CATALOGHI E LIBRI

OTTOBRE 2016

IN PRINCIPIO SARÀ IL SOLE

Almeno dal 1997, quando pubblicò il suo studio su Lorenzo Lotto “alchemico”, Mauro Zanchi si occupa, fra le altre cose, del più enigmatico pittore veneziano del Cinquecento, genio inquieto e giramondo, come spesso viene definito, sulla cui figura umana e sulla cui opera artistica resta difficile scrivere, più ancora, se lecito, che per altri grandi maestri suoi contemporanei, la parola fine (nel senso di fine delle ricerche, o d’interpretazione “definitiva”, come si usa dire). Lo studioso bergamasco da tempo si occupa d’iconologia in relazione all’arte veneta del Cinquecento, e non solo per quanto riguarda le figurazioni affascinanti e dense di significati simbolici di Lorenzo Lotto (ricordiamo le sue dotte interpretazioni su alcune “figure” di Palma il Vecchio o Tiziano). In questa sua ultima fatica, dotata di una completa documentazione iconografica, Zanchi analizza, con dovizia di rimandi e interpretazioni senza precedenti, le celebri tarsie lignee nel coro della basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo, senza dubbio, come lui stesso lo definisce, «uno dei più seducenti percorsi iniziatici del Cinquecento »: davvero un «coro della memoria», giacché Lotto ricorse in questo ambiente sacro a un’infinità di riferimenti, tutti collegati fra loro da una serie intricatissima (per noi moderni) di simbologie astrologiche e filosofiche, in gran parte legate ai concetti neoplatonici dell’armonia celeste. Impossibile anche semplicemente sintetizzare il senso della ricerca, così documentata, dell’autore, che peraltro avverte come già nel Cinquecento, per ben interpretare il simbolico percorso di queste immagini, il fruitore di tanto spettacolo dovesse possedere, oltre che una cultura filosofica adeguata, una «grande prontezza di spirito e agilità di pensiero ». Pagina per pagina, Zanchi srotola il bandolo della matassa della ricca messe di figure disegnate da Lotto per queste tarsie: insegnamenti morali, imprese simboliche, enigmi un po’ meno enigmatici, finalmente.

Mauro Zanchi Giunti, Firenze-Milano 2016 160 pp., 50 ill. colore € 35

LA SCULTURA LIGNEA.
TECNICHE E RESTAURO

Con consolidata esperienza, umiltà e spirito didattico Francesca Tonini ha creato un manuale per allievi restauratori, l’unico finora esistente relativamente alla scultura lignea, che sarà, in primo luogo, strumento fondamentale per chi si avvicina a questo affascinante mestiere. Sbaglia però chi pensa che un libro così ricco e al contempo di agile formato possa servire solo a tecnici e studenti. Impostato in undici capitoli, non è solo un manuale, arricchito di glossario, su materiali e tecniche esecutive, metodi di conservazione e interventi di restauro. Possono trarne infinite notizie anche appassionati e storici dell’arte, spesso digiuni di conoscenze sull’età, le qualità e i difetti dei legni, sui pigmenti e i coloranti usati dagli artisti in varie epoche, e molto altro. In visita a chiese e musei, si potrà osservare e studiare una scultura lignea con occhi certo più consapevoli.


Francesca Tonini prefazione di Giuseppina Perusini Il Prato, Saonara (Padova) 2015 256 pp., 236 ill. colore e b.n. € 25

VENEZIA E MOBY DYCK

Per Ruskin Venezia era «un fantasma sulle sabbie del mare», per Cocteau «una sirena che si disfa di una palude dell’Adriatico»; per Tiziano Scarpa «una sogliola colossale distesa sul fondo». Per il magico Iosif Brodskij era chiaro che fosse «una città di pesci », ma nessuno prima di Cesare de Seta aveva avuto la folgorante idea di assimilare l’immagine di Venezia a Moby Dyck. In questo intenso “diario intimo” attraverso molteplici soggiorni e studi veneziani, credo davvero che lo studioso sia stato il primo (ma anche se non lo fosse poco importa), ad associare un brano del capolavoro di Melville alla forma - nel senso di “forma urbis”, e non solo - di Venezia. Nel rileggere Moby Dyck si avvide dell’accenno quasi criptico, da parte dell’erudito scrittore americano, al tipografo veneziano Aldo Manuzio, e a quel suo logo con l’àncora alla quale s’abbarbica (in apparenza) un delfino guizzante, che Melville (e poi De Seta) riconobbe come la “sua” balena. Moby Dyck e Venezia, ma anche Giorgione e i suoi misteri, l’atelier di Tiziano al Biri grande, Tintoretto e la critica di Roberto Longhi, Veronese e le mostre di Londra e Verona, i rosa di Tiepolo e Roberto Calasso, Watteau e Proust, Canaletto e Pietro Bellotto con il suo appassionato studioso Crivellari, altri critici come Haskell, Aikema, Puppi, Gentili, Paoli. E poi Manet, Turner e Beckford, Sargent e Henry James, infine Zola: non sto pescando a caso dall’indice dei nomi (peraltro presente nel libro) ma a memoria, a sensazioni, dopo aver letto due, anche tre volte, in certi casi, i saggi del libro, che l’autore stesso consiglia di affrontare seguendo le proprie curiosità e interessi. Ogni capitolo è dedicato a un artista, con intrecci che stimolano ad altre letture e approfondimenti (peraltro suggeriti in bibliografia). L’ultimo è su Zola, «intriso del mito della modernità», che pure considerava Venezia utile a curare i grandi dolori dell’anima. E come non condividere il finale, contro le navi da crociera sul Canal grande…


Cesare De Seta Neri Pozza, Vicenza 2016 252 pp. € 16

UMBERTO BOCCIONI. ATLAS

Nel 2012 Agostino Contò, direttore della Biblioteca civica di Verona, ha fatto una notevole scoperta fra le carte e i libri di Guido Valeriano Callegari, donati alla biblioteca dopo la sua morte, nel 1955, dalla moglie Amelia, sorella di Umberto Boccioni. Si tratta di tre cartelle di eterogenea natura: la prima è un atlante iconografico, con decine di riproduzioni di opere d’arte di varie epoche e culture, di misure e origini diverse, incollate su grandi fogli ripiegati in due. La seconda e la terza sono fogli un po’ più piccoli sui quali Boccioni incollò ritagli di articoli di giornali e riviste, dal 1910 al 1916, anno della sua morte precoce (serate futuriste, presentazioni, mostre, critiche, scandali). Segue un’appendice, creata dal cognato dopo il 1916, con articoli e ritagli sulla figura e l’opera di Boccioni, sempre più apprezzato nel corso degli anni in tutto il mondo. Di questo riferisce il libro, che, oltre a riprodurre le tavole in questione, presenta la prima ricognizione critica sull’inedito materiale, fondamentale per illuminare la figura controversa del più celebre maestro futurista, anche in relazione ai diari conservati ora a Los Angeles. Contò ha identificato con acribia certosina le fonti utilizzate da Boccioni per questa sua raccolta, mentre Francesca Rossi si è occupata, con altrettanta maestria e pazienza, dell’identificazione iconografica del materiale riunito negli anni dal giovane nel suo atlante: un vero e proprio percorso attraverso le sue radici culturali, come la studiosa dimostra con ricchezza di prove. Altre indagini, come lei stessa prevede, seguiranno queste prime ricerche, ma intanto emerge una formazione ricca ed eterogenea, tutt’altro che ingenua, autodidatta o casuale, come finora s’immaginava: da Donatello a Dürer, da Segantini agli illustratori déco, dalla scultura antica al Pollaiolo fino ai grandi artisti di lui di poco più anziani, con intrecci sorprendenti. I fogli originali qui riprodotti saranno esposti a novembre al Mart di Rovereto in occasione della mostra su Boccioni.

A cura di Agostino contò e Francesca Rossi Scalpendi, Milano 2016 352 pp., 13 tavv. b.n., 48 colore; 72 ill. b.n. € 25

ART E DOSSIER N. 336
ART E DOSSIER N. 336
OTTOBRE 2016
In questo numero: ARTE ALTRUI Culture, tradizioni, creatività non europee dalla Cina agli Inuit, dal vudu ai nativi americani. BIBLIOTECHE Le parenti povere dei Beni Culturali. PITTURA COME CINEMA Toulouse-Lautrec: l'intuito del regista. IN MOSTRA Ai Weiwei a Firenze, Espressionismo astratto a Londra, Magritte a Parigi, Ariosto a Ferrara.Direttore: Philippe Daverio