La bottega di Rubens 


Fiandra Factory

Claudio Pescio

L’età dell’oro della “fabbrica delle arti” è stato il Seicento: l’atelier di Rubens ne è uno degli esempi più significativi

Prima che Otto e Novecento costruissero il mito dell’artista solitario, eroico creatore di pezzi unici scaturiti in purezza dal suo genio incorrotto, la pratica del lavoro collettivo era la norma in tutta Europa. E in realtà lo rimase anche dopo. Nessuno, tra XV e XVIII secolo, pensava che il lavoro di atelier costituisse una diluizione indebita del talento creativo dell’artista. E le opere che in quei secoli sono andate a costituire il catalogo di grandi pittori e scultori - e che insieme hanno definito l’immagine, l’identità del nostro continente - sono frutto del lavoro di eccellenti, ultraspecializzati ingranaggi di complesse macchine produttive. Ingranaggi umani, certo, consapevoli della parzialità del proprio apporto a un risultato collettivo guidato da un regista che sarebbe alla fine risultato l’autore dell’opera così realizzata. Professionisti pronti e capaci, in molti casi, di mettere a frutto quanto imparato in atelier per divenire a loro volta impresari in proprio.

L’età d’oro della “fabbrica delle arti” è stato il Seicento, con la sua enorme spinta produttiva determinata dall’allargarsi del mercato. E questo sistema era tanto più in uso quanto più le imprese decorative si facevano grandiose, come nel caso dei cicli di arazzi o di grandi tavole celebrative di eventi storici o di soggetto sacro. O nel caso in cui si rendessero necessarie copie per andare incontro a richieste crescenti.

Uno dei luoghi esemplari del sistema produttivo che abbiamo appena delineato era l’atelier Rubens, con sede in Anversa, attivo grosso modo fra il 1608 (anno del rientro dell’artista in Fiandra da Roma) e il 1640, anno della morte del pittore. Ora, Pieter Paul Rubens - il più “italiano” fra gli artisti nordici - aveva molti impegni: era il prototipo dell’artista-cortigiano, padrone di sei lingue e di una squisita cultura classica, frequentatore dei salotti e delle curie che contavano, di casa alla corte di Spagna come in quella di Mantova, spesso in viaggio perché impegnato in missioni di diplomazia internazionale per conto dei reggenti d’Asburgo nelle Fiandre. Difficile quindi che possa aver eseguito di persona e da solo i circa millecinquecento fra disegni e dipinti che gli sono stati attribuiti.

Ne è l’autore nel senso in cui era lui a definire i progetti con appositi bozzetti; a fornire il repertorio di studi di “tipi”, soggetti, posture o espressioni riutilizzabili da inserire nelle composizioni, a seconda delle necessità, da parte dei collaboratori; a dipingere le parti più significative o delicate, quelle che dovevano garantire il marchio di fabbrica rubensiano; lui che stabiliva i prezzi di vendita in base anche al tasso di “autografia” (più evidente, agli occhi dei conoscitori del tempo come dei suoi studiosi odierni, nelle opere di piccole dimensioni); era infine lui a licenziare come opera propria quanto usciva dall’atelier. Nacquero così le principali opere del periodo anversano, le grandi tavole per le chiese cittadine degli anni 1610-1615, gli arazzi con le Storie di Decio Mure (1617), le ventuno grandi tele per una delle gallerie di Maria de’ Medici per il palazzo del Luxembourg (1622- 1625, oggi al Louvre): solo pochi esempi di un elenco sterminato, giustificato dall’essere, quell’atelier, sulla linea del fronte di un cattolicesimo che schierava le proprie armate di produttori di immagini contro la foga iconoclasta della fazione protestante. Una standardizzazione della produzione che garantiva il risultato quantitativo ma che raramente scendeva al di sotto del livello qualitativo altissimo che gli veniva universalmente riconosciuto e che costituisce ancora oggi un frequentato banco di prova per legioni di agguerriti attribuzionisti alla ricerca della mano del pittore.

ART E DOSSIER N. 338
ART E DOSSIER N. 338
DICEMBRE 2016
In questo numero: PHILIPPE DAVERIO: la volta che mostrai a Warhol il Cenacolo di Leonardo. AI WEIWEI: l'intervista. IN MOSTRA Dietro la tenda a Düsseldorf, Miniature a Venezia, Rubens a Milano, Tancredi a Venezia, Warhol a Genova, Lindbergh a Rotterdam, Bob Wilson a Varese.Direttore: Philippe Daverio