La pagina nera

QUEL DISEGNO È MIO,
E ME LO RIPIGLIO IO

Vicenza, dove si svolge la mostra che si interroga su quale fosse l’aspetto di Andrea Palladio, è teatro di un altro enigma di difficile soluzione. La Pinacoteca civica, scaduto il contratto di comodato, ha tolto l’affidamento di una trentina di disegni di Palladio (gli unici conservati in Italia) al Centro internazionale di studi dedicati all’architetto veneto. Perché mai se il centro, a differenza della pinacoteca, ha risorse e mezzi per prendersene cura?

di Fabio Isman

Si chiamava “della Gondola”, ma noi lo conosciamo come Palladio: Andrea è stato un “archistar” ante litteram; per qualcuno, «il più importante costruttore mai prodotto dal mondo occidentale»; per altri, «il più imitato nella storia», perché il suo stile impronta molta parte dell’architettura vittoriana inglese, o degli Stati Uniti, e un’eco giunge perfino in Russia.

Eppure, al contrario per esempio di Giuliano da Sangallo effigiato da Piero di Cosimo, di Jacopo Sansovino eternato da Tintoretto con il suo compasso in mano, di Vincenzo Scamozzi immortalato da Veronese, o di Giulio Romano tramandato da Tiziano mentre ostenta la pianta di un suo edificio, di lui non abbiamo alcun ritratto certo.

Così, dal 3 dicembre 2016 al 4 giugno 2017 a Vicenza, una mostra curata da Guido Beltramini, Palladio. Il mistero del volto, indaga proprio nella direzione di scoprire che aspetto avesse l’architetto veneto. Organizza l’evento il Palladio Museum, emanazione del Cisa, il Centro internazionale di studi dedicato all’artista e fondato nel 1958, capace di raccogliere ogni anno fino a quarantamila visitatori. Il museo ha sede nel palazzo Barbarano, edificato tra il 1570 e il 1575 e l’unico in città compiutamente eseguito da Palladio.

La riapertura, inoltre, di un ulteriore edificio progettato dall’architetto, palazzo Chiericati, sede della Pinacoteca civica dove è stata recuperata, a ottobre, l’ala novecentesca è un indubbio segno della vitalità culturale di una città, Vicenza, che, tra l’altro, possiede anche le collezioni di palazzo Leoni Montanari, già della soppressa Banca cattolica del Veneto, e ormai parte integrante del progetto Gallerie d’Italia del gruppo Banca Intesa.


La Pinacoteca civica ha rivoluto i disegni non per esporli ma per conservarli nei depositi


La Pinacoteca civica ha un recente responsabile scientifico, Giovanni Carlo Federico Villa, conosciuto anche grazie ad alcune mostre importanti. Ma proprio mentre si era appena insediato, in città è scoppiata una piccola “querelle”. I disegni di Palladio sono massimamente a Londra: trecentosessantasette dei quattrocento esistenti, portati nel Seicento in Inghilterra dal celebre architetto Inigo Jones.


Palazzo Chiericati a Vicenza, sede della Pinacoteca civica, dove da ottobre è stata riaperta l’ala novecentesca. Il palazzo, progettato nel 1550 da Palladio, è stato completato alla fine del XVII secolo.

Andrea Palladio, Alzato del tempietto di San Pietro in Montorio detto anche Tempietto del Bramante, da Andrea Palladio, I quattro libri di architettura (1570), Vicenza, Pinacoteca civica.


Andrea Palladio, progetto per la controfacciata di San Francesco della Vigna a Venezia (1564), Vicenza, Pinacoteca civica.


Andrea Palladio, Palazzo sull’acqua (senza data), Vicenza, Pinacoteca civica.

Possesso di Silla, il figlio minore di Palladio; o, più probabilmente, di Vincenzo Scamozzi, allievo di Andrea o quantomeno erede dei cantieri in corso alla sua morte (dalla Rotonda, al Teatro olimpico) e delle preziose relazioni con committenti quali Marcantonio Barbaro. Ma Scamozzi aveva un pessimo carattere, e necessità di soldi per pubblicare il proprio trattato: potrei quindi pensare che egli abbia commerciato i disegni palladiani, vendendoli a Jones». A Vicenza ne sono rimasti trentatré. Quando il Cisa - sorto a opera di Comune, Provincia, Accademia olimpica e Camera di Commercio (poi, ai soci si è aggiunta la Regione) - crea nel 2012 il Palladio Museum, i disegni dell’architetto gli sono affidati dalla Pinacoteca civica con un comodato. Era nato l’Archivio della memoria palladiana. Il Cisa ha gli strumenti per custodirli e studiarli; anche quelli di supporto, indispensabili a chi li vuole consultare. Sono stati esposti in alcune mostre, sempre, ovviamente, con il consenso dei loro proprietari.

Adesso, però, qualcosa è cambiato. Alla scadenza della convenzione, quei disegni la Pinacoteca civica li ha rivoluti indietro, con altri seicentonovanta di seguaci palladiani. Non per esporli: i disegni sono fragili e ci sono precisi protocolli riguardo ai tempi in cui possono essere mostrati; ma per conservarli nei depositi. Così, le opere del famoso artista hanno compiuto un trasloco di nemmeno mezzo chilometro, ciascun foglio assicurato per 300mila euro (il doppio del valore di polizza che hanno nel caveau), per sicurezza due viaggi separati, e sotto scorta. Beltramini non vuole parlarne: «Mi scuso, ma non ho proprio tempo; sto compilando il catalogo di quelli inglesi, su richiesta del Royal Institute of British Architects». Però, appare alquanto singolare il fatto di aver sottratto i disegni palladiani a un museo, che oltre a essere un luogo di conservazione, costituisce pure un collaudato istituto di ricerca, dedicato proprio all’architetto che ne è l’autore. 

Chissà se ne sarà contento, ovunque si trovi, lo scrittore dei Quattro libri di architettura, irresistibile veicolo che ne ha diffuso la fama in ogni dove.
E volti fittizi dell’architetto sono apparsi, dal Settecento in poi, in Inghilterra. Secondo un testo del 1762, Palladio era «di statura piuttosto piccola che mezzana, di bella presenza e faccia molto gioviale». Vasari racconta che un suo ritratto lo avrebbe dipinto il veronese Orlando Flacco; ma di esso si sono perdute tutte le tracce. Si sa che un altro ritratto era nella collezione del gioielliere tedesco Hans Jacob König, a sua volta immortalato da Veronese nel 1575: in un inventario di fine Cinquecento, redatto per vendere la collezione ai Borghese, si elencano, fra gli altri, quelli di «Michiel Angelo Bonaroto di Jacopo Tintoretto, di Antonio da Ponte di Jacopo Tintoretto, e Andrea Paladius di Giacomo Tintoretto». Quello di Antonio da Ponte è al Louvre; ma quello di Palladio non è stato finora ritrovato. In compenso, ne esistono alcuni di fantasia: come quello di El Greco, conservato a Copenaghen. Un altro, in marmo, fu commissionato da Canova all’allievo Leandro Biglioschi, nel 1813: è alto mezzo metro, una versione a grandezza naturale del busto colossale già collocato a Roma, al Pantheon, e oggi conservato nella Protomoteca in Campidoglio. Un ulteriore “Palladio”, stavolta anonimo, è nella vicentina villa Valmarana, pure barbuto, come quello del Greco.


Uno lo dobbiamo a Giacomo Leoni, autore della prima traduzione inglese dei Quattro libri palladiani, pubblicata a Londra tra il 1715 e il 1720; il busto inciso è tratto da un’ulteriore incisione accreditata, dallo stesso Leoni, a Veronese, chissà con quanto costrutto. Un altro ancora, di Bernardo Licinio, è nelle Royal Collections a Hampton Court; purtroppo, però, è perfino un falso. Sul parapetto cui l’artista si appoggia, una dicitura in latino afferma che si tratta di «Andrea Palladio architetto, di ventitré anni, 1541»; ma autentica è la riga con il nome dell’autore e successivamente aggiunte, invece, le ultime: palesemente posticce e fasulle. Nel 1741, il quadro era a Venezia, nella collezione del console inglese Joseph Smith, che, diciannove anni dopo, lo vende a re Giorgio III. Il diplomatico promuove anche un’edizione in facsimile dei Quattro libri, ed esiste un’incisione di questo dipinto: forse doveva esserne l’incipit. «Quindi, chissà, la falsificazione potrebbe essere opera di Smith», conclude Beltramini. Vicenza è davvero una terra di misteri: accanto a quello del volto di Palladio, indagato in una mostra, anche quello per cui i suoi disegni sono stati fatti, abbastanza incredibilmente, traslocare di poche centinaia di metri (qualcuno chiama l’operazione «torna a casa Andrea»), per essere poi rinchiusi in un deposito, o in un magazzino.

ART E DOSSIER N. 338
ART E DOSSIER N. 338
DICEMBRE 2016
In questo numero: PHILIPPE DAVERIO: la volta che mostrai a Warhol il Cenacolo di Leonardo. AI WEIWEI: l'intervista. IN MOSTRA Dietro la tenda a Düsseldorf, Miniature a Venezia, Rubens a Milano, Tancredi a Venezia, Warhol a Genova, Lindbergh a Rotterdam, Bob Wilson a Varese.Direttore: Philippe Daverio