XXI secolo
Arte e ritualità vudu

resistere
con la magia

Se analizziamo la cultura haitiana da una prospettiva che trascende i limiti dell’esotizzazione occidentale e puramente antropologica, ci accorgiamo che rituali e pratiche religiose hanno sempre avuto, a partire dalla rivoluzione per la conquista dell’indipendenza nel 1804, un significato sociopolitico fondamentale per combattere oppressione e schiavitù.

Elena Agudio

Forse non in molti sanno che la Rivoluzione haitiana - quello straordinario movimento di liberazione portato avanti dagli schiavi neri sulla scia della Rivoluzione francese, che nel 1804 portò Haiti all’indipendenza e a proclamare la prima Repubblica indipendente dell’America Latina, il primo Stato “nero” della storia vudu moderna - fu iniziata e propiziata con un’invocazione vudu e un rituale dedicato agli antenati e agli spiriti ultraterreni che regnano e governano gli equilibri quotidiani e sociopolitici di quella parte dell’isola Hispaniola(1). Come racconta Antoine Dalmas nella Histoire de la Révolution de Saint-Domingue, pubblicata nel 1814, la cerimonia di Bois Caïman è considerata come l’ufficiale atto di inizio della Rivoluzione haitiana: «Un uomo chiamato Boukman, un altro “oungan”(2), il 14 agosto del 1791 organizzò un incontro con gli schiavi nelle montagne del Nord. Questo incontro prese la forma di una cerimonia vudu, nel Bois Caïman, sulle montagne a Nord dell’isola. Pioveva e il cielo era nero di nubi; gli schiavi allora iniziarono a confessare il risentimento per la loro condizione. Una donna incominciò a danzare languorosamente nella folla, posseduta dagli spiriti dei loa(3). Con un coltello in mano, la donna tagliò la gola di un maiale e distribuì il sangue tra tutti i partecipanti all’incontro che giurarono di uccidere tutti i bianchi sull’isola»(4).

La conoscenza di questo dettaglio storico forse incuterebbe ancora più ansia e timore in coloro che, sulla scia della retorica occidentale e di una prospettiva intimamente colonialista, troppo spesso hanno ridotto e ancora oggi continuano tristemente a ridurre l’identità e la cultura di Haiti a uno spaventoso sistema vudu di magia nera e diabolici riti vudu, a un ammasso incivile di disperazione e povertà, senza lasciare spazio a una comprensione e a un’analisi della complessità storica e sociopolitica della sua religione e del suo status.

Nel 2010 il museo etnologico di Dahlem a Berlino esponeva circa trecentocinquanta oggetti rituali provenienti da quella che è un’unica e straordinaria collezione a Port-au-Prince, la collezione Lehmann (circa tremila pezzi) che la svizzera Marianne Lehmann - trasferitasi ad Haiti dal 1957 - ha messo insieme negli ultimi trent’anni circa. La mostra si intitolava Vodou. Kunst und Kult aus Haiti, e si concentrava in particolare sulla storia di una delle società segrete haitiane, la società segreta Bizango, i cui oggetti rituali possono essere visti e usati solamente dai membri iniziati.


L’utilizzo delle pratiche religiose fu essenziale e fondamentale per resistere alla barbarie della tratta schiavista


Con rigore scientifico e con guizzo classificatorio ed etnografico i curatori della mostra si ponevano l’obiettivo di raccontare ai visitatori la storia specifica di una religione localmente circoscritta e di illustrare la fenomenologia dei rituali vudu e della magia haitiana.


Attraverso l’esposizione di oggetti e materiali, la trascrizione antropologica del loro valore culturale e la loro elevazione da oggetti di uso rituale a oggetti artistici, i curatori si prefiggevano l’obiettivo di mettere in dubbio gli stereotipi negativi associati al culto vudu e di raccogliere consenso e fondi per la creazione di un museo per la collezione Lehmann a Port-au-Prince.

Il tentativo di illustrare, riordinare e mettere in luce la cosmogonia, le pratiche e il sistema della religione e della tradizione haitiana ha senz’altro avuto il merito di aiutare i visitatori ad allontanare i pregiudizi e scacciare le ombre della nostra cultura nei confronti della tradizione haitiana. Ma la mostra, a nostro parere - e con il senno di poi - non è stata in realtà in grado di superare il limite etnografico dell’esotizzazione occidentale e dello sguardo antropologico, lasciando da parte la realtà viva di queste pratiche e non addentrandosi in un’analisi più complessa della natura specifica e della dimensione sociopolitica di una tradizione religiosa che ha radici lontane e millenarie.

Perché a una riflessione più attenta e meno parziale ci possiamo permettere di comprendere lo straordinario potere politico che la ritualità magica haitiana e quella della diaspora africana in generale hanno portato e portano in sé.

Georges Senga, dalla serie Purification (2012).


Georges Senga, dalla serie Purification (2012).


Georges Senga, dalla serie Purification (2012).


Andrew Tshabangu, Lores, dalla serie On Sacred Ground (1999-2008).


Alcune immagini di opere esposte in occasione della mostra The Incantation of the Disquieting Muse. On Divinity, Suprarealities or the Exorcisement of Witchery (Berlino, SAVVY Contemporary, 4 giugno - 7 agosto 2016).

Come lo studioso afroamericano Jason R. Young dettagliatamente ci spiega nel suo interessantissimo saggio Rituals of Resistance(5) - parlando più specificamente della gente congolese schiavizzata e deportata nei bassi Stati meridionali dell’America del Nord - l’utilizzo delle pratiche religiose fu essenziale e fondamentale per resistere alla barbarie della tratta schiavista: quando gli schiavi agivano al di fuori dei parametri accettati dalla società civile americana - come nella possessione - non attaccavano solo la condizione di essere schiavo ma anche quell’intero sistema della modernità e del razionalismo scientifico che aveva supportato la nascita stessa e la pratica della schiavitù. La spiritualità e i rituali religiosi per gli schiavi hanno giocato inoltre un ruolo cruciale nel processo di riscoperta del valore umano e sociale del corpo dello schiavo e del suo comportamento al di là delle oppressioni e delle brutalità della classe dominante.


Un altro momento di seguaci vudu durante la cerimonia annuale nel weekend di Pasqua a Souvenance, un sobborgo di Les Gonaïves (Haiti), 27 marzo 2016.

Nella mostra The Incantation of the Disquieting Muse. On Divinity, Suprarealities or the Exorcisement of Witchery, con i colleghi di SAVVY Contemporary a Berlino (4 giugno - 7 agosto) e attraverso la voce di artisti contemporanei e di alcuni studiosi come Young, abbiamo tentato di suggerire la forza politica e il messaggio di resistenza proprio del pensiero magico e delle culture che propongono un sistema di valori alternativo a quello razionalistico-illuminista proprio delle società occidentali. In particolare Louis Henderson, nel suo film Code Noir/Black Code che inscena la Rivoluzione haitiana e l’invocazione di Bois Caïman come primo momento fondamentale di hackeraggio del sistema coloniale, ha messo in connessione i recenti omicidi di afroamericani da parte della polizia statunitense e la perversa preservazione della mentalità delle leggi coloniali promulgate dal Code Noir (una raccolta di una sessantina di articoli promulgati nel 1685 da Luigi XIV che davano disposizioni sulla vita degli schiavi neri nelle colonie francesi) nei contemporanei sistemi di controllo e negli algoritmi utilizzati dal governo americano.



Tre frame da Code Noir/Black Code (2015), di Louis Henderson.

ART E DOSSIER N. 336
ART E DOSSIER N. 336
OTTOBRE 2016
In questo numero: ARTE ALTRUI Culture, tradizioni, creatività non europee dalla Cina agli Inuit, dal vudu ai nativi americani. BIBLIOTECHE Le parenti povere dei Beni Culturali. PITTURA COME CINEMA Toulouse-Lautrec: l'intuito del regista. IN MOSTRA Ai Weiwei a Firenze, Espressionismo astratto a Londra, Magritte a Parigi, Ariosto a Ferrara.Direttore: Philippe Daverio