Grandi mostre. 2
Liberty in Italia a Reggio Emilia

UNO STILECON DUE ANIME

Fiori, ghirlande, forme morbide, avvolgenti ma anche linee stilizzate ed essenziali, in rottura con la tradizione. Nella relazione tra queste due tendenze sta il fil rouge del progetto espositivo in corso a palazzo Magnani, ricco di opere che dimostrano quanto il Liberty nel nostro paese sia stato un movimento composito di arti, influenze e approcci diversi.

Melisa Garzonio

Fin dalla prima sala si capisce che il Liberty è un’idea che non si esaurisce in una linea sinuosa. Non lasciamoci ingannare dalle belle forme, dunque. Dietro il fiore, la ghirlanda e oltre lo stilema avvolgente c’è molto di più. Certo il nudo accogliente di Pietro Guerri, intitolato L’abbondanza, è un esempio sontuoso della bellezza fiorita e virginale, ispirata al Medioevo, che tanta malia esercitava sugli artisti del Liberty italiano. Così pure, rispecchia i canoni dell’estetica floreale la sontuosa Vittoria del Piave di Arrigo Minerbi, una figura femminile con immense ali sfrangiate, e un corpo dalle forme michelangiolesche che amalgama il Rinascimento toscano e la classicità greca di Fidia. Siamo in pieno stile liberty. E lo conferma, ben visibile nei suoi 375 x 300 centimetri, imponente tra le due sculture, anche il prezioso carboncino e matita di Adolfo De Carolis, un disegno preparatorio per la decorazione dell’Aula magna del palazzo della Sapienza dell’Università di Pisa, parte di una rappresentazione allegorica del genio immortale di Galileo. Nelle tre grandi opere che accolgono in prima battuta il visitatore della mostra che riempie di bellezza i due piani di palazzo Magnani, a Reggio Emilia, si avverte quello che poi diventa il filo rosso di tutta l’esposizione: l’idea di far dialogare le due anime del Liberty italiano, quella propriamente floreale, fluente e decorativa e quella “modernista”, più dirompente, che esprime la volontà degli artisti di mandare al rogo i modelli ottocenteschi tradizionali. Sia Guerri, che Minerbi e De Carolis (raffinatissimo illustratore delle opere di D’Annunzio) sono artisti a tutto tondo, che aderiscono alle spinte di rottura che premono dall’Europa secessionista. Hanno una creatività variegata, che non si esaurisce in una sola competenza. Fanno scultura, ma anche ceramica, sono pittori, ma si cimentano anche con la grafica pubblicitaria, sanno fare incisioni, per cataloghi o per grandi opere letterarie, degne, per il bello stile e la precisione, degli antichi maestri di bulino tedeschi.


Antonio Rizzi, manifesto per l’Esposizione nazionale di Belle arti dell’Accademia di Brera (1912), Cremona, Museo civico Ala Ponzone.

«La linea serpentina asimmetrica e movimentata che fu la marca distintiva dello stile liberty internazionale contrassegna solo in minima parte gli artisti italiani, quello che interessa è fare un’arte nuova, di rottura», dice Francesco Parisi, che con Anna Villari ha curato la mostra. «Gli artisti tutti», spiega ancora Parisi, «pittori, scultori e decoratori italiani tra i due secoli sentono una curiosità onnivora e un insieme molto vario di stimoli e suggestioni che interessano non soltanto la produzione figurativa, ma spalancano nuove strade alternative. Le estenuate raffinatezze e i preziosismi formali su cui si innestano influenze esotiche o medievaleggianti sono solo alcuni dei numerosi portati culturali che confluiranno in un amalgama di cui è quasi impossibile tracciare con esattezza i confini stilistici e perfino temporali». 

«L’Arte si democratizza come la scienza» è il motto che accompagna l’Esposizione internazionale di arte decorativa moderna di Torino del 1902: e i suoi influssi si aprono a tutti gli aspetti della vita quotidiana.


Felice Casorati, bozzetto per fontana (1914 circa).


Pittori, scultori e decoratori italiani
tra i due secoli sentono
una curiosità onnivora


Mario Cavaglieri, Vasi giapponesi con paravento (1916).

Il nuovo stile nasce come Art Nouveau in Francia, Jugendstil in area tedesca, nei paesi anglosassoni prende il nome di Modern Style. In Italia sboccia e declina tra la fine dell’Ottocento e la vigilia della prima guerra mondiale, gli anni della Belle époque, con i nomi di “Floreale”, “Arte nuova”, ma soprattutto Liberty, dal commerciante inglese Arthur Lasenby Liberty (1843-1917), proprietario di un magazzino in Regent Street a Londra specializzato in giapponeserie e oggetti orientali, ma anche in argenti, peltri, mobili di gusto eclettico e tessuti d’arredo con i caratteristici motivi “a fiore”, gli iris, i tulipani, le ninfee.


Amedeo Bocchi, Signora con cappello nero (1914).

Eccentriche miscellanee di stili,
i richiami alla natura, i contrasti
tra il vecchio e il nuovo


A palazzo Magnani, il Liberty è un grandioso mosaico di oltre trecento opere, distribuite secondo sette sezioni “tradizionali”. L’incipit è affidato alla pittura, con tre sale dedicate a uno dei soggetti più amati del Floreale: la donna, sempre bella e fatale, spesso nuda. 

Un po’ sirena, un po’ vittima, come succedeva alle eroine dell’Ottocento inglese. Sono le donne sognate e accarezzate nelle pennellate filamentose di Nomellini e Previati, nei ritratti allegorici dai colori accesi di Giulio Bargellini e Giovanni Costetti, di Amedeo Bocchi e Giovanni Spadini. La grafica e l’illustrazione sono un’emanazione quasi esclusiva della Belle époque, e la ritroviamo sia nella produzione personale degli autori sia nei cataloghi delle esposizioni d’arte, dove veniva definita “Bianco e nero”. Interessante la formazione di illustri accoppiate tra artisti e letterati, come nel caso dei due sommi abruzzesi De Carolis e D’Annunzio o Francesco Nonni e Antonio Beltramelli. C’è poi il tema della casa, con vita e miracoli delle più belle dimore liberty, ed erano autentiche opere totali, che comprendevano dal disegno dei muri al letto matrimoniale al lavabo del bagno, quelle progettate dai protagonisti del Liberty modernista, architetti quali Raimondo d’Aronco ed Ernesto Basile, che amavano le eccentriche miscellanee di stili, i richiami alla natura, i contrasti tra il vecchio e il nuovo. Fatta la casa si pensa a come arredarla e agghindarla. Allora andavano a ruba la ceramica, gli oggettini in bronzo, le piccole sculture da tavolo. Tra gli artisti in mostra, anche con i progetti preparatori, Galileo Chini, che ritroviamo accanto a Palanti, Terzi e Dudovich nella sezione sul cartellone pubblicitario; ci sono poi Arturo Martini, che era anche incisore, Duilio Cambellotti, Renato Brozzi e altri creatori versatili tra cui il faentino Domenico Baccarini, pittore e scultore di sensibilità travolgente, prematuramente scomparso a venticinque anni. Quella della scultura, infine, è un’autentica “Wunderkammer”, una stanza delle meraviglie, dove spiccano nomi noti come Leonardo Bistolfi e Domenico Trentacosta, ma anche una moltitudine di grandi semisconosciuti come Attilio Selva, Giovanni Prini, Ercole Drei. Alfonso Panzetta, direttore del Cassero per la scultura italiana dell’Ottocento e del Novecento di Montevarchi (Arezzo) e curatore della relativa sezione della mostra, ha puntato sulle opere funerarie, un genere rappresentato da un numero eccezionale di manufatti liberty visibile soprattutto nei cimiteri storici e monumentali, urbani e suburbani. «Pochi lo sanno, che i nostri camposanti sono un museo diffuso ancora tutto da scoprire. Mettiamoci al lavoro!».


Duilio Cambellotti, I tre Calender figli di re (1913 circa), illustrazione per Le mille e una notte.

Camillo Innocenti, Il ventaglio di merletto (1915).


Galileo Chini, piatto con volto femminile, gigli e pavone (1898-1900).

Liberty in Italia. Artisti alla ricerca del Moderno

a cura di Francesco Parisi e Anna Villari
Reggio Emilia, palazzo Magnani
corso Garibaldi 29
fino al 14 febbraio
orario 10-13 / 15-19, venerdì, sabato e festivi 10-19, chiuso lunedì
www.palazzomagnani.it

ART E DOSSIER N. 339
ART E DOSSIER N. 339
GENNAIO 2017
In questo numero: ARTE, PASSIONE, POTERE Kokoschka e Alma Mahler: una relazione tormentata. I Gentileschi: un rapporto spezzato. Gesmar e le dive Belle Epoque. IN MOSTRA Fabre a San Pietroburgo, Liberty a Reggio Emilia, Ottocento italiano a Viareggio, Scrittura mesopotamica a Venezia.Direttore: Philippe Daverio