Il rapporto con
la tradIzIone cInese

In quegli anni il clima in Cina comincia a cambiare portando a momenti durissimi di repressione delle libertà.

Ritorno

Nell'aprile del 1989 a Pechino gli studenti occupano piazza Tienanmen chiedendo democrazia, in seguito allo sfascio dei regimi comunisti nell’Europa dell’Est. La protesta si conclude il 4 giugno con un massacro: un giovane, il cosiddetto “Rivoltoso sconosciuto”, si erge davanti ai carri armati cercando, da solo e disarmato, di fermarli. Ai Weiwei partecipa a uno sciopero della fame di fronte alla sede delle Nazioni Unite a New York, in segno di solidarietà con i dimostranti.

Nel 1993, alla notizia di una grave malattia del padre, Ai Weiwei torna in Cina. Il governo è oppressivo e il controllo totale, tanto che occorre esibire un documento anche per poter fare delle fotocopie. Non esistono gallerie o riviste d’arte e ad Ai Weiwei si rivolgono i giovani artisti, avidi di conoscere la realtà newyorchese, facendone un punto di riferimento importante nella comunità artistica pechinese. I suoi interessi di questo momento trovano espressione nella pubblicazione di tre libri: The Black Cover Book (Il libro nero) nel 1994; The White Cover Book (Il libro bianco) nel 1995, The Grey Cover Book (Il libro grigio) nel 1997, tre opere che contengono interviste e opere di artisti contemporanei cinesi, ma anche immagini di opere di Duchamp e Warhol e loro testi per la prima volta tradotti in cinese. Questi libri sono oggi giudicati opere di importanza storica e manifesto fondamentale per la nascita dell’avanguardia artistica cinese.

The Black Cover Book (Il libro nero) (1994);


The White Cover Book (Il libro bianco) (1995);


The Grey Cover Book (Il libro grigio) (1997).

Salvare, distruggere, costruire
A fianco di questa attività di stampo curatoriale ed editoriale nella scena contemporanea, sin dal suo ritorno in Cina Ai Weiwei guarda anche alla tradizione e al passato cinese, cominciando a collezionare oggetti di antiquariato, suppellettili, mobili antichi e porcellana, che in quegli anni si trovavano in quantità, diventando un esperto. Gran parte dell’eredità storica e culturale cinese è stata distrutta prima dal comunismo e poi dall’incontrollato sviluppo capitalistico e Ai Weiwei sente il bisogno di salvare dalla scomparsa oggetti, manufatti o interi edifici. Questo accumulo di proporzioni impressionanti si trova già in Still Life (Natura morta; 1993-2000), lavoro che raccoglie tremilaseicento utensili in pietra neolitici, fino alle molte installazioni che includono partidi edifici antichi - come Kippe (Parallele; 2006) o Fragments (Frammenti; 2005) - o più ampie strutture architettoniche.

Kippe (Parallele) è un lavoro del 2006 realizzato unendo del pregiato legno tieli proveniente da templi distrutti della dinastia Qing (1644-1911) con parallele da ginnastica in ferro.


Han Dynasty Urn with Coca Cola Logo (Urna della dinastia Han con logo Coca Cola) (1994).


In Still Life (Natura morta) (1993-2000) Ai Weiwei riunisce utensili datati tra la tarda Età della Pietra e la dinastia Shang (10.000-1100 a.C.).

L’indagine sul rapporto, anche conflittuale, con la millenaria tradizione cinese, un decennio dopo la fine delle devastazioni della Rivoluzione culturale, diviene fondamentale per il suo linguaggio: così l’opera Han Dynasty Urn with Coca Cola Logo (Urna della dinastia Han con logo Coca Cola) (1994) è un recipiente della dinastia Han cui l’artista aggiunge, dipingendolo a mano, il logo della bevanda planetaria, per sottolineare il problematico rapporto tra memoria storica e consumismo nella nuova economia capitalistica cinese. L’artista, utilizzando elementi provenienti dal passato e presentandoli in una prospettiva nuova, li attualizza: «La maggior parte dei miei lavori ruota attorno alla ridefinizione di alcuni oggetti. Possedevo questo vaso già da tempo e ammiravo la sua forma, ma niente mi legava a questo oggetto. Aveva qualcosa di troppo semplice, di vuoto, e io avevo voglia di renderlo più attuale. Secondo me il logo della Coca Cola è una evidente rivendicazione di proprietà, di identità politica o culturale, ma è anche un palese invito a smettere di pensare. È simbolo di ignoranza ma anche di una ridefinizione».

L’operazione sottintende anche un chiaro riferimento ad Andy Warhol, alle Cinque bottiglie di Coca Cola del 1962 e alla sua famosa frase sulla democrazia dei consumi: «Quel che c’è di veramente grande in questo paese è che l’America ha dato il via al costume per cui il consumatore più ricco compra essenzialmente le stesse cose del più povero. Mentre guardi alla televisione la pubblicità della Coca Cola, sai che anche il Presidente beve Coca Cola, Liz Taylor beve Coca Cola, e anche tu puoi berla».



Dropping a Han Dynasty Urn (Distruzione di un’urna della dinastia Han) (206 a.C.-220 d.C.) (1995), è l’iconica e controversa performance che vede Ai Weiwei far cadere un’urna funeraria antica di oltre duemila anni.

Altra declinazione del suo rapporto con l’arte dell’antico mondo cinese è Dropping a Han Dynasty Urn (Distruzione di un’urna della dinastia Han; 1995), controversa e famosissima performance che lo vede far cadere un’urna funeraria della dinastia Han antica di oltre duemila anni, fissata da tre iconici scatti fotografici in bianco e nero. Nel primo l’artista, che indossa gli abiti degli operai cinesi, è in piedi davanti a un muro e stringe tra le mani l’urna, nel secondo le apre e il vaso sta cadendo, nel terzo l’urna giace a pezzi in terra. Colpisce l’espressione indifferente dell’artista, impassibile, per sottolineare che si tratta di un atto consapevole di barbarie culturale, paragonabile alla distruzione dell’eredità storica cinese portata avanti dal governo con la Rivoluzione culturale. Trattandosi poi di un’urna funeraria, ne viene sottolineata la valenza di “memento mori”.

Su questa linea si colloca anche la serie Coloured Vases (Vasi colorati; 2002), in cui l’artista immerge antichissimi vasi neolitici in latte di pittura industriale annullandone il valore storico e culturale, trasformandoli al contempo in opere d’arte contemporanee.


Coloured Vases (Vasi colorati) (2006): l’artista ha fatto colare della vernice industriale su vasi neolitici (5000-3000 a.C.).

Nel lavoro di Ai Weiwei si trovano molto spesso riferimenti alle tecniche artistiche e artigianali cinesi passate e presenti. Riallacciandosi all’antica produzione autoctona, l’artista crea oggetti in porcellana realizzati artigianalmente a Jingdezhen, storica capitale di questo genere di fabbricazione.

La porcellana The Wave (L’onda; 2004) ricorda le opere della dinastia Yuan in cui l’acqua è rappresentazione ricorrente, e porta a pensare anche alle stampe giapponesi che ispirarono quegli artisti di fine Ottocento cui Ai Weiwei guardava in gioventù.


The Wave (L’onda) (2004), uno straordinario “pezzo di bravura” degli artigiani di Jingdezhen, storica capitale cinese della produzione di porcellana.


Free Speech Puzzle (Puzzle della libertà di parola) (2014), in porcellana dipinta a mano nello stile imperiale della dinastia Qing (1644-1911).


Blossom (Fioritura) (2015).

Con le mattonelle in porcellana Blossom (Fioritura; 2014) l’artista richiama, attraverso l’uso della tecnica artistica cinese per eccellenza, la campagna detta dei “Cento fiori” che nel 1956 ha rappresentato un brevissimo momento di apertura da parte del governo cinese nei confronti della libertà di espressione. Allo stesso tema è dedicato Free Speech Puzzle (Puzzle della libertà di parola; 2014), costituito da trentadue tasselli di porcellana dipinta a mano che riproducono la suddivisione della Cina in province. Imitando la tradizione di scrivere su pendenti di vario materiale il nome della famiglia come buon auspicio, Ai Weiwei ripete su ogni pezzo del puzzle il motto “Free Speech”, che diventa quindi quello di tutta la Cina e di ogni suo cittadino.

Centrale nella produzione di Ai Weiwei è l’uso del legno. 


Attraverso l’utilizzo di questo materiale l’artista reinterpreta, appropriandosene, l’antica tecnica e l’elegante estetica cinese alla base della realizzazione dei mobili: linee pulite, design essenziale, decorazioni misurate e sensibilità verso le proporzioni unite a una tecnica raffinatissima - diversa a seconda della qualità utilizzata - che non prevede l’uso di chiodi, né colla, ma esclusivamente di complessi incastri. Ai Weiwei è attento anche a recuperare non solo i materiali, ma anche competenze e saperi della tradizione artigiana, destinati a scomparire nella società industriale. Utilizza dunque nei suoi lavori mano d’opera ad alta specializzazione, aiutandone la sopravvivenza. Gli arredi cinesi rispecchiano una precisa idea di armonia e rapporto con la natura.

Nei suoi mobili “impossibili”, Ai Weiwei, quasi non intaccando i tradizionali valori formali, giunge a stravolgerli, partendo dalla loro stessa essenza. Del suo Table with Two Legs on the Wall (Tavolo con due gambe al muro; 1997), esaltandone il nonsense, l’artista afferma di aver voluto ricostruire e modificare la struttura, lasciando però intatta la patina.

Anche gli sgabelli ricorrono frequentemente nella sua produzione. Sono tra gli oggetti più tipici della vita cinese, in particolare quelli a tre gambe che possono essere utilizzati sia all’interno che all’aperto. Provenienti soprattutto da templi e case private, sono stati acquistati in grandi quantità da Ai Weiwei e sono considerati dei veri e propri “sopravvissuti” alla Rivoluzione culturale. Erano diffusissimi un tempo negli strati popolari e venivano tramandati di generazione in generazione, mentre a seguito della forzosa e rapidissima modernizzazione della Cina sono diventati simboli di un passato da dimenticare e sostituiti in fretta da modelli in alluminio e plastica prodotti industrialmente. Nelle sculture che assemblano più sgabelli, Grapes (Grappolo; 2004-2015), Ai Weiwei crea una struttura che prolifera ripetendo lo stesso modulo iniziale, potenzialmente all’infinito, come avviene nelle megalopoli, e sfida la gravità, mentre il singolo oggetto resta metafora dell’individuo che snatura la propria identità nella sua relazione con il mondo globale.

Tra le opere legate al passato rientra anche Map of China (Mappa della Cina; 2008), scultura-puzzle formata da legni di tipo tieli, il pregiato “legno ferro”, recuperati dai templi della dinastia Qing (1644-1911) distrutti dal governo cinese per essere sostituiti da nuove moderne costruzioni. I pezzi riciclati, tutti differenti l’uno dall’altro, simboleggiano la diversità etnica e culturale di un paese che, pur restando unitario, rappresenta la fusione di una massa innumerevole di individui.


In Table with Two Legs on the Wall (Tavolo con due gambe al muro), del 1997, Ai Weiwei ha utilizzato un tavolo della dinastia Qing (1644-1911).

Map of China (Mappa della Cina) (2008) è in pregiato “legno ferro”, recuperato da templi della dinastia Qing distrutti dal governo cinese per essere sostituiti da nuove, moderne costruzioni.


Grapes (Grappolo) (2004-2015) riunisce diciotto sgabelli in legno, anch’essi risalenti alla dinastia Qing.

Più ironica, sempre su questa falsariga, è invece Treasure Box (Scatola del tesoro; 2014), versione grande un metro cubo di una proverbiale “scatola cinese”, costituita da contenitori di grandezza crescente da inserire l’uno nell’altro: le dimensioni e il prezioso intarsio la rendono impossibile da aprire per una persona sola. Rimanda alla realtà cinese (traendo però ispirazione, come per tutti i cubi realizzati in diversi materiali, dalla scultura minimalista degli anni sessanta) e in particolare alla produzione di tè a Kunming, nello Yunnan, anche Ton of Tea (Tonnellata di tè; 2008). Le foglie in passato venivano compresse per poterle conservare e trasportare più facilmente. Plasmata nella forma geometrica di un cubo, questa grande quantità di tè evoca i tanti abusi dei diritti dell’individuo da parte della polizia cinese. Come spiega Ai Weiwei, per un cinese quest’opera può assumere un significato assai particolare perché: «“Prendiamo una tazza di tè” è spesso un eufemismo con cui i guardiani dell’ordine cinese invitano a un primo interrogatorio».

Alla tradizione folklorica, fantastica e favolistica cinese guarda invece la recente opera inaugurata, tra starlette e socialite, nel gennaio 2016 al Bon Marché di Parigi. Con questa installazione in un luogo glamour - realizzata in parallelo al suo impegno umanitario a sostegno dei profughi del Mediterraneo in fuga dalla guerra - Ai Weiwei sorprende tutti esponendo per la prima volta in un grande magazzino, «luogo direttamente legato alla città, alla gente». Parigi è inoltre un luogo che lo emoziona profondamente e che appartiene ai suoi sogni di infanzia, perché il padre Ai Qing vi era stato negli anni trenta per studiare e Ai Weiwei da piccolo aveva sentito spesso racconti su quella città tanto lontana. L’artista utilizza figure della mitologia cinese che rappresenta per lui “un altro mondo”, un mondo parallelo collegato all’immaginazione, al pari di Parigi. Le creature, fatte di seta e bambù, che fluttuano appese al soffitto sono desunte dal libro Shanhaijing (Il classico dei monti e dei mari), testo di geografia fantastica antico di oltre duemila anni. Per fabbricarle Ai Weiwei si è fatto aiutare da Wong Yong Xun, un maestro nella realizzazione di aquiloni della provincia di Shandong. Queste grandi e leggere figure ricordano, seppur soltanto nel tema mitologico, la celebre serie delle massicce statue di bronzo con gli animali dell’astrologia cinese Circle of Animals / Zodiac Heads (Circolo degli animali / Teste dello Zodiaco; 2011), che attraverso le immagini degli iconici segni zodiacali cinesi ricorda fatti legati al passato coloniale e alle sue distruzioni.

Heluo (2016) è la fantastica creatura simile a un pesce con una testa e dieci corpi, ispirata allo Shanhaijing;


Circle of Animals / Zodiac Heads (Circolo degli animali / Teste dello Zodiaco), (2011).

AI WEIWEI
AI WEIWEI
Arturo Galansino
La presente pubblicazione è dedicata a Ai Weiwei, artista, designer e attivista cinese. In sommario: Infanzia in Cina, gioventù in America; Il rapporto con la tradizione cinese; Un'arte ''contro''. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.