I dIsegnI gIovanIlI
a InchIostRo e foglIa d’oRo.
WaRhol e le pRImIzIe
dello stIle “camp”

Spesso neghiamo interesse ai disegni giovanili di Warhol, eseguiti a inchiostro e foglia d’oro, assai distanti dagli acrilici o dalle serigrafie pop.

tuttavia è qui, dove la critica più perspicace sceglie oggi di indagare, che si nascondono chiavi di lettura utili per la comprensione dell’intera attività dell’artista. Assai vicini ai modi grafico-lineari di Jean Cocteau (1889-1963) e del più idiosincratico classicismo parigino del periodo “entre-deux-guerres”, le immagini di scarpine fallomorfiche, santi, scimmiette dalla lunga coda, canarini in gabbia ed efebici nudi maschili compongono un repertorio per metà casto, per metà impudico di oggetti d’affezione, emblemi e pulsioni sessuali dichiarate per via metaforica. Con il loro carattere intimo o fantasioso, il racconto libertino o le voluttuose semplificazioni in senso finto-infantile della linea di contorno, i disegni giovanili ci presentano un’immagine di Warhol distante da quella consolidata. Che ne è, nelle esili silhouette a china e nelle sagome riempite con foglia d’oro, del film-maker distaccato e metallico di metà anni Sessanta, la cui leggenda ci è tramandata da così tante fotografie, impassibile dietro la macchina da presa, quasi “uomo-macchina” di tradizione modernista sovietica? O dell’istrione luciferino e scarmigliato, il produttore dei Velvet Underground?

Secondo l’opinione corrente, a partire dal 1960 Warhol avrebbe raffigurato prodotti da supermercato o divi di Hollywood perché desiderava rappresentare la società dei consumi e trasferire sulla tela ciò che vedeva attorno a sé, per strada, al cinema o sui rotocalchi di cui era avido lettore. È questa l’interpretazione più convincente di un artista in costante adattamento? Una maggiore familiarità con i disegni giovanili spinge a dubitare della nostra effettiva conoscenza del divo pop o delle sue motivazioni meno immediate e palesi.


Senza titolo (1957 circa); New York, Andy Warhol Foundation for the Visual Arts.

Jean Cocteau, Maison de santé. Mes anges venez à mon secours (1925).


Paul Klee, Il funambolo (1923); Berna, Zentrum Paul Klee.

Non pochi disegni realizzati negli anni che vanno dal 1955 alla fine del decennio mostrano tratti affettuosi e ludicamente liturgici. Sembrano immagini concepite a uso di un’ironica devozione privata. È possibile, come si afferma sospettosamente, che al tempo Warhol giochi a fare l’artista con gli editor di riviste patinate e i pubblicitari con cui è quotidianamente in contatto e a cui mostra le proprie prove artistiche. Tuttavia recita la parte del dilettante con mirabile autorità. Il tratto è lieve e accompagnato, carezzevole. La foglia d’oro conferisce pregio e rarità. L’aggiunta di finiture lustre e sbalzate, infine, può richiamare gli ex voto della fede popolare e le iconostasi delle chiese di rito ortodosso: circostanza questa non irrilevante, posto che Warhol, come i biografi hanno accertato dopo la sua morte, ha aderito alla fede uniate della madre, cioè al cattolicesimo di rito bizantino, ed è rimasto credente sino al termine, assicurando regolari offerte alla sua chiesa. Alcune brevi annotazioni sulle tecniche utilizzate ci riconducono a procedimenti in auge in Europa (o meglio in Germania) nel periodo tra le due guerre, e danno vigore alla tesi di chi riconosce in Warhol un artista colto e riflessivo, del tutto diverso dallo «stupido illetterato capace solo di pensare “yeah” o “super”» in cui lui stesso si è in seguito voluto identificare (la citazione è da Michel Nuridsany, biografo dell’artista). Per prima cosa Warhol ricalca un modello, perlopiù una fotografia, su foglio di carta non assorbente.


Senza titolo (1956 circa); New York, Andy Warhol Foundation for the Visual Arts.

Poi ripassa il disegno con l’inchiostro a china, e lo imprime su foglio di carta assorbente. Ottiene così un calco caratterizzato da un tratto granulare e discontinuo. Ripete più volte il processo di copia, imitando artigianalmente il processo lito- o tipografico. Sovrappone ogni volta una nuova linea di contorno al disegno già tracciato in precedenza. Il disegno finale è così l’esito di molteplici ricalchi sullo stesso foglio, e l’effetto complessivo è di attraente irregolarità. La casualità ha una parte importante nell’intero processo, e le composizioni con disegni ricalcati a olio che Klee realizza negli anni del Bauhaus sembrano costituire un precedente indiscutibile. Anch’esse, al pari del “libro di emblemi” illuminato da Warhol, sono caratterizzate da libertà fantastica e tratto sapientemente sporco. Reinventano inoltre la tradizione dei bestiari medievali. Davvero crediamo di poter paragonare Warhol a uno sprovveduto autodidatta?

Non è semplice conciliare l’artigianato sacro dei capricciosi “ex voto” giovanili di Warhol, ciascuno eseguito in modo meticolosamente individuale, con le immagini del periodo pop. Vale tuttavia la pena di avvicinare gli estremi: mostreremo così che il rapporto di Warhol con le piccole ossessioni personali non viene mai meno e faremo giustizia di alcuni luoghi comuni eccezionalmente resistenti o longevi. Consideriamo una scarpetta tra le tante disegnate da Warhol tra 1955 e 1956. Il tema recondito ci è chiarito, oltreché dalla facile associazione tra feticismo del piede e desiderio erotico, dalle curiose forme di fallo che le scarpette esibiscono maliziosamente. Ma non è la metafora visiva che ci interessa adesso in modo prioritario. Impertinenze ben maggiori sono commesse dallo stile, che, se considerato da punti di vista geometricoastratti o astratto-espressionisti, appare involuto, iperdecorativo e “rétro” - per meglio dire “camp”, per attingere alla fortunata categoria del gusto ibrido e bizzarro introdotta da Susan Sontag (1933-2004) in un saggio del 1964. Non potremmo immaginare niente di più distante delle scarpette di Warhol dalla dura monumentalità dei quadri di un Barnett Newman (1905-1970) o di un Mark Rothko (1903-1970), ed è difficile negare che la scarpetta abbia sottili intenti polemici. Temi artistici, culturali e di gender si intrecciano intimamente nell’esile silhouette: l’intransigenza dei pittori della Scuola di New York, ferocemente eterosessuali, sembra atterrire Warhol e spingerlo al tempo stesso a immaginare vie individuali.
Tra le figure evocate dai disegni non mancano angeli annuncianti e perfino una Natività. Maria tiene in grembo il Bambino, la capanna ha semplici pareti di giunco intrecciato e in alto, in cielo, un minuscolo angioletto indica la via a magi e pastori. L’intera scena poggia singolarmente su una mano aperta, da cui sembra uscire. Warhol si propone forse di raffigurare la fede come una sorta di gioiello da tenere nascosto, un tesoro portatile da chiudere nella mano? O si riferisce piuttosto all’episodio evangelico come a un’allegoria del processo creativo, non meno enigmatico della nascita del divino? Non lo sappiamo con precisione, anche se la presenza della mano stabilisce precise analogie tra disegno e Natività e la stella cometa è adottata già da Duchamp come propria insegna nel ritratto fotografico Tonsure (1921). Warhol stabilisce un rapporto pressoché magico con i propri emblemi, che introduce a mo’ di amuleti.

WARHOL
WARHOL
Michele Dantini
Un dossier dedicato a Andy Warhol (Pittsburgh 1928 - New York 1987), il padrino della Pop Art. In sommario: Introduzione; La tradizione dada-concettuale; Pittura e cinema; Le tribù della Factory e il cinema underground; Artista, produttore, imprenditore; I disegni giovanili a inchiostro e foglia d'oro. Warhol e le primizie dello stile ''camp''; Warhol e l'America. L'arte pop tra ''diario intimo'' e ''sociologia''; Wahrol, Dalì, Rauschenberg; La stampa serigrafica e le sue implicazioni sul piano dello ''stile''; Wahrol, Johns e l'eredità americana di Duchamp; Zuppe, Campbell e celebrità hollywoodiane; La scatola Brillo; L'ultimo Warhol. Teschi, omaggi, ''camouflages''. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.