese Claudio Tolomei descrive l’atto performativo del ritratto come duplice rispecchiamento di autore e soggetto e delle loro rispettive qualità, riconoscendo a Sebastiano un’insuperata autorevolezza e aggiungendosi al coro degli ammiratori, da Pietro Aretino a Isabella Gonzaga, da Paolo Giovio a Michelangelo. In effetti, il ritratto è il campo di eccellenza di Sebastiano, dove è riuscito, più che in qualsiasi altra forma espressiva, a coniugare l’influsso formale di Michelangelo con la formazione giorgionesca e lagunare, mantenendo una cifra originale e autonoma. Questa si traduce nella monumentale ed eroica dignità, nei volumi dilatati e plastici, nella tavolozza dai colori tenui e argentei e nella magistrale resa degli incarnati a velature(61).


Ritratto di Michelangelo che mostra i suoi disegni (1520 circa).


Francesco Arsilli (1522 circa); Ancona, Pinacoteca civica.

(60) C. Tolomei, Delle Lettere di Claudio Tolomei Libri sette, Venezia 1589, libro III, lettera del 20 agosto 1543, cc. 97r-98v: «A frate Sebastiano Luciano».
(61) P. Giovio, Raphaelis Urbinatis Vita, cit., pp. 16-17.

Delle circa sessanta opere da cavalletto autografe di Sebastiano, i ritratti sono trentacinque, più della metà della sua intera produzione, esclusi quelli perduti e tuttavia celebrati dai contemporanei. Il numero è destinato ad aumentare, se consideriamo che alcune figure sacre sono in realtà “disguised portraits”, come la Vergine saggia di Washington. Nei primi ritratti romani Sebastiano elabora nuovi codici formali e simbolici, gli elementi “parlanti” del ritratto, quali motti, emblemi, allegorie, finalizzati a restituire un’immagine eloquente delle ambizioni del ritrattato secondo l’auspicio di Cicerone: l’effigie delle virtù. È il caso del Ferry Carondelet con il suo segretario, del 1513, che giustappone registri aulici e naturalistici. Da un lato l’ambasciatore imperiale a Roma nel suo studio, inquadrato da un colonnato all’antica; dall’altro un sereno paesaggio agreste alle spalle del pratico segretario, che scrive le missive sotto dettatura. La chiave di lettura è il rivelatorio motto personale, iscritto sulla trabeazione classica: «NOSCE OPPORTUNITATEM», che deriva dal ciceroniano «Tempus actionis opportunum appellatur occasio» (il tempo opportuno dell’azione è chiamato occasione) (De Officiis, 142). Rivisitato alla luce del «NOSCE TEMPUS» di Erasmo, intimo amico di Ferry(62), il motto suggerisce una virtù diplomatica: discernere il giusto momento per ogni azione, destreggiandosi fra la cancelleria imperiale e la curia pontificia.


Ferry Carondelet con il suo segretario (1513); Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza.

(62) C. Barbieri, Sebastiano del Piombo, i ritratti. Committenti, artisti e letterati nella Roma del Cinquecento, San Gabriele 2012, pp. 52-53. Affine è il concetto del «NOSCE TEMPUS» erasmiano (Adagia, 1, 1, 70).

In questa ricerca di un efficace linguaggio simbolico Sebastiano non si discosta dalla ritrattistica degli altri pittori della sua generazione. Le novità sono principalmente sul piano formale e a Roma, negli anni Venti, Sebastiano sviluppa una nuova formula compositiva che amplifica le forme scegliendo di aumentare la scala di grandezza oltre il mezzobusto, a due terzi dell’altezza, con il taglio sotto i fianchi, in isolamento eroico contro un fondale neutro, imprimendo alla figura una rotazione che esalta gli effetti tridimensionali. Uno dei primi esempi è il Ritratto di Michelangelo che mostra i suoi disegni (Amburgo, collezione privata): il ritratto non è in buone condizioni, ma testimonia un’importante svolta in senso plastico. Sebastiano ritrae il suo mentore di tre quarti, col gomito che sporge verso lo spettatore, creando un’impressione di profondità ed eliminando parapetti e piani intermedi, con esiti più dinamici rispetto ai modelli di Giorgione. Il risultato è ancor più soddisfacente e maturo nel ritratto gemello di Francesco Arsilli (Ancona, Pinacoteca civica), quasi una replica, firmata e concordemente datata al 1522. La ricerca e la sperimentazione sul piano formale si arricchisce anche di contenuti: la singolarità di questa immagine di Michelangelo di circa quarantacinque anni, colta “dal vivo”, nasce dal fatto che trait d’union fra il riguardante e il ritrattato sono quegli stessi disegni anatomici, punto focale della composizione, su cui si fondava la loro alleanza. Solo da un rapporto molto speciale poteva originare l’invenzione straordinaria di creare un illusorio foglio disegnato sulla tela dipinta; la prima, a quanto mi risulta, delle numerosissime che seguiranno nel corso del Cinquecento. 

Con un nuovo approccio monumentale Sebastiano progressivamente allarga il campo della visione, inquadra le figure fin sotto le anche, le sviluppa in altezza, elimina parapetti e balaustre, forse percepite come sottolineature dello schema bidimensionale, per ottenere un volume pieno nello spazio tridimensionale: il ritratto come statua. Gli esempi più eclatanti di questa nuova visione eroica sono i ritratti di Clemente VII di Capodimonte, sprezzante e distaccato, l’Anton Francesco degli Albizzi di Houston, del Museum of Fine Arts, moderno e appassionato nella retorica espressiva del gesto, e l’Andrea Doria di Genova, Villa del principe - Doria Pamphilj: tutti caratterizzati da una forte presenza e da un formato fuori scala che si riflette in un’altrettanto gigantesca statura morale, futuri modelli per Pontormo e Parmigianino. 

Il ritratto di Andrea Doria, dalla «mirabile testa», a detta di Vasari, aggiunge alla gravità statuaria del suo gesto imperioso anche la chiave simbolica del finto fregio desunto da autentici rilievi romani di San Lorenzo fuori le Mura, entrati nel repertorio figurativo delle immagini canoniche di vittorie in mare. Il trofeo di “spolia navali” tuttavia non è solo una citazione dall’antico, ma un messaggio in codice. George Gorse ha decodificato il rilievo che va interpretato come un rebus: ANdrea (ANchor) AUREA (AcrostoliUm, ProRA) Capitano (Temo, timone, emblema per Capitano) della Chiesa (CHeniscus) APostoLica (APLustre). Un’operazione di erudita fantasia geroglifica che consacra il ruolo dell’ammiraglio papale a difesa della Chiesa(63).


Clemente VII (1526); Napoli, Museo nazionale di Capodimonte.

(63) L. Leoncini, Deduzioni iconografiche, linguaggio geroglifico e uso dell’antico: il caso del Ritratto Doria, in Il Ritratto e la memoria: materiali, 2, a cura di A. Gentili, Roma 1993, pp. 249-261; cfr. G. L. Gorse, Augustan Mediterranean Iconography and Renaissance Hieroglyphics at the Court of Clement VII. Sebastiano del Piombo’s Portrait of Andrea Doria, in The Pontificate of Clement VII: History, Politics, Culture, a cura di K. Gouwens, Aldershot 2005, pp. 313-337.

Anton Francesco degli Albizzi (1525); Houston, Museum of Fine Arts. La carriera politica di Anton Francesco degli Albizzi è tutta improntata sulle sue doti oratorie e diplomatiche, grazie alle quali la Repubblica fiorentina lo invia a trattare con i Veneziani, il papa, i re di Francia e d’ Inghilterra. Ispirandosi ai canoni dell’Institutio oratoria di Quintiliano, Sebastiano lo rappresenta come un retore dell’antichità classica nel gesto parlante dell’“adlocutio”, reso con stupefacente scorcio prospettico.


Andrea Doria (1526); Genova, Villa del principe - Doria Pamphilj.

Anche per i ritratti femminili Sebastiano elabora un nuovo tipo di rappresentazione, caratterizzata da una tavolozza sobria e da una voluta economia di mezzi pittorici; particolarmente riusciti in tal senso sono i celebri ritratti di Vittoria Colonna e Giulia Gonzaga. 
La chiave simbolica si rintraccia nel ritratto allegorico di Vittoria Colonna come Artemisia di Leeds, Harewood Collection, affine al suo prototipo di Barcellona, Museu Nacional d’Art de Catalunya, Colecció Cambó. Nel canto XXXVII dell’Orlando furioso, che risale al 1532, la vedova di Ferdinando d’Avalos, scomparso nel 1525, è celebrata come una novella Artemisia che piange il suo Mausolo; un paragone appropriato anche per il dipinto, giacché nella mitica regina di Alicarnasso, rappresentata mentre solleva la coppa per bere le ceneri del compianto marito, la poetessa poteva facilmente identificarsi(64)
La fama di Sebastiano ritrattista arriva al suo culmine con il più celebrato ritratto del Cinquecento, quello della bellissima e giovane vedova di Vespasiano Colonna, Giulia Gonzaga, frutto della triplice committenza di Ippolito de’ Medici e degli sforzi congiunti di pittura, scultura e poesia. Il ritratto di Giulia in versi è commissionato ai letterati Francesco Maria Molza e Gandolfo Porrino che, con le Stanze sopra il ritratto della signora Giulia Gonzaga, rimandano al dipinto di Sebastiano di cui si dimostrano intimi conoscitori, individuando il valore scultoreo del suo stile: 
«Tu, che lo stile con mirabil cura / pareggi col martello, e la grandezza / che sola possedea già la scultura / ai colori doni e non minor vaghezza, / sì che superba gir può la pittura, / sola per te salita a tanta altezza»(65). Ritratto tanto famoso quanto misterioso, cui più di tutti si avvicina l’austera versione su lavagna del Museo di Wiesbaden, dove il tipo fisionomico coincide perfettamente con le numerose repliche, copie e derivazioni: viso delicato e minuto, fronte spaziosa, capelli castani e ricci, lunghe e sottili sopracciglia arcuate, occhi a mandorla, naso diritto, bocca piccola e carnosa.

(64) N. Macola, in Vittoria Colonna e Michelangelo, catalogo della mostra (Firenze 2005), a cura di P. Ragionieri, Firenze 2005, pp. 52-53.
(65) Stanze sopra il ritratto della Signora Giulia Gonzaga, st. XV, in Delle Poesie volgari e latine di Francesco Maria Molza, a cura di P. A. Serassi, Bergamo 1747, I, p. 139. Si veda F. M. Molza, La ninfa tiberina, a cura di S. Bianchi, Milano 1991.

Vittoria Colonna (1520 circa); Barcellona, Museu Nacional d’Art de Catalunya.


Vittoria Colonna come Artemisia (1530 circa); Leeds, Earl of Harewood


Giulia Gonzaga (1532); Wiesbaden, Wiesbaden Museum.

La contessa di Fondi, rigorosamente in nero a eccezione del velo color “cavallino”, tipico della vedovanza, è raffigurata di tre quarti girata verso destra, la figura esile e tuttavia solenne in posa controllata davanti a un tavolo cui si sostiene con la mano sinistra, lo sguardo contegnoso rivolto all’osservatore, segno di una forte personalità, ma anche indice di poca partecipazione e convinzione nell’impresa del ritratto e al corteggiamento del cardinale Ippolito. Per il cardinale questa iniziativa faceva parte di un programma politico che mirava alla signoria di Firenze e alla rinuncia del cardinalato; ma se Giulia avesse accettato avrebbe perso i suoi titoli e i suoi beni, cosa a cui non era affatto disposta(66). Il suo animaletto da compagnia, una martora arrampicata sull’avambraccio destro e tenuta a freno da una catenella d’oro, è motivo simbolico in voga e allude alla lussuria soggiogata: forse un messaggio in codice rivolto al cardinale sulla necessità di dominare malcelate e malriposte passioni(67). In questa, come in altre immagini ritratto, Sebastiano trasforma il corpo naturale in un corpo culturale(68), e affina codici simbolici adatti a esprimere la storia, le virtù, e i programmi normativi del ritrattato, declinando un linguaggio multiforme che crea memorabili ritratti parlanti. 

Dalla formazione giorgionesca al culto per l’antico, dall’ammirazione per Michelangelo al confronto/scontro con Raffaello: queste esperienze uniche, insieme a un’incessante sperimentazione tecnica, hanno consentito a Sebastiano di aprire nuove strade cruciali per la storia del manierismo. Nei suoi confronti il debito della generazione della metà del secolo è ancora in gran parte da saldare sul terreno della storia della critica.


Rodomonte Gonzaga, (1520 circa); Hartford, Wadsworth Atheneum. I ritratti dei fratelli Giulia e Rodomonte Gonzaga testimoniano la celebrità di due protagonisti della scena cinquecentesca. La duchessa di Fondi è tanto bella quanto virtuosa e disdegna il corteggiamento di Ippolito de’ Medici, che può possederla solo in immagine, complice Sebastiano, che si deve attenere a un rigore quasi monacale. I poeti Francesco Maria Molza e Gandolfo Porrino elogiano Giulia per la sua beltà ornata solo di virtù «sua puritate / ornamento mortal non chiede, o brama: / ma più che gemme, / ed or, vuol che s’apprezze / di beltà natural vive ricchezze». Al ritratto di Giulia si affianca un secondo ritratto gonzaghesco: quello del fratello Luigi, capitano cesareo, figlio primogenito di Ludovico Gonzaga del ramo di Gazzuolo e di Francesca Fieschi, che mostra, fin dalla più tenera età, il coraggio e la prestanza fisica che gli varranno il soprannome dell’eroe guerriero dell’Orlando innamorato di Matteo Boiardo, Rodomonte. Teofilo Folengo lo descrive come «magnanimum pectus, forzamque leonis, grandizamque animi». Sebastiano lo ritrae con il bastone del comando, come un novello Alessandro Magno dalla chioma leonina, simbolo di forza invincibile.

(66) I. Walter, R. Zapperi, Il ritratto dell’amata, Roma 2006, pp. 85-86.
(67) C. Barbieri, Sebastiano del Piombo, i ritratti. Committenti, artisti e letterati nella Roma del Cinquecento, cit., pp. 95-99.
(68) A. Quondam, Tutti i colori del nero, Vicenza 2007, pp. 28, 42-45: «L’abito […] esibisce e rappresenta il progetto identitario (cioè di virtù), di chi se ne fa consapevolmente titolare»; C. Barbieri, Sebastiano del Piombo, i ritratti. Committenti, artisti e letterati nella Roma del Cinquecento, cit., pp. 101-102.

SEBASTIANO DEL PIOMBO
SEBASTIANO DEL PIOMBO
Costanza Barbieri
La presente pubblicazione è dedicata a Sebastiano Luciani, detto in tarda età Sebastiano del Piombo (Venezia 1485 - Roma 1547). In sommario: Venezia: ''Colorito con gran rilievo''; Le ''magnificenze'' di Roma; L'alleanza con Michelangelo; Specchio divino. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.