Studi e riscoperte. 1
Gio Ponti e l’Art Déco

solo architetto?
ci sarebbe bastato

Qualunque cosa toccasse si trasformava in opera d’arte. Difficile definire in una parola Gio Ponti, artista generoso che ha lasciato testimonianza di sé nei numerosi progetti in cui ha deciso di mettere alla prova il suo talento. A partire dalle porcellane Richard Ginori, emblema del Déco italiano.

Jean Blanchaert

Anche se Gio Ponti avesse avuto una vita breve come quella di Mozart, che è vissuto soltanto trentacinque anni, sarebbe passato alla storia. Nel 1926, al compimento del suo trentacinquesimo anno di età, aveva già creato i capolavori in porcellana per la Richard Ginori, manifattura di Doccia (Sesto Fiorentino, Firenze), che costituiscono l’esempio più alto del Déco italiano. Guardando l’eleganza neoclassica di queste opere, sembra di sentire le note del balletto Apollon Musagète di Igor Stravinskij, composto nel 1928. In un filmato di repertorio degli anni Ottanta Mikhail Baryshnikov interpreta Apollo. Il corpo di ballo sembra composto dai personaggi ceramici disegnati da Gio Ponti, “usciti” per l’occasione dai piatti nei quali sono raffigurati, per ballare sul palco, sulle note del compositore russo. Sia Stravinskij (1892-1971) sia Ponti (1891-1979) hanno vissuto, l’uno nella musica, l’altro nell’architettura, due vite artistiche lunghe uguali, coeve, diverse, ma entrambe a tratti neoclassiche, a tratti rivoluzionarie: Stravinskij, ironico-dirompente; Ponti, ironico-garbato.


«Nella cultura moderna tutto è simultaneo, passato, presente e futuro»
(Gio Ponti)


La straordinaria prolificità di Gio Ponti fa pensare a un canto rituale della Pasqua ebraica in cui il popolo ringrazia Dio per i beni ricevuti, ripetendo per ben quindici volte la formula “dayenu”, che in italiano significa “ci sarebbe bastato”. Parafrasando questa preghiera poetica, potremmo dire di quanti benefici siamo debitori a Gio Ponti! 

Se fosse stato soltanto pittore e non anche “architettore”, ci sarebbe bastato; se fosse stato “architettore” e non ci avesse lasciato gli acquerelli della prima guerra mondiale, ci sarebbe bastato; se ci avesse lasciato gli acquerelli della prima guerra mondiale e non fosse diventato direttore artistico della Richard Ginori, ci sarebbe bastato; se fosse stato direttore artistico della Richard Ginori e non avesse progettato e costruito la casa di via Randaccio, a Milano, ci sarebbe bastato; se avesse progettato e costruito la casa di via Randaccio, a Milano, e non avesse inventato la rivista “Domus”, ci sarebbe bastato; se avesse inventato la rivista “Domus” e non avesse edificato i due palazzi della Montecatini, a Milano, ci sarebbe bastato; se avesse edificato i due palazzi della Montecatini, a Milano, e non avesse scritto di notte centinaia di lettere illustrate agli amici, ci sarebbe bastato; se avesse scritto di notte centinaia di lettere illustrate agli amici e non avesse creato le scene e i costumi per il balletto Pulcinella di Igor Stravinskij, ci sarebbe bastato; se avesse creato le scene e i costumi per il balletto Pulcinella di Igor Stravinskij e non avesse collaborato con Paolo Venini, per il vetro, con Paolo De Poli, per lo smalto, e con Piero Fornasetti, per la decorazione, ci sarebbe bastato; se avesse collaborato con Paolo Venini, per il vetro, con Paolo De Poli, per lo smalto, e con Piero Fornasetti, per la decorazione, e non avesse disegnato la sedia Superleggera e la Sedia di poco sedile, ci sarebbe bastato; se avesse disegnato la sedia Superleggera e la Sedia di poco sedile e non avesse immaginato e calcolato con Pierluigi Nervi il grattacielo Pirelli, a Milano, ci sarebbe bastato; se avesse immaginato e calcolato con Pierluigi Nervi il grattacielo Pirelli, a Milano, e non avesse concepito villa Planchart, a Caracas, ci sarebbe bastato; se avesse concepito villa Planchart, a Caracas, e non avesse dato forma al Denver Art Museum, in Colorado, ci sarebbe bastato; se avesse dato forma al Denver Art Museum, in Colorado, e non avesse ideato ed eretto la concattedrale di Taranto, ci sarebbe bastato.

Nel 1923, dopo aver visitato la prima Biennale delle arti decorative di Monza, alla quale Gio Ponti partecipa in punta di piedi, collaborando con la Richard Ginori, senza neppure apparire in catalogo, Carlo Carrà riconosce subito il vento nuovo che spira grazie al trentaduenne architetto milanese e, in una monografia dedicata all’esposizione, così scrive: «Un neoclassico di Milano», «aulico e raffinato nelle porcellane», «vigoroso nelle maioliche del Fiorentino», «libero e spiritoso nelle terraglie forti decorate sotto smalto a gran fuoco»(1).


Venere stracciona (1928-1929), porcellana decorata e dipinta a mano, Richard Ginori, manifattura di Doccia (Sesto Fiorentino, Firenze).

Disegno preparatorio di Gio Ponti per la realizzazione del grande vaso in maiolica La conversazione classica (1924).

Dieci mani in ceramica bianca. Set fotografico allestito da Gio Ponti per la serie Le mani (1935).


Quattro opere in porcellana, da sinistra: Grottesca (1924-1925); Venere stracciona (1928-1929); Mano fiorita (1935); Mano con simboli d’oro (1935).

La Richard Ginori ottiene il Gran premio e Augusto Richard nomina Ponti direttore artistico delle due sedi della società: quella di San Cristoforo, a Milano, specializzata nelle terraglie e quella di Doccia, destinata alla produzione delle porcellane.


Gio Ponti ha avuto la capacità di trasformare in vasi, in sculture, in case o in grattacieli i propri sogni metafisici


La scelta coraggiosa dà frutti inattesi e straordinari. Nei dieci anni che seguono, Gio Ponti scrive ben duecentotrenta lettere per un totale di quattrocentoventisei pagine nelle quali illustra e spiega dettagliatamente, con tanto di disegni, le sue idee decorative. Queste missive di lavoro sono spesso anche delle opere d’arte. Il destinatario è soprattutto il suo braccio destro alla manifattura di Doccia: il pittore lombardo Luigi Tazzini, che aveva diretto la fabbrica nel primo ventennio del Novecento, portando uno spirito art nouveau. Fra i due si stabilisce immediatamente un caloroso rapporto di fattiva collaborazione. Negli anni Venti i treni andavano adagio, ma le Poste del Regno d’Italia erano così veloci da consentire a Gio Ponti di dirigere artisticamente la fabbrica fiorentina da Milano.
Il decennio che segue è caratterizzato da un vero e proprio “stream of consciousness” (flusso di coscienza) di Gio Ponti che rilascia, disegnandole senza sosta, le figure del suo immaginario estetico, andandole a pescare nella memoria, dal vero, nei libri sull’antichità ma, soprattutto, nei taccuini di viaggio che per anni lo avevano accompagnato nei musei di Roma, Parigi, Londra e Milano. Si tratta di figure che rivisitano il mondo italico, quello etrusco e l’antichità classica, senza ignorare quanto era stato fatto dall’Art Nouveau e dalla Secessione viennese, all’inizio del XX secolo, in Europa. 

Gio Ponti era circondato da una nuvola di grazia e tutto ciò che toccava veniva ingentilito. L’immagine dell’Italia che vola, anche quando è di cemento armato, la si deve soprattutto a lui, come si deve a lui la grande Art Déco italiana, capace di racchiudere in un vaso di porcellana la sintesi elegante e spiritosa della classicità, magnificamente reinventata. Mai un vaso attico avrebbe pensato di rinascere in porcellana, duemilatrecento anni dopo, più bello e più forte di prima, senza tempo e immortale. D’altronde, Gio Ponti amava dire: «Nella cultura moderna tutto è simultaneo, passato, presente e futuro».

La consacrazione internazionale avviene nel 1925, a Parigi, alla Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes, palcoscenico del gusto déco, dove la Richard Ginori ottiene due premi, di cui uno assegnato allo stesso Ponti. «L’industria è la maniera del XX secolo, è il suo modo di creare», scriveva Ponti nel testo del catalogo. I successi di Parigi portano un grande incremento delle vendite, soprattutto all’estero. Un’elegante immagine dell’Italia entra nelle case, raffigurata nei decori di Gio Ponti che si stagliano sulla porcellana e nello stesso tempo ne fanno squillare l’ammaliante biancore. Durante la sua carriera di lungo corso, l’architetto milanese, sempre all’insegna del motto: «Prima disegnare, poi calcolare»(2) ha avuto la capacità di trasformare in vasi, in sculture, in case o in grattacieli i propri sogni metafisici.


Piattella della serie Sirene (1929), Richard Ginori, manifattura di Doccia (Sesto Fiorentino, Firenze).

Lettere illustrate e indirizzate a Luigi Tazzini, braccio destro di Gio Ponti alla Richard Ginori, manifattura di Doccia (Sesto Fiorentino, Firenze).


Lettere illustrate e indirizzate a Luigi Tazzini, braccio destro di Gio Ponti alla Richard Ginori, manifattura di Doccia (Sesto Fiorentino, Firenze).


Pezzo centrale del grande Trionfo da tavola per le ambasciate italiane progettato da Gio Ponti con la collaborazione di Tommaso Buzzi nel 1925 e modellato da Italo Griselli, Richard Ginori, manifattura di Doccia (Sesto Fiorentino, Firenze).

(1) L. Falconi, Gio Ponti. Interni,oggetti,disegni 1920-1976, Milano 2004, p. 30.

(2) G. Ponti, Amate lÕarchitettura, Milano 1957, p. 165.

Si ringrazia Salvatore Licitra per la ricerca iconografica.

ART E DOSSIER N. 335
ART E DOSSIER N. 335
SETTEMBRE 2016
In questo numero: UNA FANTASTICA REALTA' Piero di Cosimo e il nord; Lamba, pittrice surrealista; Reims incide Bellmer. GRANDE GUERRA Le incisioni di De Groux. IN MOSTRA O'Keeffe a Londra, Il sogno a Marsiglia.Direttore: Philippe Daverio