Prima che Otto e Novecento costruissero il mito dell’artista solitario, eroico creatore di pezzi unici scaturiti in purezza dal suo genio incorrotto, la pratica del lavoro collettivo era la norma in tutta Europa. E in realtà lo rimase anche dopo. Nessuno, tra XV e XVIII secolo, pensava che il lavoro di atelier costituisse una diluizione indebita del talento creativo dell’artista. E le opere che in quei secoli sono andate a costituire il catalogo di grandi pittori e scultori - e che insieme hanno definito l’immagine, l’identità del nostro continente - sono frutto del lavoro di eccellenti, ultraspecializzati ingranaggi di complesse macchine produttive. Ingranaggi umani, certo, consapevoli della parzialità del proprio apporto a un risultato collettivo guidato da un regista che sarebbe alla fine risultato l’autore dell’opera così realizzata. Professionisti pronti e capaci, in molti casi, di mettere a frutto quanto imparato in atelier per divenire a loro volta impresari in proprio.
L’età d’oro della “fabbrica delle arti” è stato il Seicento, con la sua enorme spinta produttiva determinata dall’allargarsi del mercato. E questo sistema era tanto più in uso quanto più le imprese decorative si facevano grandiose, come nel caso dei cicli di arazzi o di grandi tavole celebrative di eventi storici o di soggetto sacro. O nel caso in cui si rendessero necessarie copie per andare incontro a richieste crescenti.
Uno dei luoghi esemplari del sistema produttivo che abbiamo appena delineato era l’atelier Rubens, con sede in Anversa, attivo grosso modo fra il 1608 (anno del rientro dell’artista in Fiandra da Roma) e il 1640, anno della morte del pittore. Ora, Pieter Paul Rubens - il più “italiano” fra gli artisti nordici - aveva molti impegni: era il prototipo dell’artista-cortigiano, padrone di sei lingue e di una squisita cultura classica, frequentatore dei salotti e delle curie che contavano, di casa alla corte di Spagna come in quella di Mantova, spesso in viaggio perché impegnato in missioni di diplomazia internazionale per conto dei reggenti d’Asburgo nelle Fiandre. Difficile quindi che possa aver eseguito di persona e da solo i circa millecinquecento fra disegni e dipinti che gli sono stati attribuiti.