Grandi mostre. 4
L’arte scrittoria della Mesopotamia a Venezia

SEGNALI DAUN MONDO
LONTANO

Per 3500 anni le civiltà del vicino Medio Oriente comunicarono grazie a un sistema di segni cuneiformi. Una scrittura che si modifica nel tempo, evolve in forme affascinanti, racconta – anche per immagini – miti che saranno parte del nostro patrimonio culturale. A Venezia un’occasione per incontrare quei segni. In fondo, quelli latini che state leggendo in questa pagina sono in uso solo da 2800 anni.

Adriano Favaro

«Nel mondo mesopotamico si incontra il primo abbozzo serio di quello che, ripreso, amplificato, approfondito e organizzato più tardi dai pensatori greci, diventerà lo “spirito scientifico”; il primo abbozzo di quella scienza e di quella ragione cui ancora oggi teniamo molto». 

È stato il grande storico francese Jean Bottéro nel suo saggio La nascita dell’Occidente a diffondere questo elemento culturale. Per superare una possibile diffidenza di fronte a tale affermazione basterà guardare un sigillo. Alto quattro centimetri, scolpito su una conchiglia nel periodo accadico, mostra il mito di Etana, tredicesimo mitico re della dinastia di Kish, eroe sumerico; secondo la leggenda uno dei primi a governare dopo il Diluvio e portato in cielo da un’aquila. Nella scena incisa sul sigillo, in basso, i suoi cani guardano a quell’uomo che assurge al cielo: la medesima composizione di trova in un disegno di Michelangelo, andato distrutto, ma imitato da tanti autori, da Correggio a Rubens, a Rembrandt. L’episodio era presente anche in molti bassorilievi romani: il ratto da parte di Zeus (in forma di aquila) di Ganimede. Tutto di fonte mesopotamica. 

Basterebbe questo parallelo per spiegare senso e significato della mostra Prima dell’alfabeto, organizzata a Venezia dalla Fondazione Giancarlo Ligabue a palazzo Loredan, in campo Santo Stefano, una delle sedi dell’Istituto veneto di scienze lettere e arti. Dal 20 gennaio quei locali, definiti da Frederick Mario Fales - curatore della mostra con Roswitha Del Fabbro - «di coltissima e nobile sobrietà», ospiteranno circa duecento pezzi della collezione Ligabue, oggetti che attraversano tre millenni di storia. Tra mobilia ottocentesca e migliaia di preziosi libri che testimoniano l’antico impegno culturale dell’Istituto - fondato nella prima metà dell’Ottocento, contemporaneo, quindi, alle ricerche degli scienziati che per primi scoprirono e identificarono il cuneiforme - è organizzato un percorso espositivo che è un tuffo nel mondo mesopotamico; con le storie dei suoi miti, vita comune, eroi, re, battaglie e divinazioni. Come in poche occasioni è dato vedere nel nostro paese, riapparirà un mondo antico (e nuovissimo): dagli oggetti che ricordano il mito del Diluvio all’epopea di Gilgamesh, al regno di Hammurabi, passando per commerci, astronomia, religioni, agricoltura.


Intarsi decorativi in conchiglia con uomini, animali e palme (periodo Protodinastico III, 2600-2350 a.C.).

Placchette in lamina d’oro: albero sacro e geni alati (periodo Neoassiro, VIII secolo a.C.).

In mostra ci saranno sigilli cilindrici e a stampo, tavolette di argilla cotta al sole, alcune con una “busta”, sempre dello stesso materiale (la cui conservazione è considerata evento rarissimo, una fu aperta anni fa in una diretta tv su Rai Uno), a protezione del testo; assieme a chiodi di fondazione, elmi di bronzo, punte di freccia e di lancia, piastre di metallo, oggetti in oro, statuine di divinità. 

La scrittura cuneiforme, impressa con punte di canna nell’argilla, narra della vita quotidiana, di scambi commerciali di rame, argento, birra, orzo, grano, animali, di ricette contro i dolori delle partorienti e invocazioni agli dei. 

Alle opere della Collezione Ligabue si sono aggiunti prestiti dei Musei reali di Torino (un bassorilievo del famoso re Sargon II); e appaiono anche alcuni oggetti che Austen Henry Layard, lo scopritore di Ninive, ha lasciato in omaggio alla Serenissima, ora conservati al Museo archeologico di piazza San Marco. 

«Pur se oggi siamo fisicamente lontani dalla Mesopotamia», spiega il curatore della mostra, «la Terra tra i Due Fiumi riesce a rivivere grazie all’unicità, varietà e bellezza della collezione di antichità della Fondazione Ligabue». Fales è, con Roswitha Del Fabbro, anche l’estensore del catalogo, che racconta la storia della Mesopotamia, dello sviluppo della scrittura e dell’espansione culturale e artistica in un’area che va al di là di Tigri ed Eufrate. Il catalogo ospita anche interventi di Stefano de Martino, Paolo Matthiae, Pier Giorgio Odifreddi e David I. Owen. 

«Ho voluto», spiega Inti Ligabue, presidente della Fondazione intitolata al padre, «esporre la collezione mesopotamica, frutto della raccolta di oggetti durata decenni, perché quelle voci sono appartenute, appartengono anzi, a genti e popolazioni a noi vicine. Ognuno di quegli oggetti riproduce infatti segni e gesti che sono anche di un vivere quotidiano che tuttora pratichiamo ed elaboriamo. 

Quel mondo ci appare adesso difficile e contrastato, eppure da lì vengono molti dei nostri modi e stili dell’esistere».


Sigillo con scena del mito di Etana (periodo Accadico, 2350-2200 a.C.).


Tavoletta con contenitore (o “busta”) in argilla da Kanesh (periodo Paleoassiro, XIX secolo a.C.).

Tavoletta con contenitore in argilla, da Drehem (periodo Ur III, 2051 a.C.);


Tavoletta con contratto per l’acquisto di una casa, da Fara/Shuruppak o Nippur (periodo Protodinastico IIIA, 2600-2450 a.C.).

ART E DOSSIER N. 339
ART E DOSSIER N. 339
GENNAIO 2017
In questo numero: ARTE, PASSIONE, POTERE Kokoschka e Alma Mahler: una relazione tormentata. I Gentileschi: un rapporto spezzato. Gesmar e le dive Belle Epoque. IN MOSTRA Fabre a San Pietroburgo, Liberty a Reggio Emilia, Ottocento italiano a Viareggio, Scrittura mesopotamica a Venezia.Direttore: Philippe Daverio