In questa ricerca di un efficace linguaggio simbolico Sebastiano non si discosta dalla ritrattistica degli altri pittori della sua generazione. Le novità sono principalmente sul piano formale e a Roma, negli anni Venti, Sebastiano sviluppa una nuova formula compositiva che amplifica le forme scegliendo di aumentare la scala di grandezza oltre il mezzobusto, a due terzi dell’altezza, con il taglio sotto i fianchi, in isolamento eroico contro un fondale neutro, imprimendo alla figura una rotazione che esalta gli effetti tridimensionali. Uno dei primi esempi è il Ritratto di Michelangelo che mostra i suoi disegni (Amburgo, collezione privata): il ritratto non è in buone condizioni, ma testimonia un’importante svolta in senso plastico. Sebastiano ritrae il suo mentore di tre quarti, col gomito che sporge verso lo spettatore, creando un’impressione di profondità ed eliminando parapetti e piani intermedi, con esiti più dinamici rispetto ai modelli di Giorgione. Il risultato è ancor più soddisfacente e maturo nel ritratto gemello di Francesco Arsilli (Ancona, Pinacoteca civica), quasi una replica, firmata e concordemente datata al 1522. La ricerca e la sperimentazione sul piano formale si arricchisce anche di contenuti: la singolarità di questa immagine di Michelangelo di circa quarantacinque anni, colta “dal vivo”, nasce dal fatto che trait d’union fra il riguardante e il ritrattato sono quegli stessi disegni anatomici, punto focale della composizione, su cui si fondava la loro alleanza. Solo da un rapporto molto speciale poteva originare l’invenzione straordinaria di creare un illusorio foglio disegnato sulla tela dipinta; la prima, a quanto mi risulta, delle numerosissime che seguiranno nel corso del Cinquecento.
Con un nuovo approccio monumentale Sebastiano progressivamente allarga il campo della visione, inquadra le figure fin sotto le anche, le sviluppa in altezza, elimina parapetti e balaustre, forse percepite come sottolineature dello schema bidimensionale, per ottenere un volume pieno nello spazio tridimensionale: il ritratto come statua. Gli esempi più eclatanti di questa nuova visione eroica sono i ritratti di Clemente VII di Capodimonte, sprezzante e distaccato, l’Anton Francesco degli Albizzi di Houston, del Museum of Fine Arts, moderno e appassionato nella retorica espressiva del gesto, e l’Andrea Doria di Genova, Villa del principe - Doria Pamphilj: tutti caratterizzati da una forte presenza e da un formato fuori scala che si riflette in un’altrettanto gigantesca statura morale, futuri modelli per Pontormo e Parmigianino.
Il ritratto di Andrea Doria, dalla «mirabile testa», a detta di Vasari, aggiunge alla gravità statuaria del suo gesto imperioso anche la chiave simbolica del finto fregio desunto da autentici rilievi romani di San Lorenzo fuori le Mura, entrati nel repertorio figurativo delle immagini canoniche di vittorie in mare. Il trofeo di “spolia navali” tuttavia non è solo una citazione dall’antico, ma un messaggio in codice. George Gorse ha decodificato il rilievo che va interpretato come un rebus: ANdrea (ANchor) AUREA (AcrostoliUm, ProRA) Capitano (Temo, timone, emblema per Capitano) della Chiesa (CHeniscus) APostoLica (APLustre). Un’operazione di erudita fantasia geroglifica che consacra il ruolo dell’ammiraglio papale a difesa della Chiesa(63).