Studi e riscoperte. 2
Marietta Robusti detta la Tintoretta

UN TALENTO
SACRIFICATO

Ha ereditato dal padre la passione per la pittura ma è stata dallo stesso soggiogata. Triste il destino di Marietta Robusti, figlia di Tintoretto, morta poco più che trentenne, con una vocazione stroncata sul nascere, espressa in particolare nei ritratti.

Marilena Mosco

Che “l’amour de l’art” si erediti è un dato avvalorato dalla discreta presenza di figlie d’arte come Lavinia Fontana, figlia del pittore Prospero, ed Elisabetta Sirani, figlia dell’incisore Giovani Andrea, che si sono distinte in un mondo riservato tradizionalmente all’uomo. La più famosa è Artemisia Gentileschi, figlia del pittore Orazio, alla quale Marietta Robusti, detta la Tintoretta, figlia di Jacopo, può accomunarsi per la presenza di un padre geloso e possessivo. Gentileschi fu difensore dell’onorabilità ingiustamente offesa della figlia (stuprata nella propria casa da un amico del padre), Tintoretto si trovò a essere controllore delle scelte di vita di Marietta, compromettendone e stroncandone la carriera artistica. Se la Gentileschi è stata rivalutata negli anni Settanta soprattutto per il coraggio mostrato durante e dopo il processo per stupro, la Tintoretta non vanta oggi la celebrità che riscosse invece nell’Ottocento, quando il mito della bella pittrice morta prematuramente ispirò una serie di romanzi e drammi riscoperti nel libro di Melania Mazzucco Jacomo Tintoretto e i suoi figli (2009). Sappiamo dalla Vita di Giacomo Tintoretto, scritta da Carlo Ridolfi nel 1648, che il pittore ormai vecchio non si rassegnò mai alla perdita della figlia e la pianse come «parte delle viscere sue», tanto da cadere in una profonda malinconia che gli fece abbandonare la bottega. Marietta era la figlia prediletta, nata nel 1554 da una relazione con una donna tedesca. Morta questa, la bimba fu accolta nella casa dei Tintoretto e avviata alla pittura dal padre; nella Vita di Marietta Tintoretta (1648), Ridolfi scrive che «di vivace ingegno come il padre suo essendo piccioletta vestiva da fanciullo e conducevela seco il padre dovunque andava, onde era da tutti tenuta per maschio».

Tintoretto non si rassegnò mai alla perdita della figlia e la pianse come «parte delle viscere sue»


Marietta adolescente imparò a suonare il liuto, il clavicembalo e a cantare, ma era dotata soprattutto nel fare ritratti, e un ritratto del nonno Marco Episcopi con il figlio Pietro, citato dal Ridolfi, ha indotto ad attribuirle nel 1934 (1) il Ritratto di vecchio e giovane (Vienna, Kunsthistorisches Museum) recante sulla tela il monogramma «MR 65», letto come sigla di Marietta Robusti, restituito in seguito alla mano del padre. Sicura è l’autografia dell’Autoritratto di Marietta (Firenze, Uffizi), del quale il fiorentino Raffaele Borghini scriveva nella lettera di accompagnamento: «Noi lo teniamo per vero e reale sì nella sua effigie come di sua mano e quando anche fosse che il padre li avesse dato qualche pennellata sarebbe stato poner il zucchero sopra la torta». Marietta, diciassettenne, desidera dare una immagine di sé come artista colta, amante della musica e del canto; nel Ritratto di donna (Marietta Robusti) eseguito dal padre (Budapest, Szépmuvészeti Múzeum), ritroviamo lo stesso volto più maturo, con un’espressione triste, malinconica, forse allusiva alla sua delusione per il matrimonio combinato dal padre. Un altro Autoritratto (Roma, Galleria Borghese) la mostra non più frontale ma di tre quarti, ormai donna rispetto all’Autoritratto degli Uffizi, ma con gli stessi lineamenti, compresa la fossetta sul mento. Vi è qui l’abito con lo stesso corpetto velato secondo la moda del tempo, e uno sguardo simile, inteso a creare un dialogo con lo spettatore(2).


Tintoretto, Autoritratto (1588 circa), Parigi, Musée du Louvre.

Significativi questi autoritratti che fanno pensare a una donna rinchiusa in se stessa, costretta al matrimonio dal padre desideroso di trattenere la figlia a Venezia, declinando l’invito avanzato dall’imperatore Massimiliano II, dall’arciduca Ferdinando d’Asburgo e dal re di Spagna Filippo II, di inviare presso le rispettive corti la figlia Marietta, la cui fama di valente ritrattista era diffusa anche all’estero. La decisione fu dovuta al morboso attaccamento del padre che, come scrive Ridolfi, «preferì vedersela sempre appresso amandola teneramente piuttosto che rimanere privo, benché favorita dai principi». Marietta morì prima del padre nel 1590, a trentasei anni, e la vicenda, allusiva soprattutto all’incompiutezza della vita e della carriera, fu alimentata di riflesso in Francia dalla fortuna che riscosse l’Autoritratto di Tintoretto al Louvre. Prima a immortalarla fu George Sand che scrisse un libro, Les Maîtres Mosaïstes, su un amore, caldeggiato dal padre, tra Marietta e il mosaicista Valerio; in seguito grande successo riscosse nel Salon del 1843 il quadro di Léon Cogniet Tintoretto ritrae sua figlia morta (Bordeaux, Musée des Beaux-Arts) sul tema tipicamente romantico della morte in giovane età.


Marietta Robusti detta la Tintoretta, Autoritratto (1572 circa), Firenze, Galleria degli Uffizi.


Tintoretto, Ritratto di donna (Marietta Robusti) (1580), Budapest, Szépmu˝ vészeti Múzeum.

La fama di valente ritrattista era diffusa anche all’estero


Il quadro di Cogniet, diffuso attraverso le stampe, ispirò un dramma in tre atti, Tintoretto e sua figlia, rappresentato al teatro Carcano di Milano il 7 marzo 1845, mentre un altro dramma fu presentato al théâtre de l’Ambigu-Comique di Parigi, nel 1859, da Ferdinand Dugué, che vedeva Marietta vittima delle mire di Pietro Aretino, avvelenata da un giglio profumato, morta in apparenza e poi risvegliatasi come Giulietta e destinata a morire in giovane età. La morte della figlia di Tintoretto è il titolo di un dipinto (Milano, Galleria d’arte moderna), che nel 1861 fece la fortuna, grazie alle numerose riproduzioni e stampe, del pittore risorgimentale Eleuterio Pagliano. Questa ricca letteratura ottocentesca che fa di Marietta Tintoretto un personaggio romanzesco, alla Margherita Gautier, è significativa di un inconscio bisogno di riabilitare la figura del padre pronto a caldeggiare le scelte di amore della figlia (peraltro completamente inventate), ben lontane dalla realtà storica. Se la Tintoretta artista è ancora in ombra, e ha suscitato proposte attributive incerte, come un Autoritratto al Prado che la vede in veste di cortigiana(3) o un Ritratto di donna (Pordenone, Museo civico)(4), con un taglio e un abbigliamento non veneziano, rimane la sua figura di donna a farci riflettere sul destino di figlia subordinata al padre, e sulla permanenza ieri come oggi dell’atavico senso del possesso nei riguardi della donna, la quale ancora in molte società deve soggiacere ai voleri di un padre, di un fratello, di un marito o di un amante, pronti a dettare per lei le regole di vita.

(1) E. Tietze-Conrat, Marietta, fille du Tintoret peintre de portraits, in “Gazette des Beaux-Arts”, 1934.

(2) Citato nel catalogo di P. Della Pergola, Galleria Borghese: i dipinti, Roma 1955, come Autoritratto, ma secondo M. Mazzucco, in La lunga attesa dell’angelo, Milano 2008, la presenza di una borsetta aperta per raccogliere il denaro e un fiore rosso tra i due seni allusivi a rapporti mercenari lascerebbero dubbi sull’autoraffigurazione da parte dell’onesta Marietta.

(3) Riprodotto nel libro di M. Mazzucco, op. cit., p. 452.

(4) Identificato da M. Mazzucco, op. cit., p. 274, come opera della Tintoretta, Ritratto di Porzia Ricchieri, gentildonna di casa Ricchieri (la dimora di famiglia è ora sede del Museo civico), a Pordenone, dove operò il marito della Tintoretta.

ART E DOSSIER N. 338
ART E DOSSIER N. 338
DICEMBRE 2016
In questo numero: PHILIPPE DAVERIO: la volta che mostrai a Warhol il Cenacolo di Leonardo. AI WEIWEI: l'intervista. IN MOSTRA Dietro la tenda a Düsseldorf, Miniature a Venezia, Rubens a Milano, Tancredi a Venezia, Warhol a Genova, Lindbergh a Rotterdam, Bob Wilson a Varese.Direttore: Philippe Daverio