Arte e cinema
Toulouse-Lautrec e il cinema

sarebbe stato
un grande cameraman

Non c’è dubbio che Toulouse-Lautrec sia stato fondamentale anche per il cinema. Ad affermarlo, nel secolo scorso, è stato Federico Fellini. Secondo il regista, il pittore di Albi ha avuto più di un’intuizione: da un occhio attento all’inquadratura a una particolare sensibilità per il movimento e per la gestione diversificata dello spazio.

Luca Antoccia

La bella mostra di Roma all’Ara Pacis (conclusa lo scorso maggio) di opere grafiche provenienti dalla raccolta del Szépmüvészeti Múzeum di Budapest, una delle cinque più importanti al mondo, testimonia come sia ancora cruciale la figura di Henri de Toulouse-Lautrec nella riflessione sugli snodi tra arti visive dell’Ottocento e dei secoli successivi.

Una mostra nel 2003 al Vittoriano (sempre a Roma) aveva già posto con forza la questione e chi scrive aveva partecipato a una tavola rotonda sui rapporti tra il pittore di Albi e la settima arte, e in particolare su questo rapporto indagato con la lente privilegiata dello sguardo di Federico Fellini(1). È forse utile oggi riprendere le fila di quel discorso non solo alla luce dei contributi dell’ultima mostra romana ma anche e soprattutto perché negli ultimi anni il sistema dei rapporti tra arti figurative e nuovi media si fa sempre più ricco e appare sempre più, per fortuna, sganciato dal mero citazionismo(2).

Peter Galassi, in Prima della fotografia(3), sosteneva una tesi per l’epoca rivoluzionaria e cioè che non fosse stata la fotografia con la sua irruzione nell’Ottocento ad aver cambiato i modi della rappresentazione pittorica, ma piuttosto la pittura che a un certo punto della sua evoluzione aveva creato uno sguardo nuovo che rendeva necessaria e possibile la tecnica fotografica. Se si riporta questa affermazione dalla prima parte dell’Ottocento alla fine dello stesso secolo e dalla fotografia all’invenzione della tecnica cinematografica ci si deve chiedere allora: quali forme di pittura e quali artisti hanno creato la necessità e la possibilità della tecnica cinematografica? Credo che, a parte Degas (e l’ineludibile Leonardo da Vinci in tempi più lontani), nessun artista più di Toulouse-Lautrec abbia precorso in modo così pregnante la visione cinematografica.

Se Leonardo - come ha intuito il geniale regista e studioso sovietico ˙Ejzenštejn e come ci conferma il grande studioso leonardiano Carlo Pedretti - ha anticipato la nozione di montaggio cinematografico; se Vermeer e Caravaggio, come ha più volte affermato il noto direttore della fotografia Vittorio Storaro, sono i due poli fondamentali dell’illuminazione cinematografica (quella diffusa e quella diretta), Toulouse- Lautrec, come ha espresso benissimo Fellini, porta in dono alla pittura e al cinema, che sta per nascere, molte cose. Innanzitutto il senso dell’inquadratura e del movimento.


La tensione tra ciò che è in campo e il fuori campo


Dice infatti Federico Fellini: «Ho sempre pensato che Toulouse-Lautrec fosse mio fratello e mio amico. Forse perché Lautrec ha avuto, prima dell’invenzione dei Lumière, l’intuizione dell’inquadratura e il senso di sintesi del cinema». E poi, in un libro-intervista del 1994 pubblicato in Italia col titolo Federico Fellini: sono un gran bugiardo, ribadisce: «Sarebbe stato un grandissimo cameraman […]. Aveva l’intuizione del regista nato»(4).


La cavallerizza (Al circo Fernando) (1887-1888), Art Institute of Chicago.

A la Gaieté Rochechouart: Nicolle (1893); Canberra, Nga - National Gallery of Australia.


Miss Cecy Loftus (1895), Canberra, Nga - National Gallery of Australia.

Più di una volta negli scritti raccolti nel catalogo su Toulouse-Lautrec del 2003 di J. Frey (v. nota 1) torna l’espressione «inquadratura» a proposito dei quadri e dei manifesti del pittore di Albi. Questa parola usata in senso proprio indica almeno due cose:
1) il taglio del campo visivo in modo da lasciar fuori personaggi o parti di essi. Si prenda a titolo di esempio la stampa dal titolo L’automobilista che inaugura una accentuata mobilità di visione, portato di una modernità fatta ormai anche di soggetti sempre più in movimento;
2) l’evocazione forte di un “fuori campo”, come ha ben analizzato Danièle Devynck per La cavallerizza (1887-1888).

La tensione poi tra ciò che è in campo e il fuori campo crea un terzo aspetto: il dinamismo del soggetto nell’inquadratura, in un certo senso la sua temporalità.

Tra Fellini e Lautrec correva un’affinità e analogia tematica, esistenziale


È il caso emblematico della tela Il fantino (1899), in cui il particolare tagliato del cavallo in primo piano è minimo, praticamente uno zoccolo dell’animale, ma è essenziale a configurare la posizione del cavallo come un’entrata in campo irruente e non come un ritratto statico. A raddoppiare poi questa impressione c’è una identica “mutilazione” del cavallo in secondo piano.

È a questo che si riferisce Fellini quando intravede nel geniale tracciatore di schizzi al Moulin Rouge un grande cameraman. Su questa strada il regista di Rimini era stato però preceduto da un altro grande regista, il già citato Sergej Michajlovic ˙Ejzenštejn che aveva scritto nel libro Il montaggio, redatto alla fine degli anni Trenta, che il segreto della favolosa mobilità delle figure di Lautrec sta nel fatto che le diverse parti del corpo dei personaggi sono rappresentate in posizioni spaziali differenti (in particolare Ejzenštejn citava Miss Cecy Loftus)(5). Ma non è solo Lautrec ad aver influenzato il cinema, forse è anche il contrario.
La “vitesse”, la velocità, il dinamismo erano la quintessenza non solo del pittore e del Moulin Rouge ma della stessa Parigi “fin de siècle”, in cui il cinema vede la nascita. Il pubblico che frequentava il Moulin Rouge e gli altri locali di Montmartre era lo stesso che presenziò quel 28 dicembre 1895 alla celebre prima serata dei fratelli Lumière nel Salon Indien del Grand Café sul boulevard des Capucines.


Chocolat mentre danza (1896 circa), Albi, Musée Toulouse- Lautrec.

Non sapremo mai se anche Lautrec era tra i presenti, ma una semplice occhiata alla mappa di Parigi permette di collocare il boulevard des Capucines esattamente al centro dei luoghi più frequentati dall’artista, a non più di cinquecento metri dalla casa chiusa in rue des Moulins e dal Petit Casino, a non più di un chilometro dal Moulin Rouge. Tra Fellini e Toulouse-Lautrec non c’è il solito rapporto che può intercorrere tra un regista e un pittore amato. Non si può parlare di influenza diretta, tantomeno di citazioni.

Per Fellini il pittore è un fratello e a un fratello non ci si preoccupa di assomigliare o di dichiarare il proprio debito. In un certo senso i materiali pubblicati in occasione dell’ultima mostra di Roma all’Ara Pacis e i saggi in catalogo testimoniano una nuova tipologia di rapporto fra un cineasta e un pittore, vista più come affinità e analogia tematica, esistenziale, di “poetica” che non come influenza vera e propria. Una nota per chiudere: nessuno mi sembra abbia rilevato la rievocazione dei personaggi di Chocolat e Footit nel film I clowns di Fellini, che si configura come citazione diretta, l’unica del regista nei confronti del maestro di Albi.

(1) Toulouse-Lautrec. Uno sguardo dentro la vita, a cura di J. Frey, Roma 2003.

(2) Citazioni che si possono trovare copiose in tanti film, a cominciare dalle varie biografie filmate di cui ci siamo occupati nell’articolo L. Antoccia, Toulouse-Lautrec. La pittura i tempi dei Lumière, in “Art e Dossier”, n. 172, novembre 2001. Basti ricordare Moulin Rouge (1952) di John Huston, Moulin Rouge! (2001) di Baz Luhrmann e Lautrec (1998) di Roger Planchon. A ciò si deve aggiungere, per una consonanza di atmosfere e visioni, Un americano a Parigi (1951) di Vincente Minnelli.

(3) P. Galassi, Prima della fotografia, Milano 1989.

(4) F. Fellini, Perché amo Lautrec, 1971, ora in D. Pettigrew, Federico Fellini: sono un gran bugiardo. L’ultima confessione di Fellini raccolta da Damian Pettigrew, Roma 2003.

(5) «Sviluppando logicamente la posizione A del piede si forma una corrispondente posizione A del corpo. Tuttavia, dal ginocchio in su, il corpo è già ritratto nella posizione A + a. Qui è già presente l’effetto cinematico dell’immagine immobile: dalle anche alle spalle abbiamo già A+a+a. La figura sembra muoversi!» (S. M. · Ejzenštejn, Il montaggio, Venezia 1987 p. 24).

ART E DOSSIER N. 336
ART E DOSSIER N. 336
OTTOBRE 2016
In questo numero: ARTE ALTRUI Culture, tradizioni, creatività non europee dalla Cina agli Inuit, dal vudu ai nativi americani. BIBLIOTECHE Le parenti povere dei Beni Culturali. PITTURA COME CINEMA Toulouse-Lautrec: l'intuito del regista. IN MOSTRA Ai Weiwei a Firenze, Espressionismo astratto a Londra, Magritte a Parigi, Ariosto a Ferrara.Direttore: Philippe Daverio