L’ALLEANZACON MICHELANGELO

Nel contrapporre il colorito veneziano di Sebastiano al classicismo tosco-romano di Raffaello, Agostino Chigi aveva agito d’anticipo stabilendo la materia del contendere;

ma in quello stesso anno 1512 una seconda e più celebre rivalità si profilava sugli orizzonti romani: la Stanza della Segnatura di Raffaello e la Sistina di Michelangelo erano compiute e il pubblico del tempo discettava su quale dei due pittori meritasse la palma del vincitore. Può apparire strano a noi moderni, ma le testimonianze provano che fosse proclamato vincitore non il sublime Michelangelo, ma il divino Raffaello. Scrive Vasari: «In Roma era venuto in tanto credito Raffaello da Urbino nella pittura che gli amici ed aderenti suoi dicevano che le pitture di lui erano […] vaghe di colorito, belle d’invenzioni, e d’arie più vezzose, e di corrispondente disegno, e che quelle del Buonarroti non avevano, dal disegno in fuori, niuna di queste tre parti [...] Ma non già era de’ seguaci di costoro Sebastiano […] e Michelangelo […] perché molto gli piaceva il colorito e la grazia di lui, lo prese in protezione; pensando che se egli usasse l’aiuto del disegno in Sebastiano, si potrebbe con questo mezzo, senza che egli operasse, battere coloro che avevano si fatta opinione»(38)

Il sodalizio ha dunque una chiara finalità: l’eccellenza nel colorito di Sebastiano, sostenuta dal disegno di Michelangelo, è l’arma da usare contro Raffaello per mettere in discussione il suo primato. Sebastiano scrive esplicitamente al suo mentore: «con il mezo vostro [cioè il disegno] far le vendette vostre et mie at un trat[t]o, et dar intendere a le persone maligne che’l c’è altri semidei che Rafael da Urbino e’ soi garzoni»(39).


Pietà (1513-1514 circa); Viterbo, Museo civico.


Michelangelo, Pietà (1499); Città del Vaticano, San Pietro.

(38) G. Vasari, op. cit., V, p. 567.
(39) P. Barocchi, R. Ristori, Il carteggio di Michelangelo, 5 voll., Firenze 1965-1983, ed. postuma a cura di G. Poggi, vol. II (1973), p. 242. Sulla rivalità fra i due protagonisti della scena romana rimando a R. Goffen, Renaissance Rivals, New Haven 2002, pp. 226-237 e C. Barbieri, The Competition between Raphael and Michelangelo and Sebastiano’s Role in It, in The Cambridge Companion to Raphael, a cura di M. B. Hall, Cambridge 2005, pp. 141-164.

In questo clima rovente, poco dopo il completamento della Sistina, si colloca la commissione della Pietà (Viterbo, Museo civico), primo frutto della collaborazione fra i due alleati: «con molta diligenza finito da Sebastiano, che vi fece un paese tenebroso molto lodato, l’invenzione però e il cartone fu di Michelangelo», scrive Vasari(40). Commissionata dal chierico Giovanni Botonti per la sua cappella gentilizia in San Francesco alla Rocca a Viterbo, la Pietà è la prima opera pubblica di Sebastiano a Roma e il suo cavallo di battaglia, la cui semplicità compositiva è solo apparente: una linea orizzontale per il corpo passivo, senza vita, di Gesù; una linea verticale, attiva, per la tensione ascetica di Maria. Il confronto con la Pietà di Michelangelo in San Pietro è inevitabile, ma le novità sono indiscutibili: nel distacco del Figlio dal grembo della Madre il significato vira dalla contemplazione del sacrificio alla speranza di salvezza. L’enfasi è posta sul ruolo centrale di Maria come corredentrice, il cui sguardo rivolto al cielo conduce l’attenzione dell’osservatore dalla morte alla vita eterna, e rappresenta la preghiera che accomuna tutti i fedeli durante la Sacra vigilia nella notte di Pasqua. Anche il corpo di Cristo - di divina bellezza - si carica di significati allegorici: è simbolo eucaristico perché visivamente associato alla mensa d’altare, su cui appare deposto quale agnello sacrificale. 

Michelangelo non si espone in prima persona, ma fornisce il disegno preparatorio - di cui si conserva il busto della Vergine con studi delle mani alla Albertina di Vienna - garantendo l’originalità dell’invenzione e il rilievo scultoreo della composizione. Sebastiano, dal canto suo, riesce a ottenere inediti valori cromatici e atmosferici: nella virtuosistica gradazione tonale dell’incarnato di Cristo, e nello spettacolare «paese tenebroso molto lodato»(41), rischiarato dai bagliori dei fuochi in lontananza e dal plenilunio dai raggi blu-argentei, primo notturno monumentale della storia dell’arte, memore della Tempesta e della Notte di Giorgione portati su grande scala. 

La potenza espressiva del paesaggio è funzionale al messaggio spirituale: la natura desolata, immersa nella notte, è rischiarata dalla luna; Maria/Ecclesia, simbolo di fede e salda come una roccia, assicura il fedele che le tenebre non prevarranno. La mascolinità così accentuata di Maria, quasi una sorella delle sibille michelangiolesche della Sistina, va interpretata alla luce della teologia agostiniana che riserva alle donne la stessa dignità degli uomini, creati a immagine e somiglianza di Dio. Questa mascolinità, l’“imago dei”, traspare nel corpo femminile in quanto manifestazione delle interiori doti spirituali. Con questi stessi parametri Michelangelo rivolge un complimento alla sua confidente Vittoria Colonna: «un uomo in una donna, anzi uno dio per la sua bocca parla»(42)

Un osservatore del Cinquecento, esercitato nelle pratiche dell’allegoresi, avrebbe riconosciuto i cespugli di rovo accanto alla testa di Cristo, simboli della corona di spine; la piantina di primula in primo piano, segno di rinascita perché prima a fiorire dopo l’inverno; il ruscello che scorre alla sinistra della composizione, metafora battesimale, il plenilunio che rischiara la notte e anticipa la Pasqua(43)

Imponendosi a Roma, Sebastiano s’impone sul piano internazionale e molti incarichi arrivano al veneziano da parte della committenza spagnola e imperiale: il toccante Cristo portacroce del Prado, e il trittico della Deposizione di San Pietroburgo con il magnifico Cristo al limbo del Prado, per il cardinale Vich y Valterra. A Roma il partito filoimperiale vede fra i suoi rappresentati Agostino Chigi, molti esponenti della curia, cardinali e banchieri fra cui il fiorentino Pier Francesco Borgherini, ritratto da Sebastiano come donatore nella splendida Sacra famiglia della National Gallery di Londra. Quest’ultimo è anche il committente della cappella della Flagellazione in San Pietro in Montorio, chiesa della Corona di Spagna, seconda opera di collaborazione fra i due alleati, ormai una garanzia per la riuscita dell’impresa(44).


Cristo portacroce (1532-1535); Madrid, Museo del Prado. Il bianco luminoso della tunica di Cristo, tendente al pervinca, emana una luce fredda e argentea che esalta la tensione emotiva della salita al Calvario. Il volto espressivo del Cireneo, che si accolla il peso della croce, è modellato su quello della statua ellenistica del cosiddetto Arrotino, oggi nella Tribuna degli Uffizi ma che, ai primi del Cinquecento, Sebastiano aveva potuto studiare e disegnare nella collezione antiquaria di Agostino Chigi


Cristo al limbo (1516), anta laterale del trittico della Deposizione di San Pietroburgo; Madrid, Museo del Prado.

(40) G. Vasari, op. cit., V, p. 567. Sui disegni di Michelangelo per Sebastiano v. M. Hirst, Sebastiano del Piombo, Oxford 1981 e P. Joannides in Sebastiano del Piombo 1485-1547, cit., pp. 332-345, con bibliografia precedente. Sulla Pietà rimando a Notturno sublime. Sebastiano e Michelangelo nella Pietà di Viterbo, catalogo della mostra (Viterbo 2004), a cura di C. Barbieri, Roma 2004, pp. 55-86: 78. Le indagini a cura dell’Opificio delle pietre dure di Firenze hanno portato a individuare il disegno soggiacente al dipinto attraverso l’analisi riflettografica: C. Frosinini, R. Bellucci, La Pietà di Sebastiano del Piombo: da un cartone di Michelangelo? Tra indagini tecniche e letterarie, in ivi, pp. 97-105.
(41) G. Vasari, op. cit., V, p. 567.
(42) M. Buonarroti, Rime, a cura di E. N. Girardi, Bari 1967, n. 235, p. 245.
(43) C. Barbieri, Disegno fiorentino, colore veneto, e altri significati emblematici della Pietà, in Notturno sublime. Sebastiano e Michelangelo nella Pietà di Viterbo, cit., pp. 55-86: 78.
(44) G. Vasari, op. cit., V, pp. 568-569.

La nicchia della piccola cappella, la prima a destra, è decorata con la Flagellazione di Cristo per l’altare, la Trasfigurazione nella semicupola, i Santi Pietro e Francesco ai lati dell’ingresso e i profeti Isaia e Ezechiele sopra l’arco di accesso. Di Michelangelo sussistono due disegni per il Cristo flagellato (British Museum) - un primo schizzo ideativo e uno studio anatomico - mentre le fasi che vanno dalla progettazione all’esecuzione della cappella sono documentate dal 1516 al 1524 grazie agli scambi epistolari fra l’agente di Borgherini a Roma, Sebastiano e Michelangelo. 

Al soggetto della Flagellazione non era mai stata dedicata prima d’ora una pala d’altare, e così Michelangelo e Sebastiano stabiliscono un primato cui guarderanno in molti, da Giulio Romano a Caravaggio, nella celebre Flagellazione di Capodimonte. Allo stesso tempo, nel registro inferiore della cappella, Sebastiano riesce a mettere a punto la tecnica dell’olio su muro, un esperimento in cui Leonardo stesso aveva fallito, così come i garzoni di Raffaello nella Sala di Costantino. Riferendosi a questi ultimi, Sebastiano annuncia a Michelangelo: «Io lo facio a olio nel muro che credo vi contenterò de modo che’l non colerà dal muro come fanno quelli de Palazzo»(45). La nuova tecnica consentiva di ottenere la stessa profondità di ombre e intensità di toni dei dipinti su cavalletto, e portava a un livello più alto la sfida sul colore lanciata da Raffaello.


Sacra famiglia (1517); Londra, National Gallery. L’espressione drammatica del Cristo flagellato che abbandona la testa in uno spasimo di dolore – memore dei Crocifissi di Giotto – è presente fin dal disegno michelangiolesco; Sebastiano smaterializza l’ideale prosecuzione della colonna nell’apparizione trasfigurata del Figlio di Dio nella calotta.


Dall’alto, Trasfigurazione (1516-1524); Roma, San Pietro in Montorio, cappella Borgherini. Flagellazione (1516-1524); Roma, San Pietro in Montorio, cappella Borgherini.

(45) P. Barocchi, R. Ristori, op. cit., II (1973), p. 315, lettera del 6 settembre 1521.

San Pietro (1516-1524); Roma, San Pietro in Montorio, cappella Borgherini.


San Francesco (1516-1524); Roma, San Pietro in Montorio, cappella Borgherini.

L’insieme iconografico nasce nel clima spirituale della congregazione amadeita, fondata nella chiesa gianicolense dal frate minore Amedeo Menes de Silva per volontà di Sisto IV, di cui era confessore. Al beato Amadeo si attribuiva l’Apocalypsis Nova, testo profetico incentrato sull’imminente arrivo di un Pastore angelico che avrebbe rinnovato la Chiesa(46) e che costituisce la chiave di riferimento non solo per la cappella Borgherini, ma anche per la Resurrezione di Lazzaro, cui Sebastiano e Michelangelo lavorano in quegli stessi anni, nonché per la Trasfigurazione di Raffaello. 

Sovrintendente della chiesa di San Pietro in Montorio e protettore degli amadeiti è il cardinale spagnolo Bernardino Carvajal, cui si deve la “riscoperta” dell’Apocalypsis(47) e dei suoi vaticini sul nuovo pontefice che la rendevano di grande interesse e attualità: Carvajal stesso sperava di salire al soglio pontificio come “Pastor angelicus”. 

L’inedita associazione fra le scene della Trasfigurazione e della Flagellazione è il frutto della visione amadeita, che alle sofferenze del Cristo flagellato faceva seguire il rinnovamento nello Spirito, visualizzato nella scena della Trasfigurazione. Carvajal, in un’orazione di fronte al Sacro collegio, aveva già associato la Trasfigurazione al rinnovamento, preconizzato da Amadeo: la Chiesa, flagellata da tanti mali, interni ed esterni, come il Cristo battuto, sarebbe tornata a essere pura com’era in origine, grazie alla guida illuminata di un nuovo pontefice(48).


Libro con cartiglio «Aperietur in tempore» (1524); Roma, San Pietro in Montorio, cappella Borgherini.

(46) A. Zuccari, I grandi maestri del Cinquecento, in La Spagna sul Gianicolo. San Pietro di Montorio, a cura di A. Zuccari, Roma 2004, pp. 93-105; A. Morisi Guerra, Apocalypsis Nova, Ricerche sull’origine e la formazione del testo dello pseudo-Amadeo, Roma 1970.
(47) Carvajal è il probabile committente dell’Apocalypsis, riscritta da Juraj Dragiši, alias Giorgio Benigno Salviati: A. Morisi Guerra, op. cit., pp. 27-34.
(48) J. Jungic´, Joachimist Prophecies in Sebastiano del Piombo’s Borgherini Chapel and Raphael’s Transfiguration, in Prophetic Rome in the High Renaissance Period, a cura di M. Reeves, Oxford 1992, pp. 321-343, in part. 325-329.

Michelangelo, Cristo alla colonna (1516); Londra, British Museum.


Michelangelo, Studi per la Resurrezione di Lazzaro (1516-1517); Londra, British Museum.


Michelangelo, Studi per la Resurrezione di Lazzaro (1516-1517); Londra, British Museum.

Sotto la mensa d’altare e l’antependio IHS è un libro chiuso con un cartiglio e l’iscrizione «Aperietur in tempore»: si tratta dell’Apocalypsis Nova, che suggella la visione profetica della cappella come emblematica del ruolo di guida che l’ordine del beato Amadeo - ancora in lotta per essere riconosciuto nel seno dell’Osservanza - intendeva giocare come artefice del rinnovamento della Chiesa(49)

Queste complesse tematiche politicoreligiose riemergono nella pala più ambiziosa di Sebastiano e Michelangelo, la Resurrezione di Lazzaro (Londra, National Gallery) realizzata a paragone con la Trasfigurazione di Raffaello (Città del Vaticano, Pinacoteca vaticana) su committenza del cardinale Giulio de’ Medici, futuro papa Clemente VII, che aveva da poco ottenuto la sede vescovile della diocesi di Narbonne. 

La grandiosa pala avrebbe sancito una vittoria diplomatica nei rinnovati rapporti fra la Francia e il papato, e rinsaldato il potere dei Medici. Già, ma quale delle due? Era la prima volta che per l’arredo di un altare venivano commissionati due dipinti, per poi sceglierne uno solo. La vicenda non è del tutto chiarita, ma sembra che l’incarico arrivò prima a Raffaello e poi, nel 1517, su istigazione di Michelangelo che intendeva fomentare la competizione, anche a Sebastiano. Per quanto onerosa, questa doppia committenza fruttò al cardinale Giulio de’ Medici una grande pubblicità e spronò i due rivali a impegnarsi al massimo. Sul fronte Sebastiano, naturalmente, il cardinale si aspettava l’aiuto dei disegni di Michelangelo, documentato dagli studi preparatori per la figura di Lazzaro (Londra, British Museum). Per affrontare al meglio questa impresa, Sebastiano mise da parte la cappella Borgherini, già iniziata nel 1516, e si dedicò unicamente alla Resurrezione, che fu completata il 1° maggio 1519 ed esposta pubblicamente, ottenendo il plauso generale(50). Conosciamo le tappe fondamentali dell’esecuzione della pala grazie alle lettere inviate a Michelangelo: Raffaello tarda il più possibile l’esecuzione della Trasfigurazione perché non vuole «venire a paraghoni»; Sebastiano «sta con sospetto» e teme che Raffaello possa rubargli le idee; quest’ultimo cerca invano di far inviare la pala di Sebastiano in Francia perché venga incorniciata in loco e senza fare confronti; infine i due dipinti vengono esposti l’uno accanto all’altro nei Sacri palazzi e Sebastiano scrive a Michelangelo di «non aver avuto vergogna», cioè di non essere uscito sconfitto dal confronto con il divino Raffaello, tanto da chiedere la ragguardevole somma di mille ducati (ma ne otterrà ottocento)(51). Nel frattempo l’Urbinate si era spento il 5 aprile del 1520, mentre era ancora al lavoro sulla Trasfigurazione: questa circostanza proiettava il dipinto e il suo autore nella dimensione del mito. 

Sia la Resurrezione di Lazzaro, sia la Trasfigurazione, sono state interpretate in relazione all’Apocalypsis Nova, perché è nel testo amadeita che vengono associati per la prima volta i due episodi raffaelleschi della liberazione dell’ossesso in relazione al miracolo sul monte Tabor, mentre è significativo che nella Resurrezione di Lazzaro il tema del “Christus Medicus” - a celebrare la divinità del Cristo che opera il miracolo più grande, e al tempo stesso il committente de’ Medici - ricorra con particolare frequenza nel testo(52). La straordinaria gamma di colori squillanti e preziosi, come le lacche veneziane introvabili nella Roma di quegli anni, intendeva sfidare il Sanzio sul terreno degli effetti cromatici(53) e orchestrare sapientemente i movimenti delle masse in primo piano così come il paesaggio “alla veneta”, che apre lo sfondo a bagliori tempestosi e scenografiche nubi, in anticipo sui paesaggi di Poussin.


Resurrezione di Lazzaro (1519); Londra, National Gallery.


Raffaello, Trasfigurazione (1516-1520); Città del Vaticano, Musei vaticani, Pinacoteca.

(49) C. Barbieri, Visionaria e monumentale: Sebastiano, Michelangelo e la Cappella Borgherini in San Pietro in Montorio, in “Artibus & Historiae”, 74, 2016, 37, pp. 79-101.
(50) M. Hirst, op. cit., p. 69.
(51) P. Barocchi, R. Ristori 1967, cit., I, p. 243, n. CXCIII, e II (1973), pp. 32-33, 38 .
(52) M. Hirst, op. cit., p. 68. Cfr. C. Gardner von Teuffel, Sebastiano del Piombo, Raphael and Narbonne: New Evidence, in “The Burlington Magazine”, CXXVI, dicembre 1984, n. 981, pp. 764-766 e S. Pasti, Giulio dei Medici e l’Apocalypsis Nova: una fonte per i quadri di Raffaello e Sebastiano del Piombo per la cattedrale di Narbonne, in “Bollettino dei Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie”, 30, 2012, pp. 103-152.
(53) M. B. Hall, La Resurrezione di Lazzaro di Sebastiano e la sfida al colore di Raffaello, in La Pietà di Sebastiano a Viterbo: storia e tecniche a confronto, cit., pp. 27-41.

L’ultima pala monumentale di Sebastiano è per la cappella funebre di Agostino Chigi in Santa Maria del Popolo a Roma, progettata da Raffaello(54)

Nel contratto del primo agosto 1530 si richiede espressamente a Sebastiano di realizzare la pala con la sua rivoluzionaria tecnica a olio su pietra, frutto del suo magistero e un passo ulteriore rispetto all’olio su muro già sperimentato nella cappella Borgherini: il colore grigio del peperino corrispondeva alle tonalità grigio-argentee che Sebastiano ricercava in quegli anni, per avere un tono intermedio già pronto. Gli effetti traslucidi, le luci improvvise a contrasto con il tono di fondo, sono gli stessi che Sebastiano sperimenta con lo splendido ritratto su lavagna di Clemente VII con la barba del Museo di Capodimonte, un esempio di severità e mestizia, accentuate dai grumi di colore stesi sulla pietra, agli antipodi rispetto allo sprezzante ritratto dello stesso pontefice prima del Sacco di Roma del 1527. 

Una luce argentea e lunare appare esaltata dallo stesso fondo in pietra nera nella Pietà di Úbeda (Pietà di Medinaceli), ora al Prado, commissionata da Ferrante Gonzaga per il segretario imperiale Francisco de los Cobos, dove l’ostensione del corpo di Cristo si giova di un disegno ad hoc di Michelangelo, con riaffioranti sentimenti e modelli veneziani di Bellini, quali il Cristo in Pietà e angeli della Pinacoteca comunale di Rimini(55)

Nella Concezione e natività della Vergine Sebastiano ha utilizzato due registri per visualizzare la relazione fra la predestinazione della Vergine e la sua nascita: nel superiore l’Eterno concepisce “ante saecula” Maria Immacolata (Proverbi, 8, 22-35); nell’inferiore il piano di salvezza comincia ad attuarsi con la sua nascita senza colpa, che prelude alla rinascita in Cristo. La prospettiva a cannocchiale mostra le tre età della storia dell’uomo, dall’antichità pagana alla legge mosaica, alla Rivelazione, che inizia con la nascita di Maria. Per questa scena solenne e monumentale Sebastiano recupera citazioni classiche che il committente avrebbe gradito: la fantesca che si volta a prendere la cesta è ispirata alla statua della Psiche capitolina, allora nelle collezioni chigiane(56). La novità di questo impianto compositivo è il risultato di un iter complesso, documentato da una serie di disegni che registrano la trasformazione da una più tradizionale iconografia come Assunzione della Vergine (Amsterdam, Rijksmuseum) fino alla scelta definitiva (Parigi, Louvre, Cabinet des dessins)(57).


Giovanni Bellini, Cristo in Pietà e angeli (1470 circa); Rimini, Pinacoteca comunale.


Clemente VII con la barba (1532); Napoli, Museo nazionale di Capodimonte.


Pietà di Medinaceli (1533-1539); Madrid, Museo del Prado.

(54) G. Cugnoni, Agostino Chigi il Magnifico, Roma 1878, pp. 169-179: «capella perficiatur, iuxta ordinationem […] Raphael de Urbino».
(55) Per una problematizzazione del significato della Pietà di Ùbeda, v. E. Calvillo, Authoritative Copies and Divine Originals: Lucretian Metaphor, Painting on Stone, and the Problem of Originality in Michelangelo’s Rome, in “Renaissance Quarterly”, 66, 2013, 2, pp. 453-508; C. Cieri Via, Sebastiano del Piombo e la Pietà di Ùbeda fra narrazione e devozione, in “Konsthistorisk tidskrift”, 81, 2012, 4, pp. 262-269; C. Barbieri, “Apparò i primi principi da Giovan Bellino allora vecchio”: questioni aperte sulla formazione di Sebastiano, cit., pp. 237-242.
(56) C. Barbieri, Le “Magnificenze” di Agostino Chigi. Collezioni e passioni antiquarie nella villa Farnesina, cit., pp. 186-195, 211-219.
(57) M. Hirst, op. cit., pp. 130-144; C. Barbieri, La “Natività della Vergine” di Sebastiano del Piombo nel contesto della cappella Chigi, in Santa Maria del Popolo, Storia e Restauri, a cura di I. Miarelli Mariani e M. Richiello, 2 voll., Roma 2009, II, pp. 479-488.

Alla radice del cambiamento è il desiderio di comunicare in modo univoco la devozione del committente al tema dell’Immacolata concezione, non ancora codificato sul piano iconografico. Il tema dell’Assunzione, infatti, di per sé non implicava quello dell’Immacolata concezione, e per questo motivo Sisto IV, in attesa della definizione del dogma che avverrà solo nel 1854, decide di associare la celebrazione della dottrina dell’Immacolata alla festa della Natività di Maria (come nel dipinto), con una grande cerimonia che, dal 1480, si ripeteva annualmente in Santa Maria del Popolo. La stessa occasione liturgica in cui Agostino Chigi aveva destinato per testamento la celebrazione di una messa solenne nella sua cappella consacrata alla Vergine(58)

Non conosciamo disegni michelangioleschi per la pala Chigi: il maestro non è più disposto a soccorrere il suo protetto perché sulla tecnica da adottare per il Giudizio universale della Sistina si sta consumando la crisi del loro rapporto. Sebastiano propone l’olio su muro, e persuade il papa a far preparare la parete da dipingere a questo scopo, finché alla fine Michelangelo si oppone dichiarando che «non voleva farla se non a fresco, e che il colorire a olio era arte da donne e da persone agiate e infingarde, come Fra Bastiano»(59). Così, venute meno le ragioni inziali della loro alleanza, si chiude il loro più che ventennale rapporto.


Concezione e natività della Vergine (1530-1547), particolare; Roma, Santa Maria del Popolo, cappella Chigi.

(58) G. Cugnoni, op. cit., p. 172.
(59) G. Vasari, op. cit., V, p. 584.

Psiche alata (I secolo d.C.); particolare; Roma, Musei capitolini.


Concezione e natività della Vergine (1530-1540), particolare; Roma, Santa Maria del Popolo, cappella Chigi.

SEBASTIANO DEL PIOMBO
SEBASTIANO DEL PIOMBO
Costanza Barbieri
La presente pubblicazione è dedicata a Sebastiano Luciani, detto in tarda età Sebastiano del Piombo (Venezia 1485 - Roma 1547). In sommario: Venezia: ''Colorito con gran rilievo''; Le ''magnificenze'' di Roma; L'alleanza con Michelangelo; Specchio divino. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.