LE “MAGNIFICENZE”DI ROMA

Agostino Chigi era partito per Venezia in missione per Giulio II con il duplice intento di ottenere da un lato il monopolio sul mercato dell’allume

con vantaggio personale e per le casse della Tesoreria pontificia, dall’altro di stringere alleanza con Venezia, concedendo in prestito alla Serenissima, in difficoltà economiche dopo la sconfitta di Agnadello, la vertiginosa somma di centoquarantaseimila ducati(21). Il progetto va in porto e dopo sei mesi di trattative l’accordo viene siglato e il prestito concesso in cambio dei gioielli del Tesoro di San Marco. 

Al ritorno a Roma, nel luglio 1511, il banchiere porta con sé da Venezia due preziose prede: Sebastiano, musico e pittore, e una giovane e bellissima popolana che qualche anno più tardi diverrà sua moglie, Francesca Ordeaschi. Chigi poteva così esibire a Roma uno dei due più brillanti eredi del pittore di Castelfranco, da poco scomparso, per impiegarlo nella decorazione della sua residenza trasteverina, la villa Farnesina(22)

Sebastiano veniva così iniziato alle magnificenze romane - Agostino in primis era un fine collezionista di statue e cammei antichi(23) - e introdotto nella cerchia dei suoi futuri committenti. Sebastiano poteva offrire ad Agostino i risultati più eclatanti nei tre principali filoni delle ricerche giorgionesche: nel ritratto allegorico, nei temi mitologici che implicavano la figurazione di splendidi nudi nel paesaggio, e nella chiave narrativa, al tempo stesso drammatica e monumentale, ammirata nel Fondaco dei tedeschi. In tutti e tre Sebastiano mostra qualità e capacità che Agostino non manca di valorizzare: commissionando i ritratti della cosiddetta Fornarina degli Uffizi, della Dorotea di Berlino, forse ritratto di Francesca Ordeaschi(24), e soprattutto La morte di Adone della Galleria degli Uffizi, dal magnifico brano di paesaggio lagunare e dagli apprezzati nudi femminili(25). Sebbene eseguita poco dopo il suo arrivo a Roma, la Morte di Adone è ancora una poesia veneziana, che ricorda i nudi del Fondaco, e sintetizza varie tradizioni mitografiche sul tema di Amore, prendendo spunto dal passo ovidiano delle Metamorfosi. Venere, in primo piano, con il piede ferito che stilla sangue sulle rose bianche e le tramuta in rosse, allude all’episodio della tintura delle rose descritto nell’Hypnerotomachia Poliphili(26), mentre la presenza di Pan, a destra nel dipinto, evoca le feste Adonie, le celebrazioni primaverili del ritorno di Adone dal regno dei morti e del ricongiungimento a Venere(27). Forse, La morte di Adone nasce come un’invocazione alla dea dell’amore e un auspicio per il rinnovarsi dei cicli della fertilità e degli amori in relazione ai progetti matrimoniali di Agostino, che aveva perduto la prima moglie, Margherita Saraceni, era senza eredi e sperava in un nuovo amore e una nuova famiglia(28)

Il recupero del mito dalle fonti antiche si accompagna alla ricerca dei modelli classici: la figura di Venere, studiata da Sebastiano in un disegno della Biblioteca ambrosiana, potrebbe essere stata ispirata da una statua di una ninfa conservata agli Uffizi; prima della dispersione, la collezione di Agostino contava centinaia di statue che i suoi artisti prendevano a modello. La postura della statua ellenistica è ripresa sia nella gamba accavallata della Venere, sia nella visione di schiena, recuperata per una ninfa del corteggio.


La morte di Adone (1512); Firenze, Galleria degli Uffizi. Il tema della morte di Adone contiene anche un implicito giudizio morale contro un’attività aggressiva come la caccia al cinghiale, che pone prede e cacciatori sullo stesso livello di ferocia. Il magnifico brano di paesaggio lagunare con il Palazzo ducale mostra il campanile di Venezia ancora privo della cuspide, terminata nel 1514, indizio di come appariva al momento della partenza di Sebastiano per Roma nell’estate del 1511. Il dipinto, recuperato da un sapiente restauro, era quasi completamente perduto nel 1983, dopo l’attentato in via dei Georgofili.


Fornarina (1512); Firenze, Galleria degli Uffizi.


Dorotea (1513); Berlino, Gemäldegalerie.

(21) F. Gilbert, The Pope, his Banker, and Venice, Cambridge (Mass.) e Londra 1980, pp. 40-52.
(22) C. L. Frommel, La Villa Farnesina a Roma, 2 voll., Modena 2003.
(23) C. Barbieri, Le “Magnificenze” di Agostino Chigi. Collezioni e passioni antiquarie nella villa Farnesina (Memorie. Accademia dei Lincei/ Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche; 9. Ser. 35.2013, 1), Roma 2014.
(24) R. Contini in Sebastiano del Piombo 1485-1547, cit., pp. 144-147.
(25) L’identificazione della Morte di Adone nelle collezioni chigiane spetta a R. Bartalini, Due episodi del mecenatismo di Agostino Chigi e le antichità della Farnesina, in “Prospettiva”, 67, 1992, pp. 17-38.
(26) E. Gombrich, Hypnerotomachiana, in Immagini simboliche (Londra 1972), Torino 1978, pp. 156-157.
(27) A. Tempestini, Il mito di Adone nella pittura di Sebastiano del Piombo: le due tavolette Lia ed il dipinto degli Uffizi, in “Konsthistorisk tidskrift/Journal of Art History”, 81, 2012, 4, pp. 225-230. Sulla Morte di Adone e il paragone con Raffaello cfr. P. Joannides, Sebastiano’s Venus and Adonis, in La Pietà di Sebastiano a Viterbo: storia e tecniche a confronto, atti della Giornata internazionale di studi (Viterbo, Università della Tuscia, 10 giugno 2005), a cura di C. Barbieri, E. Parlato e S. Rinaldi, Roma 2009, pp. 12-15.
(28) C. Thoenes, Galatea, tentativi di avvicinamento, in Id., Opus incertum: italienische Studien aus drei Jahrzehnten, Monaco 2002, pp. 215-244.

Bottega romana Invito alla danza (I secolo d.C.); Firenze, Galleria degli Uffizi.


Baldassarre Peruzzi, Oroscopo di Agostino Chigi (1511); Roma, villa Farnesina, loggia di Galatea.

Primo della serie in ordine di tempo è il ciclo di lunette che Sebastiano affresca nella loggia di Galatea, documentato già dal gennaio del 1512, quando Blosio Palladio dà alle stampe il suo Suburbanum Augustini Chisii e ne celebra l’autore come un nuovo Apelle, chiamandolo «felix pictor»(29). La serie di affreschi, tutti tratti dalle Metamorfosi di Ovidio, doveva rappresentare per Agostino un investimento simbolico di notevole spessore, perché la loggia era stata concepita come un’ideale autobiografia, un gioco di specchi che amplificava l’immagine del committente. 

Nella volta Baldassarre Peruzzi aveva dipinto l’oroscopo di Agostino, con il tema natale raffigurato dalle divinità planetarie e dalle costellazioni extra-zodiacali(30), mentre nelle pareti il ciclope Polifemo innamorato della bella Galatea, rispettivamente di Sebastiano e Raffaello, rappresentava l’augurio di un nuovo amore(31). Le otto lunette - escludendo la nona lunetta non finita e di dubbia attribuzione - rappresentano le seguenti storie: il re di Tracia Tereo insegue armato la moglie Procne e la cognata Filomela, di cui ha abusato, e prima che una strage si compia i tre si trasformano rispettivamente in upupa, rondine e usignuolo; Pandroso ed Erse, figlie del re di Atene, sorvegliano la cesta con Erittonio, insieme al corvo e alla cornacchia, che divulgano i segreti di Atena e Apollo e incorrono nella punizione divina; Icaro disobbediente precipita perdendo le penne posticce, con Dedalo impotente che osserva la tragica caduta; Giunone solca i cieli sul carro trainato dai pavoni; Scilla taglia il capello purpureo al padre Niso e così condanna a morte il padre e alla sconfitta la patria; Perdix - invece di Fetonte, come erroneamente si ripete - precipita dall’alto dell’Acropoli, spinto da Dedalo che lo invidia per esser stato superato per abilità tecniche e inventive, ma sarà tramutato in pernice da Atena(32); Borea, il freddo vento del Nord, in preda alla passione rapisce Orizia a lungo corteggiata. Infine l’ultima scena, da identificarsi come Apollo e la Sibilla cumana, invece di Zefiro e Flora, alla cui storia, o a particolari trasformazioni, nessun passo delle Metamorfosi è dedicato(33). I commentatori rinascimentali dell’episodio della Sibilla cumana insistono invece sulla trasformazione della profetessa nella voce del dio, visualizzata da quelli che potremmo riconoscere fra i primi “fumetti” della storia delle immagini.


Tereo, Filomela e Procne (1511-1512); Roma, villa Farnesina, loggia di Galatea.


Polifemo (1512); Roma, villa Farnesina, loggia di Galatea.


Raffaello, Trionfo di Galatea (1512); Roma, villa Farnesina, loggia di Galatea.

(29) B. Palladio, “Suburbanum Augustini Chisii”, introduzione e traduzione a cura di M. Quinlan McGrath’, in “Humanistica Lovaniensia”, 39, 1990, pp. 93-156: 119.
(30) L’individuazione dell’oroscopo di Agostino Chigi nella loggia di Galatea spetta a F. Saxl, La fede astrologica di Agostino Chigi: interpretazione dei dipinti di Baldassare Peruzzi nella Sala di Galatea della Farnesina, Roma 1934; cfr. C. L. Frommel, op. cit., pp. 81-99.
(31) C. Thoenes, op. cit., pp. 215-244.
(32) A. Von Salis, Antike und Renaissance, Zurigo 1947, pp. 193-197. Cfr. C. L. Frommel, op. cit., p. 91.
(33) C. Barbieri, “Tam foelix pictor vate, ut picture Poeta: The Iconography of Sebastiano del Piombo’s Lunettes in the Loggia della Galatea”, in “Artibus & Historiae”, 72, 2015, pp. 127-152.

Pandroso ed Erse vigilano sulla cesta di Erittonio con il corvo e la cornacchia (1511-1512); Roma, villa Farnesina, loggia di Galatea.


Dedalo e Icaro (1511-1512); Roma, villa Farnesina, loggia di Galatea.


Giunone sul carro trainato dai pavoni (1511-1512); Roma, villa Farnesina, loggia di Galatea.

I delitti e i drammatici eventi rappresentati, con l’unica eccezione della serena Giunone sul carro, hanno suscitato dei dubbi sulla congruenza di temi tanto terribili con il magnifico oroscopo nella volta e con la bellezza ideale della Galatea dipinta da Raffaello. Eppure quelle vicende, rappresentate con uno stile teatrale ed espressionistico, con tagli inconsueti e colori accesi, erano particolarmente adatte a drammatizzare le passioni e i conflitti dell’animo umano simboleggiati nelle favole ovidiane: la lussuria di Tereo, la spiata del corvo e della cornacchia, la disobbedienza di Icaro, l’empietà di Scilla, l’invidia che uccide Perdix, la rabbia di Borea, l’avidità della Sibilla cumana. Come si giustifica questa carrellata di crimini con il tema natale di Agostino? Nel microcosmo della loggia le divinità planetarie e le stelle nella volta alludono al fuoco, i temi ovidiani nelle lunette alludono all’elemento aria, sede dei venti e per traslato delle passioni umane, mentre le scene di Polifemo e Galatea simboleggiano terra e acqua, quest’ultima fonte di nascita e rigenerazione(34). Si tratta di un’ingegnosa rappresentazione di valori universali in un’allegoria morale dell’esistenza umana. La discesa sulla terra non è necessariamente una caduta, né le passioni irrefrenabili: attraverso la chiave amorosa e neoplatonica, simboleggiata da Galatea, è possibile anche al rozzo Polifemo - con cui probabilmente Agostino s’identificava con autoironico “understatement” - vincere i vizi e dominare le passioni per innalzarsi a Dio.

Con uno stile vivace ed esotico, fatto di «colori che quasi parlano e respirano», Sebastiano tenta di surclassare i suoi rivali al lavoro nella loggia portando a Roma le novità del Fondaco sia nella cromia accesa, sia negli audaci tagli compositivi(35). In Giorgione la «freschezza della carne viva» era contraffatta con un’abilità tale da parer vera, a detta di Vasari(36); apprezzamento analogo a quello di Blosio Palladio per Sebastiano nella loggia: «io credo che abbia dipinto esseri vivi»(37)

Il livello dello scontro con Raffaello è altissimo, orchestrato da Agostino per ottenere il massimo dai suoi pittori. Presumibilmente Sebastiano aveva già dipinto il suo Polifemo nel primo degli scomparti della parete principale della loggia, e la risposta di Raffaello è un colpo basso: nel dipingere Galatea modifica a bella posta la linea dell’orizzonte del mare, annullando l’ideale continuità spaziale fra i due scomparti. Spinti al confronto da uno scaltro committente, e poi da Michelangelo, Raffaello e Sebastiano erano pronti ad accendere di rivalità la scena artistica romana.


Scilla e Niso (1511-1512); Roma, villa Farnesina, loggia di Galatea.


Perdix e le pernici (1511-1512); Roma, villa Farnesina, loggia di Galatea.

(34) Il tema dei quattro elementi come motivo iconografico della loggia è stato avanzato per primo da R. Förster, Farnesina Studien. Ein Beitrag zur Frage nach dem Verhaltnis der Renaissance zur Antike, Rostock 1880. Per un’indagine sul rapporto fra le lunette e l’insieme della decorazione nella loggia di Galatea rimando al mio studio già citato: C. Barbieri, “Tam foelix pictor vate, ut picture Poeta: The Iconography of Sebastiano del Piombo’s Lunettes in the Loggia della Galatea”, cit.
(35) C. Barbieri “Tam foelix pictor vate, ut picture Poeta: The Iconography of Sebastiano del Piombo’s Lunettes in the Loggia della Galatea”, cit.; Ead., Venezia a Roma: “la maniera disforme” di Sebastiano nella Loggia della Galatea, in “Studiolo”, 12, 2015, pp. 184-213, 351-352.
(36) G. Vasari, op. cit., IV, p. 93.
(37) C. Barbieri, Venezia a Roma: “la maniera disforme” di Sebastiano nella Loggia della Galatea, cit.

Borea e Orizia (1511-1512); Roma, villa Farnesina, loggia di Galatea.


Apollo e la Sibilla cumana (1511-1512); Roma, villa Farnesina, loggia di Galatea.

SEBASTIANO DEL PIOMBO
SEBASTIANO DEL PIOMBO
Costanza Barbieri
La presente pubblicazione è dedicata a Sebastiano Luciani, detto in tarda età Sebastiano del Piombo (Venezia 1485 - Roma 1547). In sommario: Venezia: ''Colorito con gran rilievo''; Le ''magnificenze'' di Roma; L'alleanza con Michelangelo; Specchio divino. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.