L’uLtimo WarhoL.
teschi, omaggi, “camoufLages”

Esiste davvero un “ultimo” Warhol? O l’attività più tarda, dopo gli exploit pop, le serie serigrafiche, i film underground, le installazioni con i palloncini in forma di cuscino riempiti di elio e i chiassosi spettacoli multimediali sul tipo dell’Exploding Plastic Inevitable, non ha più molto da dire sotto profili strettamente creativi?

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arhol non innova sul piano delle “logiche” poetiche che sorreggono pittura e scultura - qui resta ampiamente debitore di Duchamp, Johns o Rauschenberg, come abbiamo visto. Innova però sul piano della messa in scena e del “consumo” dell’opera d’arte, incoraggiando attitudini completamente diverse dalla silenziosa meditazione del conoscitore, attitudini ludiche e collettive. Sembra dunque improbabile cercare motivi di novità nell’ultimo decennio, quando la folla attorno all’artista si dirada.

Eppure sì: esiste un ultimo Warhol, che si muove in controtendenza rispetto a quanto di lui già conosciamo. È caratterizzato dal ritorno al quadro, dagli omaggi ai maestri italiani del Rinascimento, come Botticelli, Leonardo e Raffaello, e infine dall’interesse per alcuni temi della tradizione religiosa sei e ottocentesca, in primo luogo il teschio inteso come “memento mori”. Sembra che un’inedita (a tratti goffa) profondità o una ricerca di silenzio si installino dove prima si erano privilegiati intrattenimento, acclamazione e rumore. Ma non è il caso di trarre affrettate conclusioni devote: l’artista rimane un maestro di ambiguità. Come interpretare le repliche tarde dell’Ultima cena di Leonardo? La tradizione dada-concettuale è costellata da tributi al maestro rinascimentale, anche se dissimulati o mordaci, e Warhol, come già ricordato, ha dedicato alla Gioconda alcune serie serigrafiche datate 1962. Adesso non si tratta però di riprodurre un ritratto, sia pure il più famoso dell’intera storia dell’arte, ma un episodio sacro d’importanza cruciale cui una lunga tradizione di artisti europei, da Derain a De Chirico e Dalí, da Klein a Manzoni, ha fatto più o meno recente riferimento. Quale importanza ha il tema sacro agli occhi di Warhol? Più degli apostoli, dell’architettura o del paesaggio sullo sfondo, la figura del Cristo sembra destare un particolare interesse nell’artista, che le dedica variazioni partecipi.
Tuttavia le repliche warholiane dell’intero affresco, non del singolo volto di Cristo o di alcuni volti isolati, esibiscono loghi aziendali e pubblicità che introducono il più stridente contrasto con il tema eucaristico. 

Le sue immagini oscillano tra commozione e violenza. Qual è il punto di vista di Warhol, se esiste? La domanda è destinata a rimanere senza risposta. L’artista ha imparato da tempo a dissimulare la propria vulnerabilità e a usare l’arte più chiassosa per ammantarsi di silenzio. Maneggiare con cura. Vetro. Grazie, recita il titolo di una delle sue prime serie serigrafiche (1962). Non è possibile ignorare questa sua richiesta. «Non preoccuparti. Non c’è niente in arte che tutti non siano in grado capire». Citato sempre di nuovo a conferma del mito del “grande artista pop”, l’aforisma è tra i più celebri di Warhol. È anche attendibile? A distanza di quasi tre decenni dalla morte, Warhol continua a ingannarci con la promessa di una seducente facilità, promessa che ha dispiegato a piene mani, instancabilmente, con istrionica euforia e inflessibile arrendevolezza, mosso dal desiderio di conquistare platee planetarie e diventare il “blockbuster” che in effetti è diventato. Qui e là, tuttavia, ha punteggiato la propria opera di testimonianze di una diversa consapevolezza. Camouflage, grande tela serigrafica del 1986 dipinta a motivi mimetici sul modello delle uniformi militari, fissa in allegoria il tema della “doppiezza” delle immagini, della loro attitudine all’autoccultamento. Un’opera d’arte, suggerisce Warhol, non è mai quello che appare. È un involucro tattico, sviante e protettivo: una maschera o un “camuffamento” appunto, posto a protezione di un eventuale pudore.


Teschio (1976); New York, DIA Art Foundation.

L’Ultima cena (di Leonardo) (1986); New York, Andy Warhol Foundation for the Visual Arts.


Raffaello I - $ 6,99 (1985); New York, Andy Warhol Foundation for the Visual Arts.

Camouflage (1986); New York, Andy Warhol Foundation for the Visual Arts. Il tema della “doppiezza” dell’immagine è inscritto in profondità nella tradizione Dada e surrealista. Duchamp o Dalí, Ernst e Magritte vi si riferiscono più volte, così come Johns. Le immagini, afferma Duchamp, hanno un tratto “esoterico” che occorre preservare. L’artista vi si nasconde dietro. Picasso non fa parte di questa tradizione. Gioca tuttavia abitualmente con le ombre e “taglia” i contorni delle cose in modo da renderle spesso equivoche o irriconoscibili. Ecco che con la serie dei “camouflages” Warhol reinterpreta il luogo comune dell’“ambiguità” figurativa. Nel conferire ad esso nuova veste, getta una luce retrospettiva su tutta la sua attività.

WARHOL
WARHOL
Michele Dantini
Un dossier dedicato a Andy Warhol (Pittsburgh 1928 - New York 1987), il padrino della Pop Art. In sommario: Introduzione; La tradizione dada-concettuale; Pittura e cinema; Le tribù della Factory e il cinema underground; Artista, produttore, imprenditore; I disegni giovanili a inchiostro e foglia d'oro. Warhol e le primizie dello stile ''camp''; Warhol e l'America. L'arte pop tra ''diario intimo'' e ''sociologia''; Wahrol, Dalì, Rauschenberg; La stampa serigrafica e le sue implicazioni sul piano dello ''stile''; Wahrol, Johns e l'eredità americana di Duchamp; Zuppe, Campbell e celebrità hollywoodiane; La scatola Brillo; L'ultimo Warhol. Teschi, omaggi, ''camouflages''. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.