Grandi mostre. 4
Il patrimonio visivo di Ariosto nell’Orlando furioso a Ferrara

un gioco
di specchi

Quali fonti iconografiche possono aver ispirato Ludovico Ariosto nella stesura dell’Orlando furioso? A cinquecento anni dalla sua pubblicazione, Palazzo dei diamanti risponde con un progetto espositivo, qui descritto da uno dei curatori, comprensivo di molti capolavori del Rinascimento italiano.

Guido Beltramini

Lo specializzarsi degli studi e l’infoltirsi delle bibliografie ci spingono quasi tutti verso uno studio del Rinascimento frazionato in diversi ambiti disciplinari. Chi si occupa di scultura raramente scrive anche di pittura, per non dire di architettura, campo oramai quasi abbandonato dagli storici dell’arte. Questa barriera vale ancor più, fatte le debite eccezioni, fra arte e letteratura. Eppure Pietro Bembo, nelle Prose della volgar lingua (1525) indica le opere di Michelangelo e Raffaello come modelli capaci di superare le inflessioni regionali e diventare lingua nazionale, e Baldassarre Castiglione nel Cortegiano (1528) rende omaggio ai grandi artisti del suo tempo. Bembo compone l’epitaffio sulla tomba di Raffaello al Pantheon a Roma («Qui giace Raffaello, dal quale la natura temette mentre era vivo di esser vinta; ma ora che è morto teme di morire») e lo stesso Ludovico Ariosto scrive versi altrettanto ispirati in memoria dell’Urbinate.

Con Adolfo Tura abbiamo colto l’occasione di una mostra dedicata all’Orlando furioso per provare a ricomporre alcuni fotogrammi di quel pugno di decenni, cruciali per l’identità culturale italiana, in cui giunse a maturazione quello che oggi chiamiamo pieno Rinascimento, connettendo il più noto e influente poema italiano del secolo (non me ne voglia Tasso, ma lo pensava anche Galileo) con i protagonisti della rivoluzione visiva che cambiarono alla radice il mondo occidentale, da Leonardo a Tiziano, da Michelangelo a Raffaello.


La corte si riflette nel Furioso, con i propri gusti, riti e gerarchie, e lo stesso poema diviene modello per immagini e oggetti

Non ci siamo tanto concentrati sull’influenza che il poema ariostesco ebbe sugli artisti - tema affascinante, sondato a fondo da Lina Bolzoni, con capolavori che da Dosso Dossi arrivano a Ingres, passando da Poussin e Tiepolo -; nel quinto centenario della pubblicazione dell’Orlando furioso, a Ferrara nel 1516, abbiamo scelto di restare nel tempo di Ariosto e provare a individuare quali fossero le fonti visive che popolavano il suo immaginario mentre concepiva le gesta dei paladini. In altre parole, ed è il sottotitolo della mostra: Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi.

Il racconto del progetto espositivo si snoda così attraverso costellazioni di oggetti d’arte raccolti intorno a temi specifici, a partire dall’immagine della battaglia.

Nella prima sala i manoscritti illustrati medievali e gli arazzi nordeuropei con le gesta dell’epopea carolingia s’intrecciano alle scene di guerra dei sarcofagi romani antichi, per arrivare a Leonardo, che da pittore sfida i letterati a rendere la simultaneità dei fatti d’arme che compongono una battaglia: in mostra un suo prezioso disegno dalle raccolte reali di Windsor, mai esposto in Italia, l’unico dove sia rappresentata una battaglia nella sua interezza. Uno degli elementi cruciali della concezione della mostra è la creazione di campi di forza fra oggetti diversi, riuniti in una nuova proposta di senso.


Andrea Mantegna, Minerva caccia i Vizi dal giardino delle Virtù (1497-1502), Parigi, Musée du Louvre.

Nella prima sala un grande arazzo con la battaglia di Roncisvalle, probabilmente un tempo nelle collezioni estensi e oggi al Victoria and Albert Museum (Londra), ha di fronte a sé il cosiddetto Corno di Orlando, un olifante databile intorno all’anno 1000 e ritenuto da allora (ovviamente a torto) quello che il paladino fece risuonare prima di morire. Nell’ultima sala uno dei grandi arazzi della battaglia di Pavia (in prestito dal Museo nazionale di Capodimonte di Napoli), che ci ricorda il cambiamento radicale di scenario geopolitico che intercorre fra la prima edizione dell’Orlando furioso del 1516 e la definitiva del 1532, ha posto dinnanzi a sé la spada originale (oggi al Musée de l’Armée di Parigi) che lo sconfitto re di Francia, Francesco I, aveva con sé al momento della cattura.

Un capolavoro di Mantegna, l’imponente Minerva caccia i Vizi dal giardino delle Virtù, in mostra grazie alla generosità del Louvre, introduce il tema delle corti di Ferrara e di Mantova come pubblico privilegiato (anche se non certo esclusivo) del Furioso. Come in un gioco di specchi, la corte si riflette nel Furioso, con i propri gusti, riti e gerarchie, e lo stesso poema talvolta diviene modello e ispirazione anche per immagini e oggetti. Il dipinto di Mantegna infatti proviene dal Camerino di Isabella d’Este a Mantova, che Ariosto conosceva bene per ripetuti soggiorni nella corte della sorella del suo signore, il cardinale Ippolito. Il ricordo degli esseri grotteschi dipinti nel quadro mantegnesco riaffiora fra le ottave del VI canto dell’Orlando furioso, nella descrizione dei mostri che contendono il passo a Ruggiero in viaggio per il giardino di Logistilla. Ma dipinto e libro non sono gli unici poli del campo di forza fra gli oggetti, e accanto a essi è collocata una viola da braccio antropomorfa, realizzata nel 1511 forse proprio per Isabella, oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Essa colloquia con l’albero in sembianze umane sulla sinistra del dipinto di Mantegna, che a sua volta riecheggia il paladino Astolfo trasformato da un sortilegio in pianta di mirto nel VI canto del Furioso.


La battaglia di Roncisvalle (1450-1475 circa), Londra, V&A - Victoria and Albert Museum.

Una delle tele più celebrate del leggendario Camerino delle pitture di Alfonso d’Este


Un ritorno in Italia dopo secoli è reso possibile dal prestito del Baccanale degli Andrii di Tiziano da parte del Prado, che riporta per la prima volta a Ferrara una delle tele più celebrate del leggendario Camerino delle pitture di Alfonso d’Este. Diversi studiosi, a partire da John Shearman, hanno proposto un ruolo di Ariosto nella messa a punto del sofisticato soggetto del dipinto.


Tiziano, Il baccanale degli Andrii (1523-1526 circa), Madrid, Museo Nacional del Prado.


Altri, come Giorgio Padoan, hanno indicato nella conturbante sensualità delle “belle” dipinte da Tiziano, come la ninfa addormentata in primo piano nel Baccanale, uno dei motori di un sottile ma concreto cambiamento nelle descrizioni del corpo femminile fra le diverse edizioni dell’Orlando furioso. Nella prima edizione del 1516, Angelica nuda, legata allo scoglio per essere sacrificata dall’orca, appare nella sua eburnea perfezione come una statua antica, non fosse per le lacrime che le bagnano il viso. Dopo l’esperienza concreta delle tele di Tiziano nel Camerino, nei primi anni Venti, l’episodio aggiunto per l’edizione del Furioso del 1532, che vede Olimpia esposta nuda nell’identica situazione, la descrive con una carnale sensualità che mostra un registro radicalmente diverso. Ancora un gioco di specchi, questa volta fra parola e immagine.


Spada di Francesco I (1510-1515 circa), Parigi, Musée de l’Armée.

Piero di Cosimo, Andromeda liberata da Perseo (1510), Firenze, Galleria degli Uffizi.


Paolo Uccello, San Giorgio e il drago (1458-1460 circa), Parigi, Musée Jacquemart-André.

Orlando furioso 500 anni.
Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi

a cura di Guido Beltramini e Adolfo Tura
Ferrara, Palazzo dei diamanti
corso Ercole I d’Este 21
fino all’8 gennaio 2017
orario 9-19

catalogo Ferrara Arte
www.palazzodiamanti.it

ART E DOSSIER N. 336
ART E DOSSIER N. 336
OTTOBRE 2016
In questo numero: ARTE ALTRUI Culture, tradizioni, creatività non europee dalla Cina agli Inuit, dal vudu ai nativi americani. BIBLIOTECHE Le parenti povere dei Beni Culturali. PITTURA COME CINEMA Toulouse-Lautrec: l'intuito del regista. IN MOSTRA Ai Weiwei a Firenze, Espressionismo astratto a Londra, Magritte a Parigi, Ariosto a Ferrara.Direttore: Philippe Daverio