Finestre sull'Arte


Capodimonte
luogo di comunicazione

intervista di Federico D. Giannini

Direttore, vuole dirci quali sono i principali risultati che sono stati raggiunti al Museo nazionale di Capodimonte durante la sua gestione?

Capodimonte ora è un posto più organizzato. I lavori che erano bloccati da quasi un anno sono stati sbloccati, il cantiere è aperto e molto ben tenuto, le porte della reggia sono in restauro, il Real bosco è pulito. Devo dire che è stata una grande lotta, per far capire che quando un luogo è ben tenuto diventa rispettato, perché i visitatori regolano il loro comportamento pensando agli altri visitatori. Il vero bene pubblico del resto è il bene rispettato da tutti. Dietro a tutto ciò c’è un grande lavoro di management e di riorganizzazione delle strutture. Tutto questo è stato fatto in appena un anno, nel modo più chiaro e più logico possibile, secondo la filosofia di cosa è un museo, di come si gestisce, di come ci si approccia al pubblico. Fin da quando sono arrivato ho subito voluto mettere in chiaro il mio obiettivo, ovvero mettere il pubblico al centro della missione del museo. Ed è quanto stiamo facendo.


Mettere al centro il pubblico è l’obiettivo del direttore del Museo nazionale di Capodimonte


Spesso il museo è percepito come luogo per turisti, invece che come luogo per i cittadini: io sono convinto invece che il museo sia un luogo che debba attirare anzitutto i cittadini. Qual è il rapporto che i napoletani hanno con il museo?
Per quanto riguarda il rapporto tra i napoletani e il loro museo, posso dire che noi abbiamo una didattica molto attiva, e ogni settimana, quasi ogni giorno, sono accolti a Capodimonte scuole, gruppi e visitatori che provengono dalla città. E poi ci sono iniziative per i giovani. C’è un grande senso di comunione tra il museo, il bosco e il pubblico napoletano. Non credo che i napoletani che vengono a Capodimonte vedano il museo come un luogo di turisti: questo concetto non vale per il nostro museo. Parlando invece in generale, se il museo è percepito come un’attrazione turistica, credo sia colpa anche delle persone. Non è giusto dire che le istituzioni sono responsabili del nostro comportamento. Noi comunque facciamo un lavoro importante per essere a disposizione dei napoletani. Ci sono tanti napoletani che vengono a Capodimonte ma ce ne sono tanti che non conoscono il museo, che non ci sono mai andati.

Parliamo di mostre, in particolare di quella su Vermeer. Come conciliare un nome di forte richiamo, anche commerciale, e gli scarsi legami con Napoli, con le necessità culturali?

Se dobbiamo parlare di legami con Napoli posso dire che il Museo di Capodimonte ha una grande collezione, la Collezione Farnese, che non ha niente a che vedere con la storia della città, in quanto arrivata come dono dinastico slegato dal territorio. Capodimonte è un museo aperto al mondo e alla curiosità generale. Il dipinto oggetto della mostra arriva dal Metropolitan e non è mai stato in Italia. Vermeer in Italia è un pittore rarissimo, e fare arrivare un pittore sicuramente non legato alla città è proprio l’interesse di questa mostra, che ha l’obiettivo di far vedere qualcosa di nuovo. Per quanto riguarda le polemiche per i disegni di Michelangelo inviati al Metropolitan, io penso che il mondo e l’umanità siano più larghi e più generosi rispetto a queste vedute. Quando noi inviamo a New York due disegni di Michelangelo non è solo per sottolineare l’assoluta qualità della collezione di Capodimonte, ma è anche per contribuire a un evento di altissima qualità, una mostra molto intelligente che porterà molte informazioni nuove sull’opera di Michelangelo. Il fine è quello di avere un mondo migliore, più aperto, più colto, più curioso e con più rispetto delle altre culture.


Per chiudere: quali sono le tre principali sfide che il museo affronterà nel prossimo futuro?

La prima è riuscire a organizzare in modo coerente un insieme complicato, enorme, composto da un bosco di centoquaranta ettari, che è stato mal curato per vent’anni, diciassette edifici (ognuno con problemi diversi), una reggia che ha bisogno di essere restaurata, una collezione che ha bisogno di essere reinterpretata e ripresentata a un mondo contemporaneo più organizzato. La seconda consiste nel fare di questa collezione un museo vero: un luogo di comunicazione, d’incontro, di esperienza, un luogo di normale socializzazione. E poi Capodimonte dovrebbe essere aperto a tutte le altre forme d’arte, non solo alle arti visive, ma anche alla musica, per esempio. La terza, e la più grande, è fare di Capodimonte (sia per Napoli, sia per il mondo intero) un luogo dove si capisca qual è l’importanza di un museo per un essere umano che vive nel mondo contemporaneo.

ART E DOSSIER N. 338
ART E DOSSIER N. 338
DICEMBRE 2016
In questo numero: PHILIPPE DAVERIO: la volta che mostrai a Warhol il Cenacolo di Leonardo. AI WEIWEI: l'intervista. IN MOSTRA Dietro la tenda a Düsseldorf, Miniature a Venezia, Rubens a Milano, Tancredi a Venezia, Warhol a Genova, Lindbergh a Rotterdam, Bob Wilson a Varese.Direttore: Philippe Daverio