Architettura per l'arte


UN MUSEOPER TUTTI

di Aldo Colonetti

Nel recente allestimento del Museo del duomo di Milano Guido Canali ha voluto che il luogo fosse «spettacolo in sé», dal punto di vista estetico e culturale, anche per il pubblico non competente.

Guido Canali appartiene a quella particolare generazione di architetti che ha fatto di alcuni insegnamenti dei maestri del secolo scorso, in particolare della lezione di Ernesto Rogers, il modello di riferimento progettuale, trasferito poi, caso per caso, all’interno della specificità storica e simbolica dell’intervento; nel nostro caso, il Museo del duomo di Milano, il cui riallestimento, organizzato su di una superficie doppia di quella originaria, è stato fortemente voluto dal consiglio della Veneranda Fabbrica del Duomo, oggi presieduto da Gianantonio Borgonovo, anche grazie alla tenacia di Gianni Baratta, direttore della Fabbrica. Nel nuovo museo la storia della città transita attraverso la genesi, lo sviluppo e la realizzazione della grande cattedrale. Il recente allestimento di Canali, oltre che prevedere una nuova messa a punto del percorso espositivo, mette al centro, come scrive lo stesso autore, «un principio insostituibile quando si disegna un museo: non è solo destinato agli specialisti, deve rappresentare spettacolo in sé, cioè divertimento conoscitivo anche per un pubblico non competente».


Nelle sale ove, sotto gli intonaci settecenteschi del Piermarini, sono affiorate murature tardogotiche, opportunamente si ambientano le oreficerie, gotiche, del Tesoro della cattedrale.

Questo è il caso del Museo del duomo, ma direi di tutte le opere di Canali quando interviene all’interno di una storia “universale”, che va al di là delle opere esposte; basti pensare al cantiere “infinito”, ma unico nel suo genere, di Santa Maria della Scala a Siena. Come scrive Rogers, «il ciclo della cultura non ha soluzioni di continuità; per questa ragione occorre capacità di sintesi e saper comporre il contingente con la storia, in particolare con l’universale». 

Il Museo del duomo, in seguito al nuovo progetto di Canali, si sviluppa per ventisei sale, mettendo in mostra molte opere che prima non trovavano posto: alcune grandi statue di fine Trecento provenienti dal duomo, insieme alle ritrovate “superfici tardogotiche” del Palazzo del governo, sede del museo, presenze architettoniche, tamponate nella seconda metà del Settecento da Giuseppe Piermarini, ora tornate a dialogare con i materiali esposti. È una grande narrazione, coinvolgente dal punto di vista della comunicazione culturale, senza esercizi citazionistici né forzature di materiali e soluzioni high-tech, come se tutto fosse “naturale”. 

Coerenza cronologica, uno sviluppo regolare delle stanze, una logica di accorpamento dei materiali esposti per temi specifici, il tutto “governato” da una regia progettuale che controlla ogni passaggio, ogni dettaglio, tenendo sempre fermo l’occhio e la mente dal punto di vista del «piacere del testo», direbbe Roland Barthes.

Come scrive lo stesso Canali, «alternanza di compressioni e dilatazioni, con alcuni colpi di teatro, resi necessari anche dalle diverse dimensioni delle opere: dai piccoli calici, ostensori e croci, alla dimensione “architetturale” delle alte statue di marmo, destinate appunto a dialogare con la struttura reale del duomo». Qui, come in altri passaggi allestitivi, si rivela la “maestria rinascimentale” di Canali, nei dettagli e, nello stesso tempo, nella capacità di evocare la collocazione rispetto ai contesti d’origine delle opere, utilizzando, comunque, materiali contemporanei, nella loro dimensione “estetica” che è anche funzionale: getti di cemento al quarzo riquadrati da sottili canaline in ferro, lastre di beola, vetrine a totale trasparenza, basamenti in lamiera di ferro tagliata al laser, pannelli MDF su strutture metalliche, pannelli in alveolare strutturale di alluminio con un rivestimento in bianco di Candoglia. 

Da sempre le architetture di Guido Canali, che si tratti di insediamenti produttivi o di interventi di carattere culturale, sono il risultato della sua filosofia progettuale, rivolta sempre al mondo reale: la storia come il territorio fanno parte di noi, è necessario dialogare con la materialità del mondo senza rinunciare al linguaggio della contemporaneità (in Canali non c’è mai nostalgia), e nello stesso tempo, essere consapevoli che qualsiasi progetto, in modo particolare un museo, non è destinato a se stessi: deve parlare agli altri, agli abitanti del mondo, ciascuno poi eserciterà la propria capacità interpretativa. Importante è non barare: con il nuovo Museo del duomo Guido Canali ha messo in atto una sorta di manuale compositivo, nel quale ciascuno di noi, è nello stesso tempo, visitatore e protagonista.


Una coppia di cherubini, grandi sculture in marmo di Candoglia, un tempo incastonate nella cattedrale.


Entro un corridoio a botte di Palazzo reale si allunga l’esile vetrina appositamente progettata (qui a fianco, schizzo preparatorio), costituita da lastre scorrevoli in cristallo inclinate a evitare riflessi.

Proveniente dalla Fabbrica del duomo è la principale protagonista anche all’interno del museo.


Croci processionali, candelieri in argento, calici preziosi: le meraviglie del Tesoro della cattedrale, valorizzate da vetrine a misura, e su disegno, di massima trasparenza.

Piccole sculture prerinascimentali, già incastonate entro i grandi capitelli della navata del duomo, animano il volume ribassato di un’antica stalla.


Il museo, quasi un palcoscenico, offre suggestivi colpi di scena. Non solo grazie agli splendidi pezzi, ma anche grazie alla loro disposizione, attenta, quasi teatrale.

Museo del duomo
Milano, piazza del Duomo e piazzetta Reale
museo.duomomilano.it

ART E DOSSIER N. 339
ART E DOSSIER N. 339
GENNAIO 2017
In questo numero: ARTE, PASSIONE, POTERE Kokoschka e Alma Mahler: una relazione tormentata. I Gentileschi: un rapporto spezzato. Gesmar e le dive Belle Epoque. IN MOSTRA Fabre a San Pietroburgo, Liberty a Reggio Emilia, Ottocento italiano a Viareggio, Scrittura mesopotamica a Venezia.Direttore: Philippe Daverio