Letture iconologiche
Il Ritratto di gentiluomo di Bartolomeo Veneto

il milite non più ignoto
(forse)

Chi è il cavaliere raffigurato nel Ritratto di gentiluomo di Bartolomeo Veneto? Tra le diverse ipotesi, la più accreditata identifica il personaggio con un artistocratico francese. Ma è possibile andare oltre e attribuirgli un nome e un cognome? Quali indizi potrebbero svelare l’arcano?

Silvia Malaguzzi

Il cavaliere di Bartolomeo Veneto conservato al Fitzwilliam Museum di Cambridge è uno dei numerosi e affascinanti “cold case” della storia dell’arte, uno di quei personaggi dei quali l’identità si è perduta pur restandoci il ritratto. Si tratta di un uomo giovane dal volto pallido e aristocratico vestito con eleganza, un abito ricco di preziosi dettagli quali la bordura di pelliccia, nodi gordiani e un misterioso labirinto ricamati in oro sul tessuto dell’abito. Il copricapo, singolare per foggia, è decorato con uno stilizzato serto d’alloro dorato che, richiamando per via simbolica la corona fogliata classica degli imperatori e dei condottieri, qualifica il personaggio come un valoroso all’antica mentre l’elsa della spada, collocata al centro del petto, rinvia a una sincera e profonda virtù bellica.

Meno esplicita ma altrettanto carica di significato è la magnifica spilla da cappello, in oro e smalto, raffigurante un relitto dall’albero rotto il cui unico passeggero innalza una fronda di palma in segno di vittoria sulla prua. Qui a stento si legge, su un nastro bianco, la frase: «Esperance me guide» (La speranza mi guida). Simili oggetti preziosi, veri e propri emblemi caratterizzati dalla compresenza di un disegno e di un’iscrizione, erano assai in voga agli inizi del Cinquecento come ornamenti maschili capaci di raccontare, con lo status sociale ed economico, anche il gusto, la cultura, le inclinazioni morali e talora persino la storia personale del proprietario. Per questa peculiare funzione la loro interpretazione non va tanto rintracciata nelle consuetudini orafe o fra le mode di costume quanto piuttosto nella fiorente letteratura araldica contemporanea.

Il labirinto oltre a un emblema araldico è un simbolo spirituale di antichissima origine presente in molte chiese europee


Il tema del viaggio per nave, assai comune nel vocabolario emblematico, simboleggia la vita umana nel mare in tempesta del mondo laddove, di fronte al cataclisma, al timoniere non resta che la speranza nella divina provvidenza(1). Nell’“enseigne” di Bartolomeo Veneto il motto «Esperance me guide» rende ancora più esplicita questa interpretazione e verosimile la lettura araldica del gioiello che tuttavia non sembra rinviare né a un preciso ambiente religioso, né a una famiglia, né tantomeno a un personaggio specifico, nonostante i tentativi di ricostruzione della critica.

Anche la lettura del labirinto, un tema ricorrente in araldica, ricamato al centro del petto del ritrattato, non sembra in grado di condurci a un nome e un cognome. Fra le varie possibilità, la critica ha formulato l’ipotesi che potesse trattarsi di un Gonzaga. Nel palazzo di Mantova i labirinti sono numerosi ma dacché essi appartengono a epoche successive al nostro gentiluomo non sembrano poter essere prove inconfutabili della sua appartenenza a quella famiglia. Un’altra falsa pista è stata suggerita dal trattato di araldica (pubblicato nel 1574) nel quale l’autore Luca Contile riporta il labirinto con una stella accompagnato dal motto «Hac duce egrediar» (Con questa guida uscirò) come impresa personale di alcuni membri della famiglia Beccaria di Pavia(2). Il confronto fra l’emblema dei Beccaria e il nostro rivela una diversità così sostanziale nel disegno da togliere ogni valore anche a questa supposizione(3).



Due particolari del Ritratto di gentiluomo di Bartolomeo Veneto: la spilla da cappello in oro e smalto e il labirinto ricamato sulla parte anteriore dell’abito.

Tuttavia, nella sua forma di ricamo ornamentale, il labirinto sembra poterci dare se non l’identità del personaggio almeno qualche indicazione sulla sua nazionalità. Paolo Giovio, nel Dialogo dell’imprese militari et amorose, annota come l’usanza di ricamare imprese araldiche vistose sugli abiti fosse assai in voga presso gli ufficiali francesi, in special modo durante le campagne di Carlo VIII e Luigi XII(4). Tale interessante notazione di costume, associata alla lingua francese usata per l’iscrizione dell’“enseigne”, e al copricapo a larga tesa di possibile origine franco-borgognona sembrano inequivocabilmente condurci in area francese.

Non sappiamo se Bartolomeo Veneto si sia mai recato in Francia ma conosciamo con una certa precisione le tappe geografiche della carriera di questo pittore di origine cremonese e di educazione veneziana. Verso la fine della prima decade del Cinquecento, dopo un breve periodo trascorso forse a Ferrara presso la corte estense, si trasferì a Milano dove risulta presente dal 1515 ipoteticamente al seguito del cardinale Ippolito, fratello del duca di Ferrara Alfonso I d’Este, divenuto vescovo della città.

Agostino Busti detto Il Bambaia, Statua giacente di Gaston de Foix (1517-1522), Milano, Castello sforzesco, Museo d’arte antica.

In quest’epoca il ducato di Milano era governato dalla corona di Francia ed erano pertanto numerosi i francesi residenti nel capoluogo lombardo. Laura Pagnotta nella sua monografia su Bartolomeo Veneto, ascrivendo l’opera agli anni intorno al 1510-1515, sostiene che il personaggio possa assai verosimilmente essere un aristocratico francese(6).


Imberbe, dal viso pallido e nobile, dai lineamenti regolari ma dagli occhi feroci, scavati e brillanti


Alla stessa ipotesi era giunta precedentemente Yvonne Hackenbroch, storica dell’arte e specialista di gioielleria rinascimentale, con l’approfondita analisi dell’ornamento da cappello(7). Chi poteva dunque essere questo gentiluomo francese che nel suo soggiorno lombardo aveva avuto modo di incontrare Bartolomeo Veneto e di commissionargli il proprio ritratto?
Un’indicazione potrebbe giungere ancora una volta dal labirinto che oltre a un emblema araldico è un simbolo spirituale di antichissima origine presente in molte chiese europee e con frequenza sorprendente nelle cattedrali dell’Île-de-France dedicate alla Vergine(8). Quello del cavaliere, la cui forma è divisa in undici circumvoluzioni, riporta alla tipologia del labirinto intarsiato sul pavimento della cattedrale di Chartres. Le fonti cinquecentesche sono unanimi nel vedere in quell’antichissimo schema l’allegoria del mondo pieno di inganni e insidie nascoste dai quali solo la divina provvidenza, come un filo di Arianna, può salvarci(9).



Particolare del volto del Ritratto di gentiluomo di Bartolomeo Veneto.

Tale concetto, molto vicino all’idea luterana che solo la fede possa salvare l’uomo e non le indulgenze vendute a caro prezzo dalla Chiesa di Roma, ci porta inequivocabilmente alla temperie degli ambienti filofrancesi nel capoluogo lombardo pervasi di fermenti spirituali e insofferenti all’autorità papale. In seguito al concilio di Pisa del 1512, a Milano si era creato un gruppo di alti prelati francesi che al potere politico univano una viva esigenza di purezza morale. Facevano capo a Santa Maria della Pace e al convento agostiniano di Santa Marta, luoghi milanesi dove si riunivano intorno al frate francescano amadeita Giovanni Antonio Bellotti, per svolgere le pratiche di lettura e le meditazioni spirituali. Fra i frequentatori di questo ambiente filofrancese vi era un giovane condottiero, Gaston de Foix, proprio fra il 1511 e il 1512 divenuto governatore del ducato di Milano e comandante dell’armata reale francese in Italia(10).

Rampollo della storica famiglia catara dei Foix, Gaston era nato nel 1489 da Jean de Foix e Marie d’Orléans, sorella del re di Francia Luigi XII. Scomunicato per le frequentazioni ereticali, la sua vicenda esistenziale fu breve e intensa poiché a soli due anni dalla nomina, conducendo l’esercito alla vittoria contro le truppe della Lega santa, trovò la morte nella battaglia di Ravenna all’età di soli ventitré anni.

L’età del giovane trova conferma nell’aspetto del ritratto ed è confortata dallo stesso Paolo Giovio che lo descrive come imberbe, dal viso pallido e nobile, dai lineamenti regolari ma dagli occhi feroci, scavati e brillanti, degni di un condottiero(11).

Dopo la morte, quando le guardie svizzere del papa conquistarono Milano, il cadavere di Gaston fu trascinato sugli spalti e solo in seguito pietosamente ricomposto e sepolto nel duomo. Nel 1515, in seguito alla battaglia di Marignano con la quale Milano fu nuovamente riconquistata dai francesi, le spoglie del giovane Gaston vennero spostate dalla cattedrale alla chiesa di Santa Marta, uno di quei luoghi filofrancesi e filoriformistici che in vita aveva frequentato.

Qui il re di Francia Francesco I, suo cugino, commissionò al Bambaia(12) un degno monumento funebre la cui lastra tombale raffigurando la salma composta di questo “miles Christi”, ne rivela il volto dalle fattezze del tutto congrue con quelle del giovane condottiero ritratto da Bartolomeo Veneto.


Particolare della Statua giacente di Gaston de Foix del Bambaia.

(1) G. Ruscelli, Le imprese illustri, Venezia 1584, p. 60; F. Picinelli, Mondo simbolico, Milano 1680, XX, cap. VIII.

(2) L. Pagnotta, Bartolomeo Veneto, l’opera completa, Firenze 1997, p. 85, nota 5. 

(3) L. Contile, Ragionamento sopra la proprietà delle imprese con le particolari de gli Academici Affidati et con le interpretationi et croniche, Pavia 1574, p. 94.

(4) P. Giovio, Dialogo delle imprese militari e amorose, Lione 1574, p. 36.

(5) L. Pagnotta, op. cit., pp. 49-63.

(6) Ivi., pp. 74-75, 194.

(7) Y. Hackenbroch, Enseignes, Renaissance Hat Jewels, Firenze 1996, p. 101.

(8) C. Wright, The Rose and the Warrior, Londra 2001, pp. 37-38, 86.

(9) F. Picinelli, op. cit., XVI, cap. XI; S. Ammirato, Il Rota ovvero dialogo delle imprese, Firenze 1598, p. 124; G. Ruscelli, op. cit., p. 305.

(10) M. T. Binaghi, L’immagine sacra in Luini e il circolo di Santa Marta, in Sacro e profano nella pittura di Bernardino Luini, catalogo della mostra (Luino, Civico Istituto di cultura popolare, 9 agosto - 8 ottobre 1975), a cura di P. Chiara, G. A. Dell’Acqua, G. Mulazzani, M. T. Binaghi, L. Tognoli, Milano 1975, p. 51; L. Pagnotta, op. cit., pp. 74-75, 194.

(11) P. Giovio, Elogi degli uomini illustri, Torino 2006, p. 732.

(12) M. T. Fiorio, Bambaia, Firenze 1990, pp. 27-72.

ART E DOSSIER N. 336
ART E DOSSIER N. 336
OTTOBRE 2016
In questo numero: ARTE ALTRUI Culture, tradizioni, creatività non europee dalla Cina agli Inuit, dal vudu ai nativi americani. BIBLIOTECHE Le parenti povere dei Beni Culturali. PITTURA COME CINEMA Toulouse-Lautrec: l'intuito del regista. IN MOSTRA Ai Weiwei a Firenze, Espressionismo astratto a Londra, Magritte a Parigi, Ariosto a Ferrara.Direttore: Philippe Daverio