Grandi mostre. 2
Peter Lindbergh a Rotterdam

STORIE
IN BIANCO E NERO

Ha iniziato con la pittura ma Lindbergh esprime al meglio la sua creatività nella fotografia. Quella di moda, anche se il suo approccio allo scatto, lontano da stereotipi fashion, esalta la figura umana così com’è, con le sue “imperfezioni”, nella bellezza dei volti attraversati dal tempo. Alla Kunsthal la prima grande rassegna dedicata all’artista tedesco.

Paola Testoni de Beaufort

Un fotografo di moda che con il glamour non ha niente a che fare: Peter Lindbergh porta la sua visione umanistica e sofisticata all’interno di un mondo che della perfezione effimera faceva da sempre il suo “statement” e lo capovolge: totalmente e dall’interno. «La corsa all’effetto zero-difetti e la ricerca di bambole sempre più giovani e magre non mi hanno mai entusiasmato». Nelle sue foto, in bianco e nero, intimistiche e ricche di citazioni culturali, a parlare sono solamente il viso e i tratti della modella: con l’abito quasi dimenticato, tutta l’attenzione viene rivolta alla personalità di chi lo indossa.

Peter Lindbergh, pseudonimo di Peter Brodbeck, nasce nel 1944 a Leszno in Slesia proprio negli anni in cui la regione polacca veniva forzatamente annessa alla Germania del Terzo Reich, e cresce a Duisburg nel bacino minerario della Ruhr, le cui montagne di carbone alte decine di metri alternate alle greggi di pecore bianche restano un punto di riferimento permanente nel suo futuro mestiere. Non a caso è il bianco e nero, più che il colore, lo strumento attraverso cui crea e si esprime, destando nelle sue immagini una certa nostalgia che ricorda la vulnerabilità dell’essere umano. 

Gli elementi della creatività e dell’espressione personale sono concetti importanti e intrecciati intimamente nelle sue opere: «Quando si crea qualcosa - un dipinto, un poema, una fotografia - la creatività viene da un’idea, da una sensazione, da un’emozione o dalla combinazione di queste, tutto rielaborato attraverso le nostre esperienze e prospettive. La creatività è il desiderio di espressione». All’inizio degli anni Sessanta si trasferisce a Lucerna e quindi a Berlino, dove studia all’Accademia di belle arti. È questo il periodo in cui nasce la passione ossessiva per Vincent van Gogh che lo porterà a passare un anno ad Arles sulle tracce del pittore, dirà poi: «Preferivo cercare attivamente le fonti di ispirazione del mio idolo piuttosto che dipingere ritratti e paesaggi imposti dalle scuole d’arte». Dal Sud della Francia passerà quindi in Spagna e infine in Marocco, in un viaggio-scoperta che lo terrà impegnato per due anni. Ritornato in Germania, Lindbergh studia arte astratta al College of Art di Krefeld, influenzato da Joseph Kosuth e dal movimento dell’Arte concettuale, e sarà poi invitato, nel 1969, ancor prima di ottenere il diploma, a esibire i suoi lavori nella galleria di avanguardia di Denise René a Parigi.


Michaela Bercu, Linda Evangelista e Kirsten Owen, a Nancy, fotografate per la campagna pubblicitaria Comme des Garçons, primavera-estate 1988.

Ma è un momento di crisi personale: «Capisco i ragazzi di oggi, anch’io allora non riuscivo a trovare il senso delle cose, la mia passione per la fotografia viene da un momento di smarrimento, forse di disperazione». È convinto infatti che la sua strada sia la pittura: la sua espressione artistica è lineare, molto legata all’Arte concettuale, con un gusto spiccato per la grafica geometrica, poi, quando scopre il computer, comincia a usarlo come strumento per i suoi disegni, riproducendo sequenze di numeri all’infinito. Concepisce decine di test psicologici con l’idea che il visitatore possa sperimentare su di sé il contenuto di un’opera d’arte, interrogandosi sul proprio io, ma quando il fratello psichiatra boccia i suoi test, Lindbergh decide di mollare tutto e passa quasi casualmente alla fotografia. Ha ormai ventinove anni quando un amico gli fa sapere che uno studio sta cercando un assistente: «Se il suo panettiere avesse cercato un garzone, adesso sarei lì a sfornare pagnotte. Il mio capo era negato per la fotografia, superarlo non è stato difficile, in breve tempo mi sono messo in proprio». E infatti nel 1973, dopo essere stato per due anni assistente di Hans Lux, apre il proprio studio a Düsseldorf e si unisce al gruppo di fotografi legati alla rivista “Stern” che annoverava nomi come Helmut Newton, Guy Bourdin e Hans Feurer.


Fotografo quindi, ma non ancora di moda. Quando le sue prime foto atterrano sulla scrivania dell’allora direttore di “Vogue America”, Alexander Lieberman, alcune finiscono pubblicate piccolissime nelle ultime pagine della rivista e il resto finisce in un cassetto, dove, qualche tempo dopo, verranno recuperate da Anna Wintour, nuova direttrice della celebre rivista, che capisce l’enorme potenziale di quegli scatti. Fotografie in bianco e nero dove l’abito sembra quasi dimenticato, ricche di echi di quel bagaglio artistico che Lindbergh porta con sé dai suoi esordi di pittore negli anni Sessanta: la nuova fotografia di moda è nata. Fedele nel tempo al proprio registro stilistico, Lindbergh crea immagini immediatamente riconoscibili perché esprimono innanzitutto attenzione partecipe alla figura umana. Nei suoi scatti traspare soprattutto l’abilità del fotografo che restituisce ai visi una profonda sensibilità anche quando comincia a ritrarre le celebrità del mondo della musica e del cinema come Geraldine Chaplin, Catherine Deneuve, Aretha Franklin, Madonna, Jeanne Moreau, Charlotte Rampling o Isabella Rossellini. Peter Lindbergh giunge al successo proprio grazie a questo stile assolutamente innovativo e in controtendenza rispetto alle mode della fine degli anni Settanta.

Nessuna scenografia esotica o lussuosa, ma ambientazioni normali che diventano gli scenari di una vita quotidiana per una donna impegnata in cose consuete; tutto l’interesse va al volto che, da solo, è capace di raccontare una storia: ben vengano allora i segni lasciati dal tempo che Lindbergh rifiuta di nascondere: «Nella foto di moda quello che conta è la donna, con la sua personalità. Non riescono a capire che il vestito non è fondamentale. Togliere, con ridicoli ritocchi, tutto quello che c’è di umano in una foto non aiuta l’estetica». L’evoluzione avviene alla fine degli anni Ottanta, momento in cui Lindbergh raggiunge la fama internazionale mostrando una nuova generazione di modelle per la leggendaria copertina dell’edizione inglese di “Vogue”, che spiegherà poi così alla storica dell’arte Charlotte Cotton: «Usare la fotografia in bianco e nero è stato davvero importante per questa creazione. Ogni volta che ho provato a usare il colore il risultato era la brutta copia di una pubblicità di cosmetici. Quello che colpisce del bianco e nero, è che aiuta davvero ad aggiungere il senso della realtà». È il momento in cui Lindbergh introduce la narrativa nella foto di moda, è il primo a raccontare storie nei propri servizi: immagini senza tempo influenzate da documentaristi, fotografi di strada e fotoreporter come Dorothea Lange, Henri Cartier-Bresson e Garry Winogrand. Così gli standard della fotografia di moda cambiano drasticamente: rendere una persona interessante, al di là dell’età, secondo Lindbergh «dovrebbe essere responsabilità dei fotografi di oggi: liberare le donne, e infine tutti, dal terrore della gioventù e della perfezione».

I lavori di Lindbergh fanno parte di molte collezioni prestigiose come quelle del Victoria and Albert Museum di Londra e del Metropolitan Museum of Art di New York, e sono apparse in numerose mostre come quella presso il Centre Georges Pompidou di Parigi: oggi è la volta della Kunsthal di Rotterdam che presenta Peter Lindbergh. A Different Vision on Fashion Photography: la prima grande retrospettiva dedicata al fotografo tedesco, a cui seguirà poi un tour mondiale. La mostra presenta le foto più iconiche di Lindbergh alternate ad abiti di haute couture e commentate da venticinque fashion designer tra cui Azzedine Alaïa, Jean-Paul Gaultier e Giorgio Armani con i quali Lindbergh lavora da oltre trent’anni. Queste duecentocinquanta immagini, alcune pubblicate su riviste, ma la maggior parte mai mostrate al grande pubblico, non solo raccontano la storia della fotografia di moda ma anche la grande influenza dell’estetica di Lindbergh sull’arte minimalista e postmodernista.

Peter Lindbergh.
A Different Vision on Fashion Photography

a cura di Thierry-Maxime Loriot
Rotterdam, Kunsthal, Museumpark, Westzeedijk 341
fino al 12 febbraio 2017
orario 10-17, domenica 11-17
catalogo Taschen
www.kunsthal.nl

ART E DOSSIER N. 338
ART E DOSSIER N. 338
DICEMBRE 2016
In questo numero: PHILIPPE DAVERIO: la volta che mostrai a Warhol il Cenacolo di Leonardo. AI WEIWEI: l'intervista. IN MOSTRA Dietro la tenda a Düsseldorf, Miniature a Venezia, Rubens a Milano, Tancredi a Venezia, Warhol a Genova, Lindbergh a Rotterdam, Bob Wilson a Varese.Direttore: Philippe Daverio