XX secolo. 1
Luigi Ghirri e il confronto con l’antico

IL GRADO ZERO
DELLA VISIONE

Scene spoglie, vuote, ma cariche di memoria, dove il silenzio e l’essenzialità degli spazi offrono la possibilità di recuperare l’anima del luogo, i frammenti del tempo. Così appaiono gli scatti di Luigi Ghirri, colmi di echi del passato e attraversati da una forza poetica talmente stratificata da rendere unico ogni aspetto del quotidiano.

Mauro Zanchi

Riprendendo un’intuizione di Giordano Bruno, nella sua sottile opera concettuale Luigi Ghirri espande visivamente il continuo «pensare per immagini». Ogni fotografia è una testimonianza della sua riflessione sul rapporto magico che lega le figure, la realtà e la memoria(1). In questa chiave di lettura del mondo ereditata dal filosofo nolano, ogni scatto rimanda continuamente ad altre immagini che provengono dal passato e vanno in direzione delle future generazioni, innescando continuamente un travaso memoriale, entro un complesso meccanismo caro all’arte combinatoria. Ghirri attinge a un patrimonio iconografico trasmesso dalla storia dell’arte e della fotografia, e fa fluire quel portato nella sua ricerca. Riparte dalle conquiste formali e concettuali degli artisti che sente più affini alla sua sensibilità. Guarda con attenzione i capolavori del passato per trovare nuove soluzioni, attualizzando le migliori intuizioni già percorse da altre menti, per ristabilire o riproporre qualcosa che è andato perduto nel divenire della storia. Qui ci soffermiamo solo su alcuni aspetti dell’articolata e complessa opera dell’artista emiliano: la sottrazione, lo svuotamento, il silenzio, la quiete, la presenza luministica.


Immagini in attesa di un passaggio della storia o solo della luce solare o delle ombre

Ghirri, attraverso la sua visione, cerca di mettere in atto una sorta di cancellazione di parti del mondo esterno, della realtà che vede, e anche del patrimonio iconologico presente nella sua memoria, per ricreare una narrazione mentale o per evocare un nuovo pensiero- spazio-paesaggio. È un continuo desiderio di ritorno a un grado zero della visione. Le sue dislocazioni dello sguardo sono utili per contemplare immagini del mondo che ci appartengono e che conteniamo. Sono tentativi per aver accesso a una memoria collettiva o a illuminazioni che possono accadere nelle frazioni del tempo. L’opera di Ghirri suggerisce di vedere la realtà in un altro modo, nel suo aspetto più misterioso e lirico, mostrando gli invisibili accessi all’aperto del mondo, celati tra la mutevolezza atmosferica, la percezione dei colori e dei toni, e i fenomeni sospesi. La sua luce particolare e le inquadrature evocano visioni estatiche, disvelano lo “spazio puro” rilkiano, rivelando la quintessenza delle cose, oltre la prima apparenza e l’ovvietà. Ma torniamo all’idea di lasciare spazio al silenzio eloquente della sottrazione, per rendere visibile lo spirito di un luogo, l’aspetto lirico di una pausa del tempo. Capri (1981) ed Emilia Romagna (1985) sono due scatti di spazi vuoti, silenti, dove il colore monocromo delle pareti, la luce, le vele della volta o la dimensione architettonica, la medesima presenza di una finestra, evocano un luogo molto simile a quello immaginato da Beato Angelico nell’Annunciazione (1438-1445) della cella 3, a Firenze, nel convento di San Marco. Le fotografie di Ghirri mostrano ciò che resta di un accadimento precedente, o sono in attesa di un passaggio della storia o semplicemente solo della luce solare o delle ombre. Attendono lo sguardo immaginativo dei fruitori.


Caravaggio, Vocazione di san Matteo (1600), Roma, San Luigi dei Francesi.

Capri (1981).


Beato Angelico, Annunciazione (1438-1445), Firenze, Museo di San Marco, convento, cella 3.

In Campegine. Museo Fratelli Cervi (1986) il tavolo di un umile interno domestico, illuminato da una finestra a destra, rimanda a un silenzio precedente o successivo all’evento descritto da Michelangelo Merisi da Caravaggio nella Vocazione di san Matteo (1600). Nell’inquadratura di Masone, Casa Benati (1985) riecheggiano luci e dettagli presenti nella Lezione di musica (1662-1664), nell’Astronomo (1668) e nel Geografo (1668-1669) di Jan Vermeer(2). Nello scatto di Ghirri l’assenza delle persone e il vuoto silente suggeriscono - con la sola consistenza delle cose - la forza poetica di una presenza metafisica o spirituale.

Ghirri ci ha lasciato in eredità innumerevoli foto di interni disabitati, dove luci e abbagli dalle finestre mettono in scena vibrazioni ultrasottili, epifanie dello sguardo, storie senza accadimenti che arrivano dirette come fenomeni del sublime. Ha colto anche moltissime persone, fotografate di spalle, che contemplano opere d’arte nei musei, o che guardano verso orizzonti lontani, marini o montani, verso brume o architetture, riprendendo modelli presenti anche in opere dei suoi pittori prediletti.

Masone, Casa Benati (1985).

Ha colto anche moltissime persone, fotografate di spalle, che guardano verso orizzonti lontani


In Reggio Emilia (1983), Enrico Berlinguer fotografato da dietro mentre è sul palco dinnanzi a migliaia di persone ricorda Il viandante sul mare di nebbia (1818) di Caspar David Friedrich. Il grande precedente di un soggetto descritto di spalle mentre mette in azione un’opera dello sguardo e della visione retinica è l’Allegoria della pittura (L’arte della pittura o L’atelier) (1662- 1668) di Jan Vermeer, ora al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Ghirri dà molta importanza a questa intuizione concettuale e trasferisce l’atto del vedere dal pittore a coloro che si nutrono di opere artistiche, contemplando assorti dipinti e sculture nei musei (emblematica è Milano - Castello sforzesco, 1986, dove un gruppo di persone guarda la Pietà Rondanini, mentre, come nelle pale o negli affreschi rinascimentali, uno degli astanti rivolge gli occhi verso chi sta realizzando l’opera, fuori campo). Nella serie Diaframma 11, 1\125, luce naturale (1970-1979), poi declinata ulteriormente con altri scatti realizzati tra il 1980 e il 1988, Ghirri ingloba le persone che si rapportano con le immagini, trasformandole nella stessa sostanza: il loro atto entra nell’opera di chi li ha visti vedere. Questa tipologia verrà ripresa e percorsa da Thomas Struth, a partire dal 1989, con fotografie di grandi dimensioni, nel suo ciclo più noto: Museum Photographs.


Reggio Emilia - Enrico Berlinguer (1983).

Attraverso numerosi scatti Ghirri ha dato dignità alle situazioni che appartengono al quotidiano, ai soggetti apparentemente banali, alle strade solitarie, ai paesaggi provinciali, alle officine dei meccanici, alle vetrine, ai cartelloni pubblicitari, alle cabine e agli scivoli sulle spiagge, alle giostre, agli interni dei luoghi dimessi, al tempo rappreso nella porosità degli oggetti, al passaggio delle persone anonime. Ha dato valore all’insignificante, all’irrilevanza, mostrando la sua bellezza celata, che ha radici antiche, alla potenzialità di ciò che sta al confine tra le dicotomie, al contrasto tra il vecchio mondo e la modernità. Ha colto lo spessore dell’esistenza, attraverso un’articolata sequenza di momenti, traducendo la sua plurivocità complessa e sottile con immagini in grado di stimolare pensieri, aprire nuovi percorsi, rendendo visibile quel potenziale che accade nello scorrere delle giornate. Il banale diventa idillio. La luce trasfigura la consuetudine. Questo trapela dalle fotografie di Ghirri, soprattutto la ricerca di una profondità poetica, la conquistata consapevolezza che basta poco per vedere il mondo nella sua semplice bellezza e per abitare degnamente un luogo, che è denso di memorie, di storie, di segni, di passaggi. Ecco allora che le campagne, le case, le chiese, i ponti, la natura, la brina, la nebbia, la luce, i notturni, gli oggetti sintetizzano gli elementi costitutivi di un sito memoriale, dove il singolo individuo può modulare profondamente il suo sentire con lo spirito del luogo, collegandosi alla memoria collettiva e al mondo archetipico, che sono conservati nell’interiorità di ognuno.

Milano - Castello sforzesco (1986).


Jan Vermeer, Allegoria della pittura (L’arte della pittura o L’atelier) (1662-1668), Vienna, Kunsthistorisches Museum.

(1) «Arriviamo poi alle immagini consumate, gettate per la strada, ritrovate. Ad esempio, questa [Roma, 1978, n.d.r.] era la recensione di una mostra di Nadar, Come pensare per immagini, che è una frase di Giordano Bruno, uno dei filosofi che hanno maggiormente riflettuto sul rapporto magico che lega l’immagine, la realtà e la memoria. Era una delle due chiavi di lettura del mondo, successivamente indagata anche da Nadar» (L. Ghirri, Lezioni di fotografia, Macerata 2010, pp. 66-67).

(2) Cfr. Luigi Ghirri. Pensiero paesaggio, a cura di C. Benigni e M. Zanchi, Cinisello Balsamo (Milano) 2016, pp. 16-17.

ART E DOSSIER N. 335
ART E DOSSIER N. 335
SETTEMBRE 2016
In questo numero: UNA FANTASTICA REALTA' Piero di Cosimo e il nord; Lamba, pittrice surrealista; Reims incide Bellmer. GRANDE GUERRA Le incisioni di De Groux. IN MOSTRA O'Keeffe a Londra, Il sogno a Marsiglia.Direttore: Philippe Daverio